MENU

NICOLA DI PINTO/Io, gli indiani e i trulli

Pubblicato da: Categoria: COVER

31
LUG
2015
Il premio Oscar, napoletano verace, ci apre le porte della sua residenza estiva in Valle D’Itria, fra ricordi e successi, svelandoci il vero segreto del mestiere d’attore: interpretare i ruoli che piacciono, anche se dalla parte dei “cattivi”
 
«A che giova un idolo perché l'artista si dia pena di scolpirlo? O una statua fusa o un oracolo falso, perché l'artista confidi in essi, scolpendo idoli muti? Guai a chi dice al legno: "Svegliati", e alla pietra muta: "Alzati". Ecco, è ricoperta d'oro e d'argento ma dentro non c'è soffio vitale».
Abacuc, Antico Testamento, VII-VI sec. a.e.c.
 
 
Immerso nella sua tana estiva, lontano dai clamori della chiassosa Roma, Nicola Di Pinto, attore napoletano allievo del grande Eduardo e premio Oscar con Tornatore in Nuovo Cinema Paradiso, ci accoglie nel suo trullo. Profumo di terra buona, quella della Valle D’Itria e di legno vivo, quello che ama intagliare Di Pinto, nella tranquillità del suo ritiro. “Trulliwood” come lo chiama simpaticamente la moglie Lucia De Vittorio, pugliese originaria di Crispiano e appartenente a una famiglia di artisti nel campo musicale. Una chiacchierata all’ombra di una terrazza, su un’altura da cui si staglia implacabile la bellezza della Martina Franca delle vigne e dei frutteti, e da cui si libra nelle ore solitarie del meriggio, l’immaginazione di un artista che proprio non vuole smettere di sognare. 
Lei Nicola, inizia giovanissimo a calcare il palcoscenico dei teatri italiani. Oltre alla passione personale, quanto la tradizione partenopea madre di numerose eccellenze nel mondo dell’arte, ha influito sulla sua scelta di diventare attore?
«La mia fortuna è stata sapere fin dall’inizio, cosa avrei voluto fare nella vita e della mia vita. Da bambino, pur essendo ancora oggi un grande tifoso del Napoli, non collezionavo figurine e i miei miti non erano i calciatori. A me piacevano i film con gli indiani e in tutti i western che ho visto, il mio sogno era sempre lo stesso: interpretare la parte del pellerossa, che era visto come il cattivo scacciato dai cowboy. Una delle mie pellicole preferite è Balla coi Lupi e Kevin Costner ha evidenziato molto bene quello che mi affascinava da bambino degli indiani: la forza e la ricchezza interiore, fatta di cultura e tradizione. Questa passione, assolutamente autonoma, è cresciuta sempre di più fino a farmi diventare ciò che sono». 
Partito dal teatro, approda molto presto al cinema: quali sono stati i Suoi idoli della pellicola e a chi, se sì, si è ispirato nel suo modo di recitare?
«Io dico sempre: Nisciun è megghj ‘e me, e nisciun è peggj ‘e me! (sorride, ndr) Io sono me stesso e non posso ispirarmi ad altri in quello che faccio, perché ciò che faccio è ciò che sono. Sì, c’erano attori che all’epoca mi piacevano: Gary Cooper, Kirk Douglas; non ho mai amato per esempio John Wayne, pur essendo un appassionato di western. Un grande della mia epoca era Gian Maria Volontè e uno potrebbe dire: “Quanto mi piacerebbe essere Volontè!”. Ma poi ognuno ha la sua personalità e soprattutto ogni attore è uguale a nessuno. L’attore non deve mai smettere di sognare e non sono frasi fatte, perché nel sogno c’è immaginazione e la capacità di immaginare ti fa essere attore. Tutto qui». 
Diventare un valido attore di cinema, presuppone secondo Lei la cosiddetta gavetta teatrale? O può avvenire il percorso opposto, secondo cui un attore dal cinema può innestarsi con successo nel teatro?
«Certo, tutto è possibile! Oggi poi più che mai… Basta essere bellissimi e personaggi di successo della televisione, e ti mettono a fare tournèe teatrali ovunque. E la cosa più assurda è che il pubblico accorre a veder esibirsi queste star che non sanno nulla di teatro! Ormai oggi, l’arte la comanda la tv. Conosco una quantità enorme di validissimi attori di teatro che non conosce nessuno, perché il teatro non entra in casa tua come lo fa la televisione. Al giorno d’oggi anche attori come me o come il grande Giancarlo Giannini, vengono tenuti un po’ in disparte a meno che Mamma RAI non conceda il suo spazio ad attori che magari non hanno bicipiti e addominali scolpiti, ma che hanno più di qualcosa da dire. Perfino il mio caro amico e collega Leo Gullotta, che da anni lavorava in teatro fu “scoperto” e valorizzato solo dopo la sua partecipazione al Bagaglino. Ecco qual è la realtà di oggi: purtroppo il palato del pubblico accetta un po’ tutto». 
Arriviamo al sodalizio con Giuseppe Tornatore: in cosa artisticamente e umanamente parlando, vi siete sentiti affini, nella vostra collaborazione durata così tanti anni? E quando è avvenuto il vostro primo incontro?
«Incontro Tornatore nel 1986 per la sua opera prima come regista de Il Camorrista e decide che mi vuole nel cast. All’inizio avrei dovuto interpretare un altro personaggio, ma Giuseppe si convince che dovevo essere io Alfredo Canale e forse ci ha visto lungo più di tutti, perché ancora oggi per strada la gente mi ferma e non dice: “Guarda, c’è Nicola Di Pinto”, ma “Guarda, quello è Alfredo Canale!”. E da lì abbiamo iniziato a lavorare tanto insieme, quasi in ogni sua pellicola: Nuovo Cinema Paradiso, L’uomo delle stelle, La leggenda del pianista sull’oceano fino alla mia ultima apparizione in suo film, ne La sconosciuta. In cosa siamo affini? I rapporti umani se nascono, nascono; non esistono alchimie calcolate. Tra noi c’è rispetto e collaborazione e anche affetto, non a caso Giuseppe ha fatto da padrino per il battesimo della mia splendida figlia Giorgia, che mi somiglia tantissimo!» e con uno sguardo sornione Di Pinto, cattura il volto simpaticamente rassegnato della moglie Lucia De Vittorio, per nulla convinta di come sua figlia, splendida ragazza con gli occhi azzurri come la madre, possa invece essere il ritratto di suo marito…
Dopo il teatro e il cinema, Lei è stato scritturato per ruoli drammatici in alcune fiction tv. Quanto sono diversi questi tre ambienti artistici e come Lei Nicola è riuscito nell’impresa più difficile per un attore: la versatilità?
«Non le so spiegare come si faccia a essere versatili nel mio lavoro. Io ho sempre cercato occasioni e mi sono proposto; mi hanno preso ed eccomi qua. Non c’è una ricetta, c’è solo tanta passione per ciò che è una vocazione. Il mestiere dell’attore non è semplice, è discontinuo e viene pagato poco. Tutte cose che il pubblico non sa e che ritiene assurde, perché la leggenda metropolitana vuole l’attore, ricco, pien ‘e femmen e di droga. Posso garantire che tanti altri settori, lontani dallo spettacolo, sono molto più pieni di tutto questo».
Cosa pensa del cinema attuale italiano? L’età dell’oro del cinema si è cristallizzata in un dato periodo o oggi, è ancora possibile godere di una sua rinascita?
«Una corrente che ha segnato la storia del cinema, è stata sicuramente il Neorealismo con i grandi registi dell’epoca, Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica e anche se molto più recente, non posso non citare Giuseppe Tornatore. Oggi di sicuro ci sono dei registi promettenti come Garrone e Sorrentino, che hanno dato lustro all’Italia nel cinema mondiale. Ecco forse questa può essere un’arma a doppio taglio, perché sempre più registi italiani si stanno rivolgendo all’estero, all’America per realizzare i loro film, aumentandone la distribuzione e inevitabilmente qualcuno (mi riferisco a noi attori) non sempre riesce a tenere il passo di questo cosmopolitismo…».
In occasione del Premio Marcellino de Baggis – Festival del Cinema Documentario, il regista pugliese e attore di teatro Alfredo Traversa è riuscito a riportare a Taranto Vittorio Gassman! Un documento top secret recuperato dagli archivi della RAI, mostra un video del 1965 in cui Gassman portò il teatro tra gli umili e più precisamente, all’interno del mostro siderurgico ILVA, all’epoca da poco costituito. È possibile ancora oggi secondo Lei, alfabetizzare classi normalmente escluse dall’elite teatrale, all’arte e alla condivisione del momento artistico?
«Conosco Alfredo e le sue grandi capacità, e mi congratulo con lui per questo contributo. Ai tempi di Vittorio Gassman esisteva ancora il teatro politico vero e proprio, non la satira, a volte fine a se stessa di oggi. Il teatro all’epoca coinvolgeva tante persone e attraeva anche chi era meno fortunato per natali ed economia. Il progetto di Gassman era molto ambizioso e forse allora ha dato i suoi risultati, ma oggi non è più così e il teatro ahimè, è un ambiente se non di elité, sicuramente di nicchia».
Nel 1994 partecipa al cast di un vero e proprio caso del cinema, Una pura formalità di Giuseppe Tornatore, interpretando il capitano del commissariato, affiancato dai prima citati Depardieu e Polanski. Un concentrato di dubbi, suspance, dialoghi di un’intensità non a caso targata Tornatore e situazioni al limite del paradosso. Il marchio di fabbrica di un capolavoro del genere, sono i dialoghi come questo:
“- Sinora aveva detto di essere stato in compagnia di Daniela Febbraio – (Polanski/Commissario)
- Solo Paola è stata al Casale del Corone. Daniela non la vedo mai. – (Depardieu/Onoff)
- Chi è Paola? – (Polanski/Commissario)
- Chi è Paola... Chi è Paola... E' tutto. – (Depardieu/Onoff)
- Perchè prima non aveva voluto parlare di lei?– (Polanski/Commissario)
- Perchè si prova un grande disagio a essere amati... - (Depardieu/Onoff)”
Quanto invece, è stato importante avere una donna accanto come Lucia, Sua moglie, nella vita e nella professione di attore ed essere amato incondizionatamente? 
«Beh, com’è il detto? “Accanto a un grande uomo, c’è sempre una grande donna”» e rivolge uno sguardo complice alla moglie divertita, ndr. «Il mio mestiere non è cosa semplice: tournée, sempre in giro per il mondo e con poco tempo libero a disposizione. Lucia mi ha conosciuto così e con le idee chiare sul non abbandonare la mia professione. È stato difficile, ma siamo ancora qui, siamo uniti nel nostro amore e nell’impegno di crescere nostra figlia».
Ci rivolgiamo quindi direttamente a Lucia De Vittorio, per carpirle qualcosa in più. 
Mi piace pensare che l’amore non si faccia con la matematica, e voi Lucia e Nicola, separati soltanto anagraficamente da 15 anni, ne siete l’esempio. Ci vuole raccontare Lucia come ha conosciuto Nicola e come ha vissuto le difficoltà di avere per marito un attore?
«Ho conosciuto Nicola 35 anni fa proprio a Taranto. Era qui per uno spettacolo di cui faceva parte, con un’amica di famiglia, Isa Danieli, che ci presentò. All'epoca studiavo canto lirico a Bari e dopo circa un anno mi trasferii a Roma per proseguire gli studi, e io e Nicola continuammo a frequentarci. Mi mantenevo facendo la babysitter , e dato che l'ambiente che frequentavo era il suo, ben presto i bambini che accudivo erano i figli di Paila Pavese, Vittorio Gassman , Gigi Proietti, Maurizio Micheli. In seguito ho sviato sul canto e ho fatto mille altre cose, come doppiaggio, assistente ai costumi, restauratrice, ecc. ecc. fino a  lavorare come segretaria personale di Tornatore, per molti anni. Ma di sicuro la mamma e la moglie sono i lavori che mi sono venuti meglio!» sorride, ndr. «Certo non è stato semplice affrontare la notorietà del proprio marito e i “pericoli” sentimentali che ne potevano nascere, ma ciò che lega me e Nicola oltre all’amore, è una profonda fiducia reciproca. Non ho mai avuto problemi di gelosia, mi fidavo di mio marito e lo amo così come allora, nella sua libertà di seguire la sua passione per la recitazione. Forse molti non ci avrebbero scommesso su una coppia come la nostra, ma a dispetto di tutto, siamo ancora qui». 
 
Tornando a Lei Nicola, come non ricordarla nell’interpretazione seppur breve ma molto significativa, del matto di paese in Nuovo Cinema Paradiso! In particolare nella scena finale, carica di sentimento, tutto appare cambiato: Totò (Jacques Perrin) è ormai un regista di successo, molto diverso dal ragazzo che caricava le bobine delle pellicole, con accanto il compianto Philippe Noiret; il vecchio cinema cade sotto i colpi delle ruspe e dell’ingrato progetto che lo trasformerà in un parcheggio. Tutto è cambiato, o quasi… Nelle ultime scene appare proprio Lei, con il consueto e immutato “La piazza è mia! La piazza è mia!” e volgendo lo sguardo verso di Lei, Totò sorride e ricorda… Riferendoci alla situazione italiana odierna, è possibile un reale cambiamento o qualcosa, rimanendo uncinato al passato, lo rende utopia?  
«Questa rimarrà un’incognita! Ci diciamo sempre che non dobbiamo essere pessimisti, ma ho francamente qualche dubbio che le cose cambieranno radicalmente. Lo spero certo per tutti noi, e in particolare per i giovani, ma non ne sono sicuro. Cambia il colore, cambia il Presidente del Consiglio, e ci si scaglia comunque contro tutti, indistintamente. Non so cosa altro risponderle, se non che vorrei e mi auguro che il cambiamento non sia utopia». 
Il profumo di pomodoro fresco invade la stanza, salutiamo il maestro che ora ha voglia di un momento per sé, nell’angolo ombreggiato che fiancheggia il suo trullo. Magari ha voglia di piallare, di estrapolare magie dai suoi legni e con una ruga atteggiata a sorriso, ci saluta. Al prossimo sogno, allora!
 
NICOLA DI PINTO – un Curriculum a 360°!
Nato a Napoli il 12 giugno del 1947, è un attore caratterista Italiano. Napoletano verace, Nicola Di Pinto inizia a recitare in teatro nella seconda metà degli anni sessanta e il successo ottenuto sui palcoscenici richiama a sé anche l'attenzione del cinema e della televisione. Il debutto avviene intorno alla seconda metà degli anni settanta. Nonostante la bravura mossa già dalle prime apparizioni, maggiore notorietà arriva solo dopo l'incontro con il regista Giuseppe Tornatore che gli propone il ruolo di Alfredo Canale ne Il camorrista. Da quel momento la carriera di Nicola Di Pinto è stata in continua ascesa, alternandosi sempre tra film e sceneggiati televisivi, senza abbandonare mai il teatro. Si ricordi la sua presenza nella compagnia di Eduardo e Peppino De Filippo, oltre alle collaborazioni con Ranieri e Foà. Attore preferito da Giuseppe Tornatore, Nicola Di Pinto è stato diretto dal regista siciliano in quasi tutti i suoi film successivi, fino alla metà degli anni duemila. Nel 1998, rimane significativa la sua presenza come guest-star in un episodio de Il maresciallo Rocca 2 (Enigma finale) in cui interpreta il ruolo dell'ambiguo e pericoloso professor Aleppi; tale ruolo rimane importante anche in alcuni episodi successivi della stessa serie perché influenza in modo determinante parte della famiglia del protagonista fino addirittura a essere quasi una presenza "fantasma" nell'ultimo episodio della quinta stagione (Il male ritorna, 2005) in cui Nicola Di Pinto appare in flashback riprendendo l'episodio del 1998. Sempre per la televisione è importante citare il suo ruolo di frate Bernardo ne La Piovra 3 e 4 con Michele Placido, e il più recente ruolo di comprimario ne Orgoglio 1, 2 e 3. Tra le pellicole cinematografiche più importanti in cui Di Pinto ha recitato, citiamo Nuovo Cinema Paradiso, L’uomo delle stelle, Pummarò (regia di Michele Placido), Una pura formalità, La leggenda del pianista sull’oceano, Vajont – La diga del disonore, La sconosciuta. Ha lavorato con grandi come Nino Taranto, Aroldo Tieri e partecipato di recente, al Festival Pko Off Camera di Cracovia, al fianco di Claudia Cardinale. Oltre al Premio Oscar al miglior film in lingua straniera, vinto nel 1990 al fianco di Giuseppe Tornatore, Nicola Di Pinto ha ottenuto i seguenti riconoscimenti: al Napoli Film Festival del 2005,ritira il Vesuvio Award per i cento anni della Titanus e ottiene un riconoscimento di merito alla carriera di attore, conferitogli dall'Accademia di Musica "W. A. Mozart" di Taranto, sempre nel febbraio 2005. Lavora attualmente nella compagnia teatrale di Luca De Filippo con cui tornerà a ottobre del 2015, in tournée con Non ti pago.
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor