MENU

Se è compulsivo/Con il gioco non si scherza

Pubblicato da: Categoria: COVER

6
DIC
2013
Lo Stato biscazziere continua a guadagnare sul vizio e la disperazione dei giocatori, ma il fenomeno è troppo grave per passare inosservato e già in Puglia si fa un primo passo per prevenire la dipendenza 
 
Ci hanno pensato gli arabi a coniare il termine “azzardo” che deriva da az-zahr, ovvero “dado”: la civiltà occidentale ha riempito poi questa parola di significato negativo,  e difatti qualsiasi attività che presenti incertezza sul risultato finale si presta a scommesse e quindi può essere oggetto di gioco d'azzardo. Ma fino a che c’è il libero arbitrio di mezzo, anche il gioco – e molti patrimoni di famiglia sono stati persi proprio al tavolo verde – può essere socialmente tollerato. Il problema è quando diventa patologico, ossia  quando diventa pratica compulsiva, per vivere l'eccitazione del rischio, che spesso è tanto più forte quanto più alta è la posta: anche se le persone sanno come funziona, continuano a giocare senza riuscire a fermarsi, finché non hanno perso tutto.
Gratta gratta
«Non avevo più nulla, non sapevo come andare avanti. Mi svegliavo la mattina e il mio primo pensiero era quello di procurarmi un biglietto da grattare. Il primo, il secondo e così via, fino a che rimanevo senza soldi. Ed era difficile tornare da mio marito e spiegargli dove avevo speso tutto quel denaro, chiedendogliene ancora». La testimonianza di A. M., 38 anni, fa luce anche su una forma di dipendenza legalizzata, quella dei vari “grattini” che promettono con spot accattivanti vacanze lunghe una vita, forme di rendita vita natural durante, un’esistenza insomma anestetizzata da crisi e preoccupazioni di mera sopravvivenza, alimentando un sogno pericoloso quanto irrealizzabile. E non si pensi che si tratti di prerogativa maschile perché molti esercenti a cui abbiamo chiesto quale fosse il ritratto tipo del “grattatore” incallito ci hanno risposto fornendoci dati assolutamente trasversali per età, scala sociale, istruzione e naturalmente genere. «Una signora – racconta un esercente – ha  cominciato con un grattino al giorno, ma poi ha cominciato a chiedermene sempre di più. Contro i miei stessi interessi vorrei davvero non vendergliene più: mi sembra di buona estrazione, non credo abbia problemi di soldi, ma quello che mi spaventa è il suo sguardo. Uno sguardo vuoto, fisso, che si accende di un bagliore di vivacità solo quando comincia a grattare, per poi ritornare a essere come vetro subito dopo».     
Gli altri
Notizia freschissima: un operaio di Conversano ha inscenato un finto furto nella sua abitazione per nascondere ai familiari di aver subito una cospicua perdita ai video poker. L'uomo ha denunciato ai militari che dalla sua abitazione i ladri avevano rubato denaro contante e diversi monili in oro appartenenti a sua moglie. Le indagini, però, hanno evidenziato numerose incongruenze e poi nel garage dell'abitazione i carabinieri hanno rinvenuto 1600 euro in contanti e tutti i preziosi appartenenti alla donna. Messo alle strette, il 32enne ha ammesso di essere stato lui a inscenare il furto. E questa è cronaca. Il problema del gioco – quando provoca dipendenza - non può essere ricondotto solo ed esclusivamente al singolo giocatore ma va esteso quantomeno al nucleo familiare, finendo per determinare una forte lievitazione delle persone coinvolte, direttamente e indirettamente, e innescando così il campanello d’allarme dell’emergenza sociale.
Il giocatore d’azzardo è un perdente che, senza l’intervento di qualcuno, rischierà sempre di andare a sbattere contro il massiccio muro dell’illusoria possibilità di ricchezza, dell’indebitamento fino a sprofondare, e il più delle volte è così, nel baratro dell’usura. E’ come un’amante respinto sempre alla ricerca di un’autopunizione; e tutto ciò avviene a scapito della propria posizione e di quella della propria famiglia all’interno della società. D’altro canto i gestori del gioco – almeno la maggior parte - non hanno alcuni interesse a che questo fenomeno venga meno. Di fatto però, campano sulle nevrosi altrui. 
 
Slot machine & co.
Per effetto dei nuovi mezzi di comunicazione di massa (internet su tutti), il fenomeno del gioco d’azzardo è aumentato in modo esponenziale negli ultimi anni: attraverso Superenalotto, scommesse sportive di ogni genere, slot-machine, gratta e vinci e poker, il sistema non fa altro che offrire alla gente mezzi semplici e in continua evoluzione per incanalarsi nel sinistro tunnel della dipendenza.
«Ho deciso di non mettere nel mio bar quelle macchine infernali perché non sopporterei vedere persone che si rovinano con le loro stesse mani». Coraggioso questo tabaccaio di Martina Franca, controcorrente rispetto a un trend che va in direzione opposta: se avesse ragionato con il portafogli, non sarebbe arrivato a questa decisione. 
Uno dei fattori più impressionanti che caratterizzano la ludopatia cronica è la coinvolgente condizione di passività che solitamente ingloba il giocatore accanito: quest’ultimo, infatti, non può ricorrere alla sua intelligenza o forza di volontà, ma non può far altro che restarsene in balia della sorte. Le slot machine, infatti, a differenza di altri giochi in cui fondamentale è anche la strategia, rispondono a leggi di equiprobabilità, quindi non manipolabili. Almeno, si spera.
 
Le soluzioni
Lo Stato da un lato limita e controlla l’apertura di sale da gioco e centri scommesse, dall’altro, forte del suo monopolio, apre le sue ricevitorie e dà licenze a bar e tabaccherie affinché tutti possano entrare a stretto contatto col gioco.
La radice del problema, dunque, è da ricercare tra chi, in un certo senso, domina e muove le dinamiche sociali e quelle ad esse connesse; quasi sempre gli interessi di pochi finiscono per nuocere inevitabilmente a quelli di molti.
La proposta di legge contro il gioco d’azzardo patologico, rappresenta un primo importante passo avanti verso l’estirpazione di questo male radicato. Dall’alto, insieme con il lavoro di diverse associazioni impegnate nel sociale, ci si sta muovendo per il duplice scopo di aiutare le persone in difficoltà e sviluppare progetti di sensibilizzazione socioculturale e iniziative politiche e educative per prevenire la febbre del gioco e i suoi effetti devastanti sulla persona e sulle famiglie.
Nelle coscienze delle persone si deve affermare la vecchia regola di vita per cui “prevenire è sempre meglio che curare”. Soltanto se si è in grado di procedere tutti, o quasi, nella stessa direzione, si potrà lentamente porre dei ripari e almeno provare a ostacolare questo male sociale, ennesima ipocrisia di un sistema contraddittorio.
 
Morale della favola
L’espressione “il gioco non vale la candela” risale a tempi preindustriali, quando era necessario usare candele o lampade a olio per qualunque attività notturna e il costo delle candele, specialmente per le classi sociali più basse, poteva diventare una spesa considerevole. Era quindi consuetudine, per i giocatori di carte, lasciare una piccola somma (o a volte una vera e propria candela) al proprietario della casa che li ospitava o all'oste della locanda.
Il modo di dire si diffuse rapidamente tra i giocatori d'azzardo, per indicare partite in cui si era perso molto denaro o nelle quali le vincite erano state così basse da non coprire nemmeno la piccola spesa lasciata per il lume. Quindi, va bene giocare, ma che di gioco si tratti e soprattutto, che ne valga la candela.
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor