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Speciale/Architettura è felicità

Pubblicato da: Categoria: COVER

27
GIU
2014
Tra burocrazia (tanta) e committenti (pochi), le nuove prospettive di una professione indispensabile, ma spesso bistrattata. Dallo spazio urbano al design d’interni, dal “cucchiaio alla città”, ecco come gli architetti possono trasformare (e migliorare) la società
 
Sin dagli inizi del Novecento si è sottolineata la forte interazione tra l’architettura e il comportamento umano. Differenti discipline hanno dimostrato che la condotta sociale non dipende solo dal “chi siamo”, ma altrettanto dal “dove siamo”. 
Frutti della necessità di studiare la relazione tra il modo di abitare e la soddisfazione sociale sono le discipline che analizzano l’influenza dell’ambiente sulla mente umana e, all’inverso, come l’uomo - con il suo comportamento - è portato a modificare lo spazio. La Psicologia ambientale e la Psico-geografia indagano proprio sull’influenza dello spazio architettonico sulla percezione e il comportamento degli esseri umani. Da queste discipline derivano gli studi dell’architetto Oscar Newman su come determinati spazi urbani favoriscano devianze quali la criminalità e di come un maggior senso di proprietà, quindi la progettazione di spazi percepiti come privati, costituiscano la Prevenzione del Crimine Attraverso la Progettazione Ambientale (CPTED).
L’abitare non riguarda, quindi, il singolo individuo, ma i rapporti che questo ha con gli altri membri con i quali si identifica, intendendo come identità “l'insieme dei caratteri fisici e psicologici che rendono una persona quella che è, diversa da ogni altra”. Ma se ogni persona è diversa dalle altre, come possono i bisogni essere uguali?
Ancora oggi è aperto il dibattito su quale debba essere il ruolo dell’amministrazione nella codifica delle varie caratteristiche che la qualità abitativa dovrebbe avere. Qualità abitativa che assume innumerevoli definizioni e ambiti di applicazione, dallo spazio urbano all’Interior Design. Anche se non è chiaro fino a che punto le regole dovrebbero spingersi (troppa burocrazia spesso inibisce la creatività e l’innovazione), è sicuro che al giorno d’oggi la maggior parte dei paesi europei abbia elaborato delle linee guida che si occupano di quattro aspetti fondamentali della qualità abitativa: due fattori obiettivi, funzionali e ambientali; due soggettivi, psicologici ed estetici.
L’architetto ha un evidente dovere, dare un contributo all’attuale stato di depressione, insoddisfazione e malessere della società. Secondo la definizione di Barman, l’architetto ha il dovere di concepire un luogo “sicuro e accogliente”.
Attento alla sostenibilità sociale, uno spazio ideale deve creare integrazione, relazione e comunicazione. Deve essere un contenitore di valori ed espressione di cultura. Il senso di identità dipende da storia, tradizione, coesione sociale e, soprattutto, dalla sensazione di appartenere a un posto specifico.
Una buona risposta alla necessità di appartenenza potrebbe essere l’incoraggiamento al “fare”. L’architettura potrebbe fare del “progetto aperto” una regola da seguire. La scelta di eludere accattivanti facili soluzioni volte a stabilire un ordine facilmente leggibile, definito in ogni sua parte, obbliga il fruitore, l’osservatore o chiunque si trovi ad aver a che fare con essa, a porsi in una posizione critica, attivamente creativa. 
L’architettura deve diventare un fatto naturale, non deve essere prepotente. Attraverso l’architettura deve esprimersi l’essenza collettiva della città. 
Per Stendhal la bellezza è una promessa di felicità. Il fine dell’architettura, quindi, è la felicità. Essa non può parlare, allora, di tristezza o di dolore.
 
 
 


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