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Angelo Montanaro/E il clarinetto come fa

Pubblicato da: Categoria: COVER

23
MAG
2014
C’è chi ci ha fatto una canzone («Quello che fa filù-filù-filà»), lui invece ci ha costruito su una carriera che l’ha portato lontano. E dire che da piccolo voleva suonare in una band, ed è finito in una banda
 
Ha un taglio d’occhi da antico etrusco, all’Apollo di Veio per intenderci (se non ci credete, andate su Google), e l’accento ormai declinato verso sonorità ispaniche ma – ne abbiamo le prove - è martinesissimo. Ride che è una meraviglia e non ha affatto l’allure del musicista classico, un poco pallido e meditabondo: l’abbiamo visto bere caffè dopo la siesta («E’ necessario»), fare merenda («Datemi uno di questi!») parlare di capocolli e dolci con il miele, prettamente natalizi ma che – a occhio e croce – durerebbero ben poco se ne avesse un piatto davanti. 
Angelo Montanaro è un ragazzo di appetiti e ambizioni vivaci, come può esserlo solo un clarinettista ventottenne partito dalle bande musicali del paese e arrivato fino ai più prestigiosi teatri europei.
Cominciamo l’intervista?
«Non sono abituato alle interviste».
Non temere, neanch’io. Di chi è stata l’idea del clarinetto?
«Avevo otto anni e mia madre era stanca di starmi dietro: continuamente in movimento, continuamente sporco. E allora mi hanno chiesto cosa avessi voluto fare».
E tu cosa hai risposto?
«A dire il vero avrei voluto giocare a calcio, ma finii nella banda a suonare il clarinetto dietro funerali e processioni».
Ma non avevi ancora compiuto dieci anni.
«E infatti il clarinetto era più alto di me. D’altronde io avevo capito band, non banda: io m’immaginavo a suonare il sax, a fare jazz… fino ai diciannove anni invece mi è toccato tutt’altro genere. Ma quella della banda è una dimensione che amo molto: è stata una vera e propria fucina di talenti, per quanto ora ce ne siano sempre meno in giro». 
Non solo le bande, ma anche le orchestre non se la passano bene.
«Decisamente no: la prima con cui abbia lavorato, l’Orchestra sinfonica di Roma, ha chiuso proprio la settimana scorsa. Di ritorno dalla Spagna (vive a Valladolid, NdR) sono stato al Conservatorio per salutare alcune persone: ho visto le stesse facce che circolavano già dieci anni fa, musicisti che studiano, studiano e rimangono lì».
Forse per mancanze di alternative.
«Sì. E anche per mancanza dei giusti consigli. Io non potrei mai fermarmi qui in Puglia in pianta stabile. Ho le mie origini, certo, e ne sono molto affezionato, ma so anche dove voglio arrivare. Per inseguire i propri sogni è necessario muoversi».
E il tuo sogno qual è?
«In questo momento ho sempre la valigia pronta. Vorrei fermarmi, diventare primo clarinetto di un’orchestra e magari a cinquant’anni insegnare».
Hai avuto dei buoni maestri?
«Alcuni sì, figure molto importanti nella mia vita. Ma molto è anche dipeso dalla mia forza di volontà. Ho attraversato anche periodi difficili, ma ne sono sempre venuto fuori. Sono consapevole di avere del talento, ma la mia forza espressiva è nulla senza lo studio e la capacità di disciplinarsi. In un concorso mi dissero che mi agitavo troppo mentre suonavo. Ora invece non mi muovo più (ride, NdR)».
Cosa c’è sul tuo comodino?
«Braccialetti e un libro che rimane lì anche per mesi. Dentro, poi, non si può dire».
E fra i tuoi libri intonsi che titoli ci sono?
«Amo la fantascienza. E non mi dispiacerebbe essere un supereroe».
E i supereroi che musica ascoltano?
«Loro no lo so. Io, quando non suono, amo il silenzio».
Così, su due piedi, non sembri molto introspettivo.
«E difatti non lo sono. Mi piace la compagnia, lo sport, mi piace suonare con altri musicisti. Essere solista, anche nel lavoro, non fa per me». 
 


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