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DANIELE RIZZI/LO SCATTO PERFETTO

Pubblicato da: Categoria: COVER

18
DIC
2015
Momenti di vita e di vite passano davanti all’obiettivo di un giovane veterano della fotografia. Passione, studio e sensibilità per un unico risultato: l’eterna emozione nell’attimo di un’istantanea
 
Catturare l’attimo. Imprigionare un sorriso, uno sguardo distratto, nella libertà di un clic fotografico. Uno scatto, un istante rubato, un “è già passato” che vivrà in eterno. Un’eternità un tempo vestita di triacetato di celluloide, la nostra amata pellicola, e oggi sfolgorante nei suoi pixel e bit, attori del miracolo tecnologico in formato  JPEG. Daniele Rizzi però, fotografo professionista martinese, ci aiuta a guardare oltre lo strumento, oltre il mezzo, per arrivare alla vera sostanza di una fotografia: idee ed emozioni.
 
Daniele, nasci fotografo o la chiamata divina della “dea fotografia” ti è giunta dopo?
«Posso dirti di essere nato fotografo nel senso che appartengo a una famiglia di artisti del campo: fotografi, registi, scenografi. Sono letteralmente nato e cresciuto, avvolto dal profumo dell’arte e non ho fatto altro nella mia vita, che godere di quel profumo, respirarlo a pieni polmoni. Quindi no, la chiamata non è giunta dopo ma subito, fin da piccolo. A soli 14 anni ho iniziato a collaborare come assistente, affiancando fotografi noti anche a livello internazionale. A 18 anni ero già professionista. Io che provenivo da altri studi:  infatti ho frequentato l’istituto agrario. Ho conseguito poi un altro diploma presso il “Motolese” nella sezione Fotografia e Grafica, un cammino molto precoce il mio e costellato da molte collaborazioni ti dicevo, ma anche di tanto studio, master, corsi. Il mio risultato è stato quello di perfezionarmi e professionalizzarmi sempre di più».
 
Quali lavori hai curato durante il tuo percorso?
«A 18 anni innanzitutto avevo già la mia partita IVA ed ero un fotografo autonomo. Col passare del tempo ho cominciato a muovere i primi passi nella moda e nella pubblicità, specializzandomi prima nei video e poi nelle fotografie. Oltre al comparto fashion, mi occupo di documentazione fotografica nella Coop.Spes di Martina Franca. Un percorso bellissimo, nato casualmente da una collaborazione con un equipe medica, tramutatosi poi in una vera banca dati, per la valorizzazione e il riconoscimento di una cultura evolutiva sull’infanzia da 0 a 3 anni. Raccontiamo per immagini momenti e spaccati di vita che naturalmente, preso dalla quotidianità, molto spesso il genitore rischia di perdere, e che invece cosi, restano impressi nella memoria. Come ogni anno a Natale regaleremo ai genitori un momento di condivisione sul lavoro svolto durante l’anno, attraverso la realizzazione di una mostra fotografica. Per rendere visibile a tutti quello che è il miracolo dell’infanzia, e per veicolare un messaggio di pace e amore».
 
Ce ne vuoi parlare? Leggevo che esporrai a Palazzo Ducale dal 19 dicembre al 6 gennaio…
«Proprio così: la mostra è il risultato di un’osservazione attenta e sistematica dei momenti che scandiscono le giornate all’interno del nido. Ho ritratto la bellezza di 80 piccoli “monelli”» sorride, ndr «nelle loro attività quotidiane: il gioco, le attività, la conoscenza delle stagioni, il colore. Uno sguardo e un occhio assolutamente  privi di strumentalizzazione. Sono i nostri bambini, osservati mentre credono di non essere visti e quindi nella loro più completa spontaneità. Io collaboro anche come formatore nelle scuole per l’infanzia ed è molto importante avvicinare in maniera sana, il bambino alla cultura dell’immagine. Questo perché tutti, ma soprattutto i più piccoli, siamo letteralmente circondati, invasi dalle immagini. Il nostro obiettivo è quindi quello di educare i bambini all’iconografia e spingerli verso la creatività».
 
C’è qualcosa che ti ispira nel tuo lavoro? Non so magari l’arte in genere o la musica?
«Sicuramente tutto questo, ma in particolare la musica, dato che mi diletto come cantautore. Ogni emozione mi aiuta a scattare le mie immagini e ogni ispirazione mi guida sulla strada giusta di quello che voglio ottenere da una foto».
 
Nell’era del digitale in cui tanti sembrano improvvisarsi artisti della fotografia avendo frequentato solo un corso amatoriale, come si fa secondo te a dare un proprio contributo professionale alto e a emergere?
«Diciamo che la tecnologia oggi facilita sempre più il compito a chi vuole improvvisarsi come artista. Quello che però dobbiamo ricordarci è che la professionalità è alla base del nostro lavoro, che prima di diventare tale, nasce come passione totalizzante. Sono sempre fermamente convinto, che la cosa più importante nella vita, siano le idee. Credo che la tecnologia madre sia la nostra mente e non i megapixel di un sensore. Le idee sono le uniche cose che non si possono comprare e il nostro compito è quello di renderle tangibili. In pratica noi fotografi scriviamo con la luce. La luce che racconta una storia. Di questo penso che ogni vero professionista debba sentirsi responsabile».
 
Il tuo è stato un percorso in solitaria o senti di aver imparato qualcosa grazie agli insegnamenti ricevuti?
«Ho avuto dei maestri importanti e quotati e devo molto anche all’esperienza in agenzia di comunicazione.
Ma ho imparato molto anche dall’esperienza in un gruppo di donne, madri, che nonostante avessero poca competenza nel campo fotografico, mi hanno insegnato che attraverso il calore umano e l’amore, si può arrivare ovunque. Da qui è nata la mia avventura con i bambini. Oggi seguo numerosi brand, in particolare sento di dover ringraziare Domenico Tagliente che ha più di tutti creduto in me sin da giovanissimo. Di una cosa però sono sicuro: a un certo punto nella tua vita, devi fidarti di te stesso e devi “seguirti”. Ecco perché alla fine ho proseguito da solo nel mio percorso. Mi sono fidato di me, delle mie intuizioni e nel momento in cui ho capito che le mie idee non erano sulla stessa lunghezza d’onda di altri, ho avuto il coraggio di distaccarmi  e continuare per la mia strada, fatta sempre di studio e aggiornamento. L’umiltà è alla base del successo e mi stimola l’idea di sentirmi ogni giorno al primo gradino».
 
Le tue parole mi ricordano un po’ quelle del mitico Giorgio Faletti: “Se anche vivessi cent'anni, per mia conformazione mentale ed emotiva non riuscirei mai a smettere di considerare ogni volta come la prima volta”. Ti senti quindi anche nella vita come nella professione, un eterno debuttante?
«Assolutamente si! Mai sentirsi arrivati! Sono felice di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo come di ascoltare la gente: mi piace accogliere le proposte di chiunque, dal collaboratore al collega, perché ogni spunto, ogni zampillo creativo merita di essere considerato e può valere vincenti ispirazioni».
 
Secondo Daniele, qual è lo scatto perfetto?
«Lo scatto perfetto è quello che pur essendo assolutamente imperfetto e tecnicamente errato, ti trasmette un’emozione. E l’emozione non puoi inventarla. Realizzo book fotografici per diverse modelle e ogni volta, prima di iniziare sul set, faccio un colloquio con la ragazza. Questo è molto importante per me, perché per cogliere l’essenza della persona nell’immagine devo individuare la sua personalità. Il risultato poi è sempre uno, come dico io: un nuovo sguardo per conoscere te stesso. Attraverso il mio occhio fotografico traduco quindi ciò che ho ascoltato e molto spesso le modelle ritratte, stupite, conoscono un altro lato di se stesse. Magari il più vero, chi lo sa? La fotografia è per me lavoro di cuore più che di grafica. Lo stesso scatto perfetto è cuore e deve gridare il suo battito al pubblico…»
 


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