MENU

GIUSEPPE AGRUSTA/Storia di un talento in fuga

Pubblicato da: Categoria: COVER

5
MAG
2014
Da Martina Franca a Udine passando per Roma. Comunque ne ha già fatta tanta di strada il giovane aspirante attore, che lascia la sua città con rammarico, ma con la promessa di ritornare 
 
Quello dell'emigrazione sembra essere un problema che continua a crescere, nonostante le manovre e la voglia di aumentare l'occupazione anche qui al sud. Sempre più ragazzi, dopo aver conseguito il diploma, si trasferiscono altrove con la speranza di vedere i propri sogni realizzati. Facile a dirsi, ma non altrettanto a farsi. Perchè, sebbene il fenomeno dell'emigrazione aumenti a dismisura, è altrettanto ingente il numero delle persone che vorrebbero rimanere nella propria città e che invece si vedono costretti a fare armi e bagagli e a partire alla ricerca di orizzonti più rosei.
Avviene in ogni ambito professionale, ma ancora di più in quello artistico. Un giovane intenzionato a fare il musicista, il ballerino o l'attore, deve andare via. E spesso lo fa con un peso sul cuore.
È il caso di Giuseppe Agrusta, ventiquattrenne di Martina Franca, trasferitosi prima a Roma e poi a Udine per rincorrere il sogno del teatro. Giovanissimo ma dotato di una maturità non indifferente, che lo porta a riflettere con obiettività sulle condizioni del nostro territorio. Senza critica alcuna, ma anzi con un amore viscerale che traspare da ogni sua parola e con un grande rispetto, si interroga sui punti di forza e sulle debolezze della Puglia e soprattutto su cosa fare per migliorare la situazione. Una parola su tutte sembra essere però la luce e il motore che può smuovere le acque e permettere a Martina Franca e all'Italia intera di decollare: la cultura.
 
Quando è nata la tua passione per la recitazione? Hai sempre voluto fare l'attore?
«Sì, in realtà è qualcosa che ho scoperto in me in maniera piuttosto precoce. Sin da piccolo ho mostrato un forte interesse verso il teatro e l'ambizione a voler far parte di quel mondo. Ero un bambino particolarmente vivace ed estroverso e dunque mi riusciva bene esibirmi davanti a tanta gente. Le prime piccole esperienze naturalmente sono avvenute in ambito scolastico e parrocchiale. Si trattava di rappresentazioni amatoriali senza ombra di dubbio, ma sono state comunque significative perché mi hanno dato modo di capire che quello era ciò che volevo fare. In quei momenti ero io al 100%».
 
Sempre giovanissimo, tuttavia, hai avuto la prima esperienza più importante.
«Esatto, nel 2003, all'età di tredici anni ho avuto l'occasione di recitare nel cortometraggio "Il re viaggiatore" di Gianluca Fumarola, che reputo un professionista davvero in gamba. È stato fantastico partecipare a quel progetto, poiché tra le altre cose ho visto casa mia trasformarsi in un set, dunque potevo respirare appieno l'atmosfera del teatro o del cinema. Quattro anni dopo, poi, a scuola, grazie alla prof.ssa Vincenza Chirulli, abbiamo messo in scena "Miseria e Nobiltà" di Scarpetta. Si è trattato davvero di uno spettacolo particolarmente significativo, dove tutto veniva curato con grande professionalità, dai costumi alla scenografia. È stato a quel punto che ho iniziato ad avere i primi riconoscimenti, e i complimenti mi hanno dato la spinta necessaria a continuare su quella strada e a capire che forse era quella giusta».
 
Una strada che, però, ti ha portato lontano.
«E con molto rammarico. Volendo rincorrere il sogno di fare teatro e di farlo ovviamente in maniera seria e professionale, purtroppo ho dovuto lasciare la mia città, la mia famiglia, la Puglia. Ed è qualcosa che mi rattrista molto, perché al contrario ritengo che non si debba essere costretti a emigrare per fare ciò che si desidera, ma che invece si debba avere l'opportunità di coltivare le ambizioni nella propria terra. La Puglia, sebbene negli ultimi tempi si stia rendendo protagonista di un certo risveglio artistico, è ancora troppo lontana dall'essere capace di offrire una formazione totale e completa. Le cose si muovono, è vero, ma troppo lentamente e questo porta me, così come tantissimi altri giovani, ad abbandonare la propria casa e a fare esperienze altrove».
 
L'emigrazione. Hai toccato un tasto dolente. Sono tantissimi i giovani che sono costretti ad andare via per seguire le proprie ambizioni. 
«Non fraintendetemi. Penso che andare via, nel mio caso, sia stato anche un bene, perchè solo staccandosi dal nido si ha l'opportunità di crescere e di conoscere altro, qualcosa che non sia l'ambiente in cui si è cresciuti. In questo modo si possono fare paragoni e scoprire anche lati e aspetti della propria terra che stando sul posto non si notavano. Parlo ovviamente sia di aspetti positivi che negativi; a volte il proprio territorio o lo si esalta al massimo mostrandosi ciechi nei confronti delle problematiche che esistono, o al contrario lo si denigra svalutandone anche i pregi. Quindi, davvero, fare esperienza, formarsi fuori dal proprio territorio è sicuramente altamente stimolante, ma ciò non significa che sia giusto essere costretti ad allontanarsi perchè è l'unica alternativa valida».
 
Tu sei andato via subito dopo il diploma, vero?
«Sì. Dapprima mi sono trasferito a Roma dove mi sono iscritto al DASS e dove proprio un mese fa ho conseguito la laurea. Dopo però ho fatto rotta verso Udine, iscrivendomi all'Accademia di Arte Drammatica "Nico Pepe". È stato un percorso tortuoso, ma finalmente ce l'ho fatta: sono entrato nella scuola in cui desideravo andare. Ho trovato il Friuli Venezia Giulia molto organizzato e produttivo dal punto di vista artistico e teatrale e l'Accademia è eccezionale. Qui ti formano a 360°, non solo come attore, dunque, bensì come uomo di spettacolo a tutto tondo. Ovviamente non ci sarei riuscito senza il supporto della mia famiglia. A volte possono sembrare frasi di circostanza, ma nel mio caso davvero devo molto a mia madre e mio padre. Sai, non sempre i genitori reagiscono in maniera positiva quando un figlio dice di voler fare l'attore. Magari si pensa che sia necessario trovare un lavoro che garantisca maggiore stabilità. Ma i miei, al contrario, mi hanno sempre incoraggiato perchè hanno capito da subito che poteva esserci del potenziale in me e che quella era la scelta più giusta. Inizialmente io stesso avevo pensato di iscrivermi a Economia e di dedicarmi parallelamente anche al teatro; ma dopo pochi mesi ho lasciato perdere. Ho capito che non era quella la vita che volevo fare. I miei genitori mi hanno sempre insegnato ad affrontare la vita con rispetto e coerenza, dunque non ci hanno messo molto a capire che dovevo necessariamente seguire i miei ideali e dedicarmi esclusivamente a ciò che desideravo fare. Del resto, molti giovani della mia età faticano a trovare la propria strada; spesso si nota una certa mancanza di obiettivi. Ovviamente si è vittime di una crisi che talvolta fa scoraggiare e mollare ogni speranza. Per questo credo che la mia famiglia sia stata contenta della mia scelta: capivano che io avevo delle ambizioni, dei sogni e mi hanno dato la possibilità di coltivarli. Anche se lontano da qui».
 
Sei tornato per le vacanze di Pasqua. Com'è ogni volta dover salutare tutti e andare via?
«Mi becchi nello stato d'animo giusto per parlarne. In questi giorni, quando sono stato in famiglia, ero un po' giù al pensiero di dovermene andare di nuovo. Ogni volta è un dolore. Nella vita si attraversano dei periodi difficili in cui si desidera avere la famiglia accanto, e invece ci si ritrova a chilometri di distanza. Avere sempre in mente il mio obiettivo mi fa stringere i denti, ma non nego che a volte mi sento davvero triste. Vorrei poter restare a Martina Franca, città che amo, e avere le stesse opportunità che sto avendo in Friuli. Abbiamo bisogno di migliorare la nostra terra, in ogni modo possibile».
 
E cosa serve secondo te?
«Luce. Speranza. Qualcosa in cui credere. I giovani ne hanno bisogno, è necessario sapere che c'è un futuro, che c'è un miglioramento, che c'è la possibilità di scegliere la propria carriera, il proprio sogno e di portarlo avanti. Martina Franca è madre di personalità molto in gamba e importanti che raggiungono grossi risultati fuori, ma che qui purtroppo sono poco conosciuti. Leo Muscato, per esempio, artista di grande valore che stimo tantissimo, è molto noto al nord ma nella sua terra non lo è abbastanza. Martina Franca deve accogliere di nuovo tutti i suoi "figli", tutto il potenziale che le appartiene ma che purtroppo è sparso per l'Italia. Bisogna lottare per incrementare la cultura, accelerando i tempi burocratici smettendola di intorpidire la gente negandole la possibilità di comprendere la vera realtà in cui viviamo. Basti pensare ai modelli che elargisce la tv commerciale: vi sono programmi che per definizione si propongono di mostrare dei "talenti". E magari ci sono anche delle persone che lo dimostrano, ma poi non sono quelle che vincono. Sono programmi basati su pure tecniche strategiche: si sceglie un personaggio, si punta su quello e lo si fa vincere, talento o no».
 
Hai perfettamente ragione. A proposito di modelli e di idoli, c'è qualcuno a cui ti ispiri?
«Ce ne sono molti che ammiro e che stimo moltissimo: Roberto Benigni, Leonardo Di Caprio, la coppia Fellini-Mastroianni a cui ho dedicato anche la mia tesi di laurea. Ma se devo dire la verità non mi ispiro a nessuno perchè ritengo sia fondamentale avere una propria originalità. E poi, se c'è qualcuno che mi ha ispirato, incantato e dato la possibilità di innamorarmi di quest'arte allora non posso non citare Clarizio di Ciaula e Lidia Biondi, due persone che mi sono state molto vicine e che mi hanno insegnato tanto. Oltre ovviamente a tutti i docenti dell'accademia "Nico Pepe"».
 
Se dovessi dirmi il tuo obiettivo principale quale sarebbe?
«Aprire una Accademia proprio a Martina Franca, una scuola che si occupi del teatro formando delle professionalità in ogni campo: da quello attoriale, a quello sartoriale, fino a quello scenografico. Insomma, tutto ciò che ruota attorno al teatro e al mondo della recitazione e dello spettacolo. Adoro i bambini e mi auguro di poter dare loro dei modelli, di combattere la crescente diseducazione e di dar loro degli stimoli che incrementino il loro potenziale creativo, la loro fantasia. Me lo auguro davvero».
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor