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Angelo Raffaele Villani/La (nostra) grande bellezza

Pubblicato da: Categoria: COVER

7
FEB
2014
Mentre l’ultimo film di Sorrentino spopola negli Usa, incontriamo chi di arte, incanti e disincanti se ne intende, per parlare di edilizia senza senso, città invisibili e qualche idea per il futuro  
 
Con lui si potrebbe parlare per ore senza stancarsi mai. Mille interessi, grandi passioni – una su tutte l’arte –, e una capacità oratoria non da tutti. Discorre con disinvoltura di qualsiasi argomento e non si può far a meno di ascoltare ciò che ha da dire. Angelo Raffaele Villani, conosciuto “per gioco” – come ci racconta – con il nome di Richelieu, è una personalità affascinante e intrigante del nostro territorio. Architetto di professione, creativo per vocazione, Angelo ci parla di Taranto, maledetta e benedetta assieme, delle sue potenzialità e delle soluzioni che si potrebbero attuare per farla rinascere; di musei, quadri e sculture; di libri e di Calvino; di incanti e disincanti. Ma soprattutto di Bellezza.
 
Angelo, sei un tipo molto eclettico. Come ti definiresti?
«Architetto, innanzitutto. Dico questo, perché ritengo personalmente che la formazione da architetto mi abbia regalato un mondo di grande apertura, e anche se attualmente non pratico più la professione, essendo passato a mondi creativi paralleli, ma non avulsi dalla pratica della materia, della forma e della poesia. Essere architetti è un po’ un privilegio, si è tutto e niente al tempo stesso, un po’ tecnici, quadrati, pragmatici; un po’ artisti, sognatori, idealisti, fuori dagli schemi. Un connubio perfetto. Devo molto alla mia formazione universitaria. Attualmente la professione principale si integra ai colori del mondo della comunicazione e del sistema dell’arte, in qualità di gallerista e curatore di eventi. Esperienze apparentemente diverse, ma sinergiche, che esprimono arricchimento reciproco, colmando logiche lacune settoriali. In un unico termine, a volte un po’ abusato: creativo».
 
Curiosità: perché ti fai chiamare Richelieu?
«Preferirei lasciare viva questa curiosità mediatica. È un gioco, ma un motivo reale esiste, sia chiaro. Dico solo che i social network, o altri ambiti virtuali, sono luoghi costruiti su concetti e contenuti, spesso pilotati o indirizzati dai valori dell’immagine, di ciò che appare, o ancora da un possibile piano di strategia comunicativa. Questo accade per tutti, anche inconsapevolmente, ma in special modo per chi è addentrato in logiche della comunicazione. Richelieu, in fondo, è un personaggio storico, rappresenta un modus vivendi, lo crea. Tutto qui».
 
Da architetto, sarai senza dubbio un amante dell’arte e della bellezza. Un uomo alla costante ricerca di un senso estetico in ogni cosa. Nella società odierna, piena di tutto ma ahimè ricca di niente, dove tutto è già visto, già vissuto, pensi sia ancora possibile rimanere incantati da qualcosa?
«Ma certo che sì. Per restare incantati basta poco. Basterebbe contemplare quotidianamente le bellezze della natura. Me ne convinco sempre più. Non c’è assolutamente necessità di ritrovati tecnologici, di praticare ambienti alla moda e glamour, per riuscire a restare incantati dalle cose. Non penso sia necessario, ogni volta, fare riferimento a concetti e criteri di valutazione razionali, appartenenti alla sfera dell’umano. Proprio perché, qui, si sostanzierebbero le tue valutazioni e perplessità negative. Per restare ancora incantati basterebbe, in fondo, cambiare il modo di vedere le cose. Basta analizzare le cose con occhio differente. Solo così, probabilmente, sarebbe possibile colorare l’arcobaleno in angoli di cielo contaminati e segnati dalla pochezza».
 
Cos’è la bellezza per te?
«La Bellezza per me è un valore assoluto. Forse l’ultimo valore ancora rimasto, e per cui valga la pena lottare. Prendo in prestito le parole di Fëdor Dostoevskij, quando afferma che “la Bellezza salverà il mondo”. In maniera compiuta e sintetica descriverebbe appieno il mio pensiero. La Bellezza è il parametro attraverso il quale giudicare cosa è buono e cosa no. Anche per ciò che è apparentemente banale sento naturale applicare il valore aggiunto della bellezza. Accade sempre».
 
A tal proposito, uno dei film più belli dello scorso anno, “La grande bellezza” appunto, di Paolo Sorrentino, è candidata agli Oscar. Lo hai visto?
«La candidatura all’Oscar de “La grande bellezza” penso sia un doveroso riconoscimento a un film opulento come quello di Sorrentino. A mio avviso meriterebbe il premio, per tanti motivi. Come accade per i veri capolavori dell’arte contemporanea, che si fanno narrazione di brani di società e di pensiero, “La grande bellezza” è un film con la F maiuscola. Ottima fotografia, ottimi i dialoghi (o forse i grandi monologhi). Di grande statura il solito Tony Servillo. Un film che racchiude, come per uno scrigno, grandi contraddizioni ed eccessi di un surrealismo stile felliniano. Una città eterna che si nasconde a sé stessa, vivendo di una duplice identità di eccessi, la notte, e conformista, nei palazzi, di giorno.  Racconto a tratti trash di una società decadente, ma attuale e veritiero. Personaggi un po’ burattini, mossi dai fili del “così fan tutti”. Un grande ritratto stratificato di una città che è un po’ tutto, davvero come un grande calderone».
 
Roma, città eterna. Ma parliamo un po’ di Taranto, la nostra città. Viene spesso associata ad aspetti negativi, quali industria siderurgica, inquinamento, disoccupazione. Eppure presenta degli elementi degni di nota e ammirazione. Basta guardare le nostre coste. Cosa pensi al riguardo?
«Taranto è una città di grandi potenzialità, ma al tempo stesso una città martoriata e con lacune ataviche. Alla ribalta nazionale, negli ultimi tempi, per le note e spinose questioni ambientali che hanno portato questo nostro territorio ionico quasi a un punto di non ritorno, già in epoca classica, era considerata dai romani come un luogo particolarmente favorevole, adatto ai momenti di relax, per le grandi bellezze ambientali e le prerogative climatiche di un territorio molto ricco e variegato. Un mare cristallino, coste che alternano arenili di sabbia dorata a punte rocciose e scogli, gravine, una campagna rigogliosa e aspra, a momenti. La grande varietà, appunto, fa di questo territorio il proprio vero punto di forza. Sono luoghi che andrebbero preservati, sempre più, da un degrado e da una edificazione senza senso, e potenziati, puntando su nuove prospettive di sviluppo ecosostenibile e green».
 
Su cosa dovremmo puntare noi tarantini per far rifiorire la nostra città?
«Taranto non è una città a vocazione industriale. Assolutamente no. Che dir si voglia, e malgrado le Istituzioni ai diversi livelli propinino quale unica soluzione il mantenimento di uno status quo inaccettabile e “criminale”,  strutturalmente questa città potrebbe tanto di più. Ma il raggiungimento di risultati sostanziali sarà possibile solamente attraverso una complessa operazione di rieducazione, guarendo disfunzioni e degrado sociale inaccettabili per una città che voglia scommettere davvero su sé stessa. A tal fine, necessiterebbe una sinergia perfetta tra Istituzioni colte e lungimiranti e strati di popolazione particolarmente attivi e interessati a un reale processo di metamorfosi. L’alternativa per questa città? Nulla di straordinariamente originale, ma proprio per questo, in quanto decisamente risaputa, abbastanza scandalosa. Alternativa identica, a mio avviso, a quella che si renderebbe auspicabile per il Sistema Italia tutto: la cultura! Semplicemente lavorare sui valori della cultura, quella di qualità. È inconcepibile che un Paese come il nostro, culla artistica e culturale nei secoli passati, abbia segnato il passo verso un repentino degrado e appiattimento su posizioni di evidente mediocrità. La politica è la vera causa di tale degrado, in quanto essa è innanzitutto indirizzo, ai diversi livelli, e in un Paese senza indirizzo, il degrado diventa unico possibile risultato. Cultura, Ambiente e Turismo. Destagionalizzazione del comparto turistico. Creazione di alcuni forti poli di attrazione territoriale (volani strutturali culturali) attorno ai quali cucire mondi di economia del settore terziario e quaternario. Non dimentichiamo il primario (il mondo agricolo, fondamentale). La risposta abbastanza scontata, recitata così, su due piedi, non può essere sviscerata in una intervista. Diciamo che ci sarebbero idee anche abbastanza strutturate, che necessiterebbero di istituzioni vere e culturalmente pronte alle nuove sfide del domani, e una rete reale di operatori di settore». 
 
Di recente sono stati aperte nuove aree del MarTa, un museo che racchiude in sé la nostra storia, quella antica, gloriosa, e che potrebbe rappresentare il fiore all’occhiello di Taranto.
«Certamente sì, il MarTa è davvero un fiore all’occhiello di ciò che furono i fasti dell’antica Magna Grecia. Il MarTa, però, non può  certamente operare isolatamente. Per creare indotto sul territorio, le “emergenze culturali” trainanti devono avere la capacità di aggregare anche realtà più modeste e fare sistema. Solo in questo modo, sfruttando la sinergia tra attrattori diversi e indirizzati a fruitori diversi, non esclusivamente locali (anzi), si renderebbe possibile la costruzione di un motore territoriale perfettamente funzionante».
 
Nelle ultime settimane una classifica stilata da National Geographic e Lonely Planet ha messo la Puglia tra le dieci mete più ambite dell’anno.
«Sì, è una notizia importantissima. Bisogna affrettarsi. Cambiare immediatamente rotta ed essere pronti a tali sfide. E se territori come il barese e il Salento, sono da tempo strutturati in tal senso, lavorando su una offerta turistica e ambientale di qualità, Taranto ancora non lo è. Pochissime le eccezioni. Notizie del genere, da sole, hanno capacità di creare movimenti straordinari, flussi turistici imprevedibili. Taranto non è ancora pronta. Cosa aspettiamo, o chi? Non ho risposta».
 
Mi sembri una persona che legge molto e che ha anche una certa vena poetica. Sbaglio?
«Domanda impegnativa questa. Che dire? Probabilmente un po’ leggeremo, certamente. Un po’ qui un po’ lì, saltando su argomenti disparati. Certamente c’è chi legge ben più del sottoscritto. La cosa che mi diverte, in genere, è trovare connessioni su argomentazioni apparentemente dissonanti. Per la vena poetica, userei un attimino di prudenza. Diciamo che i miei li considererei pensieri in libertà, in quanto, probabilmente, uso la mia finestra virtuale, affacciandomi abbastanza “nudo da veli”, formalismi di facciata, perbenismo a tutti i costi, quel becero modus vivendi politically correct, noioso e quasi insopportabile. Amo scrivere ciò che penso, anche esponendomi (e accade) a critiche, ma anche consensi. Penso sia importante riuscire a leggere e farsi leggere».
 
Qual è il tuo libro preferito, e perché?
«In assoluto, anche per formazione e “deformazione” professionale: “Le città invisibili” di Italo Calvino. Un libro piccolo, in fondo, ma intenso. Un concentrato di poesia onirica, piccoli brani sognanti di città quasi impossibili. Un libro in cui ho associato, da sempre, il piacere estremo della lettura al mio liberare viaggi ideali, azzardati, irripetibili. Letto e riletto, questo volume, mi è compagno d’avventura e continuo spunto, anche nel campo lavorativo».
 
E se invece parlassimo di quadri e/o sculture, cosa risponderesti?
«Non mi espongo. Tanta tanta roba, dalla Bellezza senza tempo di un passato glorioso alle avanguardie, discutibili ma interessanti e specchio della società. Non indico nomi o situazioni».
 
Qual è il tuo posto del cuore? 
«Faccio un atto d’amore? Bene: penso questa benedetta e maledetta città. Taranto. Non potrebbe essere diversamente. Se la vivi, puoi anche odiarla intensamente, se sei lontano, rischi che possa mancarti visceralmente».
 
Cosa cerchi nella vita?
«Ancora non l’ho capito, sinceramente. Tutto ciò che sembra fondamentale e insegui per anni, si ribalta completamente, semplicemente incontrando qualcosa o qualcuno di veramente importante. La vita è strana. Non saprei rispondere. Forse».
 
Cosa scarteresti dell’ultimo anno e cosa, invece, conserveresti? 
«Ci sarebbe tanto da scartare. Un anno decisamente intenso, ma difficile. Esperienze, lavoro, altro. In fondo, desidererei tenere, gelosamente conservato nel baule della memoria, tutto ciò che è stato. Servirà certamente a crescere e a trovare gli stimoli giusti per seminare le energie migliori. Sono diverse le esperienze che terrò con me per sempre. Esperienze vive, cariche di emozioni diverse». 
 
Cosa ti aspetti da questo 2014?
«Una svolta vera, in tutti i sensi. La realizzazione di grossi progetti, fino a ora solo strutturati. Progetti culturali (arte contemporanea in particolare) e di marketing territoriale. Progetti che vivono sempre di prospettive ampie e di coinvolgimento sociale. Stranamente, ed è una malattia personale, non riesco a parlare del mio futuro come cosa esclusivamente personale. Sarà forse un sentirsi parte di un Sistema più complesso?».
 


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