MENU

Massimo Cimaglia/La spada gentile

Pubblicato da: Categoria: COVER

15
GEN
2016

Non si fa mancare nulla, dal teatro alla tv, ma quando può – lui, tarantino doc – torna sempre nella sua città. Tra scherma e tango, l’attore, esperto sciabolatore, racconta i suoi successi e i suoi progetti, facendoci da guida d’eccezione in un tour nel Castello Aragonese

 

 

L’appuntamento è davanti al Castello Aragonese di Taranto. 

La giornata è quasi primaverile, la luce del sole e la bellezza del mare renderanno più intenso questo servizio fotografico che abbiamo deciso di realizzare con uno degli attori di teatro (e non solo, come vedremo più avanti) più bravi, a nostro parere, nel panorama italiano, Massimo Cimaglia.

La location, scelta non a caso, si presta a rendere tutto ancora più interessante. Le sue strutture greche, bizantine e normanno-sveve-angioine, i suoi torrioni cilindrici, i camminamenti interni, le tracce rinascimentali della cappella rappresentano una cornice perfetta per un attore che si muove agevolmente nel teatro classico-antico così come, vedremo dalle foto, farà all’interno di questa fortezza.

Il suo fare semplice e spontaneo ci inducono a dargli subito del tu. 

Massimo è nato a Taranto cinquantuno anni fa, sulla ringhiera di Città Vecchia. Ha due figlie, Valeria e Claudia, che nonostante siano a nate a Roma hanno una buona dimestichezza con il tarantino. Si diploma a Bologna presso l’Accademia Antoniana d’Arte Drammatica. In seguito si trasferisce dapprima a Parma e poi a Roma dove inizia il suo percorso lavorando con i più importanti registi italiani.

Tra i numerosi lavori teatrali partecipa anche al “Riccardo III”, all’“Agamennone”, all’ “Edipo Re” per continuare poi con “La verità”, “I Promessi Sposi” “La Locandiera”, “Il giorno della civetta”, “Masaniello”, “Il Medico dei Pazzi”, “Otello”, “La patente” e tanti altri.

E poi tanta fiction in televisione: “Un posto al sole”, “Distretto di polizia”, “R.I.S.”, “La nuova squadra”, “Vivere”, “Orgoglio 3”, “Il bello delle donne”, “Carabinieri”, “Callas-Onassis” e ancora “Uno mattina”, “Mi manda Lubrano” e “Telefono Giallo”.

Prende parte a innumerevoli stage internazionali di teatro affiancando grandi attori come Giorgio Albertazzi, Renato Cortesi, Lucia Poli e il concittadino Cosimo Cinieri e a stage di doppiaggio e di cinema.

Da un po’ di tempo torna più spesso nella sua città natìa ed è in una di queste visite in città che cogliamo l’occasione per fotografarlo e per rivolgergli qualche domanda.

 

Massimo, tu sei essenzialmente un attore di teatro ma hai partecipato anche a numerose fiction in televisione. Anche tu, come tanti attori di tv che decidono a un certo punto della loro carriera di respirare la sacra polvere del palcoscenico, ti sei imbattuto nei critici prevenuti che affossano gli attori solo perché personaggi da fiction? E tu credi si possano conciliare le due forme di recitazione?

«Io sono nato, cresciuto con il teatro, dalla scuola di recitazione ai laboratori di perfezionamento e con gli anni di palcoscenico da attore professionista. Non ho mai sentito di sottolineare la mia matrice teatrale, è il curriculum che parla. Alcuni attori che nascono dalle fiction o dal cinema cercano di crearsi un'immagine di attore completo facendo teatro, a volte questa operazione contribuisce a fare spettacoli non sempre all'altezza. Non basta uno spettacolo per diventare attore di teatro. Da noi si doppiano le comparse per risparmiare, altrove anche per piccoli ruoli si chiamano fior di attori».

 

Per due anni consecutivi sei stato tra i protagonisti delle rappresentazioni classiche del Teatro Greco di Siracusa. Cosa ti ha lasciato questa esperienza in terra sicula?

«Nel 2013 e 2014 ho partecipato a ben quattro spettacoli per il teatro greco di Siracusa. Una grossa soddisfazione! Ora a Siracusa mi sento di casa. Il primo spettacolo è stato “Edipo Re”, un grande successo che ha fatto registrare il record assoluto di presenze in tutte le edizioni dei cicli di spettacoli classici. L'anno seguente ho fatto uno spettacolo commemorativo "Verso Argo" dove interpretavo Menelao».

 

Provetto sciabolatore, hai tenuto numerosi corsi di scherma scenica. In cosa consiste e perché è importante per un attore di teatro acquisire tale esperienza? 

«Partiamo dal presupposto che la scherma è uno sport fantastico che consiglio a tutti, grandi e piccini. Io ho iniziato a 38 anni, ad esempio, ed ho fatto anche delle gare. Poi se pensiamo che l'attuale scherma sportiva deriva dai duelli, ecco spiegato il fascino e l' interesse immediato che ho provato impugnando una sciabola. 

Per un attore, o per chiunque si occupi di discipline artistiche, la scherma scenica è una materia fondamentale a mio avviso ma, stranamente, proprio in Italia, terra di tradizione schermistica, è poco frequentata. Solo poche scuole hanno questo corso.

In Italia ci si riduce spesso all'ultimo momento con risultati scarsi o addirittura con la cancellazione del duello. Con la scherma scenica non si acquisisce solo la tecnica schermistica, ma si sviluppano riflessi, concentrazione, coordinamento corporeo, postura, capacità di movimento, controllo del proprio istinto. Il tutto unito a buone doti interpretative crea un duello emozionante. Pratico la scherma da 15 anni e faccio l'attore da più di 25, questo mi ha permesso anche grazie alla grande passione di ricavarmi uno spazio sempre più grande in questo settore della scherma scenica ed interpretativa».

Sei stato il primo ad aver sperimentato tango e scherma. Ci spieghi come si armonizzano ballo e sport?

«La contaminazione di Tango-Scherma, che ho creato, è una mia vecchia idea che ho finalmente realizzato un paio di anni fa, con l'aiuto di Angelica Grisoni, bravissima ballerina prima classica e poi raffinata tanghera. La performance che abbiamo creato si chiama Sin parar, ed è effettivamente la prima volta che al mondo si crea questo tipo di contaminazione. Ovviamente sono fiero di ciò». 

Hai partecipato a spettacoli che si possono considerare “classici” e immancabili in un programma teatrale come l’ “Otello” di Shakespeare o “La patente” di Pirandello, ma anche i “I promessi sposi” e “Il giorno della civetta”. Quale personaggio vorresti che ti proponessero o che ami particolarmente?

«Un ruolo che mi piacerebbe fare è Leone Gala ne "Il giuoco delle parti" di Pirandello. Questo testo l'ho già affrontato ben tre volte in altri ruoli, ma fra qualche anno, quando l'età me lo permetterà, mi piacerebbe interpretarlo». 

Ora vivi a Roma per motivi di lavoro, ma hai vissuto anche in altre città. Se potessi scegliere dove vivere, in quale paese ti fermeresti?

«Ci ho anche pensato in passato e non è detto che lo faccia in futuro: mi piacerebbe tornare a vivere a Taranto. Quando partii la scelta mi sembrava inevitabile ma non è stato mai un addio. In una intervista rilasciata 25 anni fa al compianto “Corriere del Giorno” dichiarai che il mio sogno nel cassetto era quello di costruire un teatro comunale a Taranto che avesse delle strutture imponenti per ospitare tutti i tipi di spettacoli dal teatro alla danza alla lirica. Un teatro provvisto anche di locali per sartoria, falegnameria e sala prove. Nel frattempo vedo che ciò non è ancora tristemente accaduto, spero che accada al più presto e chissà che il mio ritorno non coincida con questa novità storica!».

Hai affermato più volte che fare qualcosa per Taranto, la tua città, ti porta benessere. Puoi spiegarci meglio?

«Il mio amore per Taranto probabilmente è aumentato grazie alla lontananza dalla stessa che ha scatenato, come la chiamano i brasiliani, la ‘saudade’, una voglia che si moltiplica col passare degli anni. La voglia di fare per la mia terra mi genera benessere, aumenta le mie forze e sviluppa idee di promozione e sviluppo culturale e turistico. Servirebbe un maggior sostegno istituzionale e una più forte ricerca di collaborazione tra le parti in causa. Le idee, la voglia di fare devono continuare il loro flusso, interromperlo sarebbe letale».

Nonostante la lontananza dalla tua città natia, ritorni spesso a Taranto. Questo fa intendere un solido attaccamento alle radici. Se ne avessi le possibilità, e se ci fossero le condizioni ottimali, cosa faresti per accrescere la cultura a Taranto?

«Innanzitutto incominciare a fare rete, da soli non si va da nessuna parte, avere l'umiltà di confrontarsi e unire le forze per far camminare le idee. Una città come Taranto deve avere uno sviluppo culturale più intenso e soprattutto coordinato ed aiutato. Le iniziative non mancano, ma spesso non si è a conoscenza delle stesse, o addirittura si sovrappongono. Una voglia di collaborare, sana, produttiva senza gelosie, tesa a realizzare le idee, non a smontarle con critiche preventive, ma impegnandosi seriamente affinché le iniziative giungano in porto. Che in una città di mare, mi sembra naturale».

Uno dei luoghi di cultura musicale di Taranto, l’Istituto Paisiello, nel 2016 molto probabilmente chiuderà. Quest’anno si festeggerà anche il bicentenario della morte del musicista tarantino al quale è intitolato l’Istituto. Qualche giorno fa hai partecipato alla conferenza stampa di presentazione dell’anno paisiellano istituito per commemorare proprio questo evento. Cosa è scaturito da questo incontro con stampa e istituzioni?

«Il ‘Paisiello’, e la sua situazione precaria, sono emblematici e paradossali, e rispecchiano tristemente l'importanza che si dà a Taranto alla cultura e ad una delle sue più vecchie istituzioni . È veramente intollerabile che una così importante realtà non conosca un futuro sereno e proficuo. Sabato 9 gennaio ho partecipato a Palazzo di Città a questa importante conferenza stampa di presentazione del programma delle manifestazioni in onore appunto del musicista. Sarà un  evento imponente che vedrà tra i tanti e qualificati promotori proprio l'istituto Paisiello, sperando che questo possa essere di buon auspicio. Io sono stato chiamato a sviluppare un progetto molto interessante di adattamento teatrale e regia dell'opera di Paisiello "Un matrimonio inaspettato". Composto a San Pietroburgo nel 1779, non è stato mai messo in scena in epoca moderna, sino al 2008, quando il maestro Muti lo ripropose con grande successo. Oltre a curarne la regia, sarò maestro d'armi (è prevista una scena di una preparazione ad un duello) ed anche attore. È un testo brillante, che vedrà la luce questa estate, e sarà preparato e provato interamente a Taranto. Una bella sfida. Speriamo vincente!».

A febbraio invece, sulla scia delle tue esperienze a Siracusa, terrai a Taranto un laboratorio sulla scherma scenica interpretativa e i duelli. Coloro che frequenteranno il laboratorio come saranno avvinati e stimolati alla tua tecnica?

«Dal 12 al 14 febbraio terrò a Taranto, per la prima volta, un laboratorio di scherma scenica ed interpretativa. Sono diversi anni che insegno questa tecnica in varie scuole, dall’Istituto del Dramma Antico a Siracusa, a Officina Pasolini a Roma, e svolgo laboratori in giro per l'Italia. È un'esperienza che consiglierei a tutti, anche a chi non agisce in campo artistico, perché molto formativa e divertente. Così come suggerisco la scherma sportiva: a Taranto c'è un'ottima società il ‘Club Scherma Taranto’, che consiglio di andare a visitare. Da attore mi preoccupo di dare uno spessore interpretativo oltre che tecnico al duello, cerco di dare un sottotesto ad ogni sciabolata, per far vivere agli spettatori le emozioni spettacolari di una sfida. La cosa interessante è che sono le donne le più accanite e curiose! Vi aspetto ed in guardia!!!».

A marzo invece porterai al Tarentum, nella rassegna “Poltronissima” il monologo da te scritto, diretto e interpretato “Ma sei di Taranto? Ma Taranto Taranto”? Ci spieghi come nasce questo titolo?

«Il 17 marzo sarò in scena al Teatro ‘Tarentum’ con questo monologo, che sto scrivendo, dove si parlerà di modi di dire tarantini, usi e costumi nostrani, luoghi comuni, personaggi e luoghi d'infanzia, in modo simpatico, graffiante e, spero, coinvolgente. Il titolo nasce da una constatazione frequente: quando qualcuno mi chiede la provenienza e dico che sono di Taranto loro ribattono ‘ma Taranto Taranto?’. In scena userò anche il dialetto e siccome lo spettacolo lo porterò un giro per l'Italia, mi piace l'idea che si scopra che in Puglia esistono altri dialetti oltre il barese. Devo ringraziare per questa bella opportunità gli amici Lino Conte, Aldo Salamino e Riccardo Rossano. Vi aspetto tutti a teatro!».

Come possiamo agire concretamente per migliorare il futuro di Taranto? Come possiamo lasciare ai nostri bambini una città relegata ormai da 20 anni negli ultimissimi posti per la pessima qualità della vita?

«Taranto ha bisogno di uno sguardo al futuro, c'è bisogno di progettualità. Non si può restare ingabbiati dall'emergenza, è uno status che conviene a pochi, i soliti. Solo con il turismo culturale, ad esempio, si potrebbero creare tante opportunità di lavoro per i giovani e occasioni per l'intero sistema città. Destagionalizzare gli eventi ad esempio. A tal proposito ho suggerito di crearne uno che colleghi con il teatro il Museo Archeologico e il Convegno sulla Magna Grecia. Inoltre creare un gruppo di lavoro che si occupi della riscrittura di testi tratti da frammenti di opere di Rintone, che, attraverso lo studio della pittura vascolare, possa restituire una vera operazione culturale con un testo "nuovo". A Siracusa per gli spettacoli classici, per circa un mese e mezzo, una media di quattromila spettatori gremisce il teatro e porta reddito a tutto l’indotto. Il ‘Festival della Valle d'Itria’ ne è un esempio».

 



Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor