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Vincenzo Deluci/Adesso gioco la mia rivincita

Pubblicato da: Categoria: COVER

10
GEN
2014
 
Il suo nome fugge, en passant, durante una lezione universitaria, accompagnato dalla parola AccordiAbili che già in sé racchiude un suono armonico. Passeranno dei giorni, eppure quei suoni continueranno a rieccheggiare nella testa, fin quando decido di scoprire quale realtà si nasconde dietro due semplici parole che in pochi istanti si sono fissate nella memoria. AccordiAbili è un’associazione nata a Fasano, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo di tecnologie in grado di avvicinare un disabile, con facoltà cognitive integre, all’utilizzo di uno strumento musicale e di ridare vita a un sogno. Chiave di volta di questo progetto è il maestro Vincenzo Deluci, presidente dell’associazione, fondatore e (aggiungerei) sognatore per eccellenza. La sua passione per la musica si rivela prestissimo, legandosi, sin da bambino, allo strumento musicale che gli rimarrà fedele per sempre: la tromba. Vincenzo prende lezioni, studia, suona e sfonda. Inizia i suoi primi concerti, stringe importanti collaborazioni e si esibisce accanto ai grandi della musica: Lucio Dalla, Renzo Arbore, Sergio Caputo, Vinicio Capossela, gli Avion Travel e tanti altri artisti.
Maestro Deluci chi le ha trasmesso la forza per sognare e vivere?
«In realtà non mi sono mai sentito morto, ma è stata la musica a dare la giusta continuità alla mia vita, perché ha sempre fatto parte di me». 
Quando è avvenuto l’incontro con la musica?
 «I miei genitori mi hanno raccontato che a 4 anni in un negozio di giocattoli,  fra i tanti giochi, potendo sceglierne solo uno, fui attratto dalla forma e dal colore di una trombetta in plastica. All'età di otto anni, invece, ho cominciato a prendere lezioni di musica e a suonare».
La musica, la carriera, i sogni, le ambizioni, i successi e poi d’improvviso la vita che decide inaspettatamente di cambiare spartito, di ritorno da un concerto, in una notte del 2004. Un incidente stradale segna la condanna alla tetraplegia, ma non arresta lo spirito del giovane musicista che a dispetto di ogni lapidaria diagnosi, dopo due anni di intensa e faticosa riabilitazione, recupera parzialmente l’utilizzo dell’avambraccio sinistro e ritorna a suonare. Come? Grazie all’aiuto di Giuliano Di Cesare, anche lui trombettista, che studia un modello di tromba particolare, con la coulisse, una slide trumpet, adattata ai suoi movimenti. Il giovane musicista torna a sognare e lo fa soffiando dentro la sua tromba, così come la musica non ha mai smesso di soffiare, spiegando le vele della sua vita.
Ha mai temuto di perdere la musica per sempre o in fondo l’ha sempre sentita dentro di sé?
«Ho temuto di perdere la possibilità di fare musica… per tre secondi». 
In molti la definiscono un ‘tipo tosto’, ma lei corregge e precisa ‘capatosta’. In fin dei conti la sostanza cambia poco, perché comunque rimane l’esempio di chi sfida il destino e lo affronta, non crede?
«Penso che se  qualcuno perdesse un braccio, in qualche modo troverebbe la forza per fare quello che vuole con un solo braccio». 
La volontà spronerebbe la forza, ma se questa volontà viene meno? Forse non tutti reagirebbero con la stessa fermezza.
«Penso che ognuno di noi, dopo un evento "catastrofico", troverebbe la forza partendo da ciò che è più capace di fare, iniziando a ricostruire le basi proprio da lì. Io definisco la mia vita come una partita: mi è stata concessa la rivincita, infatti sono ancora qui a raccontarla, quindi, la prima l'ho persa, però questa vorrei vincerla, chi non vorrebbe rigiocarsela?».
E se la gioca, Deluci, questa partita, con tanta passione, con il coraggio di un uomo che non ha paura di credere in un sogno e con una forza di volontà che oltrepassa qualsiasi  barriera. Sarà per quel pizzico di caparbietà che lo contraddistingue, ma il suo ritorno è trionfante: la prova che non è impossibile ridare vita ai sogni. 
Dopo l’incidente, VianDante paradiso/inferno andata e ritorno, realizzato interamente da lei, rappresenta lo spettacolo che segna un po’ il ritorno in scena. 
«Lo spettacolo nasce da una mia idea rimasta in sospeso nel 2004, anno dell'incidente,  per un evento che doveva realizzarsi all'interno della Grave delle Grotte di Castellana, anche se il destino decise diversamente, bloccandolo sul nascere. Tuttavia, da buon "capatosta", volevo riprendere da quel progetto rimasto sospeso ed è così che nel 2010 VianDante andò in scena, grazie alla regia di Giuliano Di Cesare, amico e costruttore della mia prima tromba Slide Trumpet. VianDante è la rappresentazione,  attraverso la metafora dantesca dell'Inferno,  Purgatorio e Paradiso,  del mio percorso di vita che mi ha visto "viandante"  lungo le vicissitudini che mi hanno interessato». 
Un viandante che non solo continua a suonare, ma ha anche dato vita ad AccordiAbili: cosa rappresenta per Lei questa associazione?
«Rappresenta la possibilità di offrire anche agli altri l'occasione di continuare a vivere, non sentendosi esclusi, attraverso la musica da loro stessi suonata.  Di fatto, rappresenta il mio percorso che ho voluto condividere e proporre ad altri grazie all'aiuto di tutti coloro che,  soci, collaboratori e amici, sognano insieme a me». 
Con il progetto eMotion cercate di promuovere la ricerca e lo sviluppo di tecnologie in grado di avvicinare un disabile all'utilizzo di uno strumento musicale: si tratta di un percorso complesso o ci sono buoni riscontri in questo campo? 
«Si, è un progetto un po' complesso, ma amiamo le sfide e il nostro intento è quello di dare o ridare, come nel mio caso, un sogno che può materializzarsi. Tutto questo non rappresenta solo un successo raggiunto dall'associazione, che lavora come una squadra che vuole vincere, ma simboleggia la possibilità di ridare vita a un qualcosa che potrebbe essere vitale per gli altri: allora la complessità diventa minima».
C’è anche un cortometraggio che rappresenta lei e l’associazione, La musica oltre le barriere, Perchè no?, ispirato a una celebre frase di George Bernard Shaw: “Alcuni guardano la realtà e si domandano: Perché? Noi sogniamo l'impossibile e ci domandiamo: Perché no?”.  Che differenza c’è tra l’uomo che si interroga davanti alla realtà e quello che si interroga davanti all’impossibile?
«Non c'è differenza fra realtà e impossibile, altrimenti non sarei qui. Il cortometraggio lascia un interrogativo finale aperto: "Perché no?", per sollecitare lo spettatore alla stessa risposta che mi sono dato io».
Lei ha affermato che questo cortometraggio “vuole raccontare la sua vita, ma anche quella di un qualsiasi disabile che ha ancora voglia di sognare”. Cosa è necessario affinché questo sogno continui?
«I sogni appartengono al nostro essere e consentono di superare, nella notte, dei momenti difficili, così come ha sempre fatto l'umanità intera. Un sogno sulle prime può apparire irrealizzabile, ma se pensiamo che l'Uomo è riuscito a volare ci rendiamo conto di come sia importante  "fare sogni" e lavorare per la loro realizzazione». 
Quando ho finito di scrivere questa intervista, mi sono sentita immensamente piccola, con una lezione immensamente grande da imparare. Vincenzo parla di realtà e di impossibile come se nulla li distinguesse. Con la sua testimonianza e la sua associazione aiuta a credere nei sogni, oltre ogni barriera; si interroga, senza paura di darsi delle risposte. Noi, invece, quante volte ci siamo confrontati con l’impossibile?
 
 


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