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FILIPPO SANTORO/Vittime e carnefici

Pubblicato da: Categoria: COVER

2
NOV
2012

 

L’Arcivescovo di Taranto rincuora gli operai Ilva proponendo un messaggio di speranza. Le soluzioni facili? Quelle, dice, le lasciamo ai politici
 
 
«Quando comandano i giusti, il popolo gioisce,
quando governano gli empi, il popolo geme.»
(Proverbi, 29:2) 
 
In un momento di forte crisi, anche il più irriducibile degli atei potrebbe riscoprirsi credente. Spesso accade che, in situazioni drammatiche e irreversibili, lo sguardo rassicurante e sorridente di una statua di Padre Pio aiuti più del volto scuro e rassegnato di un medico in camice che vi guarda e scuote il capo reggendo in mano una cartella clinica.
Che la situazione Ilva di Taranto sia del tutto assimilabile a quella di un ammalato è evidente: per molti, l’Ilva è un cancro, nel triste e crudo senso letterale del termine, e tanti vorrebbero estirparlo con un intervento invasivo e definitivo, ma rischioso; altri calcano su una terapia più lenta e ortodossa, che riduca il danno pian piano, ma che potrebbe non risolvere del tutto il problema. In ogni caso lo stato di salute di Taranto è molto grave: è una città che sta morendo per un male che la sta consumando lentamente, da anni. E, come un ammalato trova conforto nelle parole del proprio padre spirituale, così la città, almeno per chi vuole credere, deve cercarlo in colui che ne rappresenta il nome come funzionario di Dio. In questo caso, l’Arcivescovo Filippo Santoro.  
Monsignor Filippo Santoro è nato a Carbonara nel 1948; ha studiato teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e filosofia presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dove, nel 1971, conobbe don Luigi Giussani e aderì al movimento Comunione e Liberazione, di cui è stato responsabile in Puglia. È stato ordinato sacerdote nel 1972 e dal 1984 è stato in Brasile, dove ha insegnato presso la Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro. Nel 1992 è stato membro della delegazione della Santa Sede per la Conferenza Mondiale sull’Ambiente (ECO-92). Nel ’96 viene nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Rio e nel 2004 diventa vescovo di Petrópolis (sempre in Brasile). Nel 2011, il 21 novembre, è stato nominato Arcivescovo di Taranto, succedendo a monsignor Luigi Benigno Papa.
 
 
Sua Eccellenza, riguardo alla triste situazione che i tarantini stanno vivendo, Lei ha fatto riferimento a una “guerra tra vittime”. In questo caso, chi sarebbero le vittime e chi i carnefici veri e propri che invece assistono allo scontro da lontano?
«Le vittime sono i malati a causa dell’inquinamento e gli operai dello stabilimento che temono per la perdita del posto di lavoro. Per questo da una parte ho voluto portare una parola di conforto in ospedale e incontrando tante associazioni che si occupano di assistere e sostenere coloro che soffrono, e dall’altra ho portato la mia vicinanza agli operai che erano sull’altoforno 5 in sciopero.  Non si possono contrapporre queste categorie né il diritto alla salute, che è diritto alla vita, vale più o meno del diritto a sostenersi, a lavorare. Finché non si troverà una sintesi tra questi due diritti e ciascuno guarderà non solo alle proprie ma anche alle ragioni dell’altro, saremo tutti vittime, l’intera comunità lo sarà».
 
 
Lei ha incontrato gli operai che hanno manifestato contro le misure decise dalla magistratura? Cosa ha letto negli occhi di quegli uomini?
«Lo accennavo prima. Nei loro occhi ho letto la paura che le certezze quotidiane fossero spazzate via e la disperazione di non poter dare da mangiare ai loro figli. Me lo hanno ribadito quando alcuni con una piccola delegazione sono scesi dall’altoforno per incontrarmi. Ho detto loro: “la vostra protesta è legittima ma non vi spingete oltre, non mettete a serio rischio la vostra vita che vale più di qualsiasi altra cosa. Coraggio, vedrete che una soluzione si troverà”. Li ho visti rincuorati. E’ questo il compito di un Pastore per la sua comunità. Non posso avere soluzioni facili, e non mi compete, non sono un politico. Posso però far sentire la vicinanza di Gesù a tutti coloro che per un motivo o per un altro soffrono».
 
Il giudice Todisco scrisse: “Chi gestiva e gestisce l'Ilva, ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. Da un punto di vista prettamente cristiano, non crede che nelle classi imprenditoriale e politica (quest’ultima totalmente ignava) tarantine e italiane abbiano calpestato, oltre alle regole decise dallo Stato, anche una norma fondamentale insegnataci dal Signore, ovvero quella di amare e rispettare il prossimo come se stessi?
«Il mio compito non è quello di giudicare la coscienza di ciascuno. E’ Dio che lo farà a tempo debito. Certo è che le vicende nazionali e locali hanno allontanato la gente dalla buona politica, quella che mette al centro l’interesse comune, il bene della comunità. Papa Paolo VI diceva che “la politica è la più alta forma di carità”. Purtroppo noto che nel nostro Paese, e in particolare nella nostra città, c’è la tendenza a mettere il proprio interesse davanti a quello degli altri. Il mio desiderio è che Taranto superi il particolarismo e l’indifferenza verso problemi che non riguardano direttamente. Bisognerebbe giocare in squadra».  
  
Alcune correnti partitiche fanno uso, molte volte, di un tipo di populismo che fa leva sui valori cristiani. E sempre più spesso si viene a scoprire che quei partiti dimostrano tutt’altro che uno spirito filantropico e cristiano. Questo è uno dei tanti motivi che fan perdere fiducia alla gente nel messaggio di Cristo stesso. Cosa chiede a quei politici?
«Ribadisco quello che dicevo prima: andare oltre i propri interessi, mettere al centro il bene comune, non il proprio».
 
Un’altra corrente politica, invece, in questi tempi di crisi sempre più veementemente fa riferimento ai tanti privilegi economici di cui la “Santa Casta” godrebbe. Sua Eccellenza, cosa risponde agli accusatori più radicali della Chiesa, su questo tema?
 «Sembra che sia di moda, in questi ultimi tempi, sparare a zero sulla Chiesa. A tutti dico che Gesù veniva per i malati non per i sani. Questo significa che chiunque, anche chi è già consacrato e fa parte della gerarchia ecclesiastica, è una persona in cammino, che cade, sbaglia, si pente, così come insegnò Gesù cadendo tre volte lungo il cammino che con la croce lo portava al Golgota. Sicuramente anche nella Chiesa ci sono aspetti da migliorare, ma al di là delle gerarchie o dei dubbi sull’istituzione, io consiglio di ritornare all’essenza, di considerare la Parola. E’ quella che cambia la vita, è l’esperienza della presenza concreta di Cristo, fatta attraverso il gesto di un altro, un sorriso, una parola, un abbraccio di conforto».  
 
Sua Eccellenza, Taranto, l’Italia e il mondo intero ora più che mani hanno bisogno di Cristo, sia Egli considerato come Figlio di Dio o anche solo come simbolo di amore e fratellanza. Ma Lui dov’è adesso?
 
«Cristo è ovunque, anche se non sempre lo sentiamo vicino a noi. E’ un amico che accompagna le nostre giornate. Non va cercato nello straordinario ma nella quotidianità. Il punto non è dove è Lui, ma dove siamo noi. Spesso siamo così presi dalla nostra vita, così frenetica, da non trovare tempo e luogo per Lui. E se non apriamo il nostro cuore al Mistero, Dio, che è la più alta forma di amore, non insiste. Ci lascia liberi di decidere se vogliamo conoscerlo, se vogliamo essergli suoi amici. Cristo non è un concetto filosofico, un’entità metafisica, è una presenza vera, concreta, incarnata nella nostra vita e che si serve dell’altro, del fratello che ci è accanto, per svelarsi nella nostra storia».
 


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