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Ilva/ Fabbrica di voti, fabbrica di morte

Pubblicato da: Categoria: COVER

26
MAG
2016
Continuano le trattative di interesse per la cessione del più grande gruppo siderurgico italiano. E mentre si decide chi parteciperà al salvataggio dell'acciaieria, noi facciamo un passo indietro raccontando la storia che ci ha portati fino qui
 
Nata come polo d’eccellenza della metallurgia meridionale per volere del governo centrale e con la benedizione della chiesa locale, l’Italsider ha presto rivelato la sua vera identità e i suoi scopi politici: contrastare un’antica roccaforte di sinistra che vedeva Taranto come una spina nel fianco di una nazione ormai quasi completamente democristiana. 
Così, con una velocità che mai nessuna opera pubblica del Mezzogiorno aveva visto, terre coltivate da generazioni, famose per la loro fertilità e intere colonie di pescatori che per millenni abitavano le pescose coste di quello specchio d’acqua raro per la sua bellezza, furono spazzate via dalle ruspe. 
Piccoli indennizzi e spesso nulla, allontanarono per sempre le genti da quel paradiso naturale, spesso tacciati di occupazione abusiva, anche se per intere generazioni avevano ormai usucapito quei luoghi. 
Nacque così il più grande bacino elettorale dell'area ionica. 
La pesca e l’agricoltura, con i loro indotti, erano state condannate alla fine. 
I rinomati vitivinicoltori della provincia e i mitilicoltori tarantini, accecati dal miraggio dell'agio e del progresso, abbandonarono i loro campi per correre a lavori che richiedevano manovali alle fornaci, in cambio dei loro voti e di quelli delle successive generazioni. 
Merce di scambio, patto col Diavolo: la vita in cambio di un posto fisso. 
Ormai in ogni famiglia di Taranto e della sua provincia, c’era un operaio che lavorava all’Italsider. Perfino le regioni vicine furono allettate e gli storici impiegati dell’Arsenale di Taranto, abbandonavano il loro passato per correre verso il nuovo. 
Ma il popolo tarantino aveva ancora i propri principi radicati. Quando la dirigenza dell’Italsider prima e di ILVA poi, mostrò i suoi intenti di sfruttamento, si scontrò con il Movimento Operaio supportato dalla sinistra tarantina e dai sindacati. Lotte che portarono a una maggiore dignità del lavoratore e rispetto del lavoro. 
Questo sino a quando le identità politiche erano ancora chiare e precise. Perché negli anni ’80 cominciò il grande cambiamento della sinistra e la frammentazione della Democrazia Cristiana che, dall’area di centro, finì per invadere l’intero arco costituzionale. 
Ci fu un grande fervore nella nuova classe sindacale tarantina che, partendo con il sano principio di tutelare i diritti dei lavoratori, finì con il mediare con gli interessi politici, quelli economici e in fondo quelli degli operai. Più posti di lavoro in cambio del silenzio. 
La Città dei Due Mari, colonia magnogreca, terra di Falanto, patria di Icco, ora era divenuta famosa per una fabbrica. 
E in tutto questo, Taranto scompariva dietro ad una coltre di fumi e polveri venefiche. Quel rosso intenso, alternato dal nero profondo, coprivano ogni cosa, inghiottivano tutto. Come le sue genti che lentamente morivano, come un’abitudine, nel silenzio della normalità. 
La stessa rassegnazione che avevano, alcuni secoli prima, i popoli falcidiati dalla peste di Milano o Venezia. 
O lavoro e morte o il nulla. E’ questo il ricatto che è stato perpetrato per decenni. Questa la condizione proposta a chi ha alzato il capo e aperto gli occhi. 
Ma è stata sottovalutata la costanza, la tenacia e la forza della gente di Taranto. Eredi di popoli forti e temerari. 
L’urlo di rabbia e dolore ha scosso gli animi e le coscienze sino a farsi sentire ovunque. Ormai era impossibile nascondere quel crimine perpetrato da alcuni decenni con la complicità dello Stato. 
La Fabbrica della Morte doveva smettere di mietere vittime e distruggere storia e territorio.  
Tanti piccoli eroi hanno spezzato quella catena portando gli autori sul banco degli imputati al cospetto della Giustizia. 
Un processo, però, che ricorda quello di Norimberga. Troppo tardi, con pochi imputati e senza tutti i veri artefici. Sul quel banco c’è chi ha pensato di tutelare i lavoratori a qualsiasi prezzo, chi è divenuto ingranaggio di una macchina del silenzio e della corruzione, chi convinto criminale. 
Gli altri morti o nascosti in una nuova classe politica.   
Eppure quelle foto di giovani e bambini piccolissimi così diffuse nelle case dei tarantini, avrebbero dovuto allarmarci. 
Prima. Molto prima. 
 


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