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LOTTA AL CAPORALATO/IN MEMORIA DI PAOLA

Pubblicato da: Categoria: COVER

20
APR
2017

Da San Giorgio Ionico un drammatico episodio di caporalato è balzato all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e ha cominciato a scuotere le coscienze. Così, da alcuni anni a questa parte, notevoli risultati si sono raggiunti sul piano legislativo sia in termini di prevenzione che di lotta al lavoro nero nel settore dell’agricoltura

Paola Clemente era una donna molto attenta alla sua famiglia, contraddistinta da una grande forza di volontà e senso del sacrificio. Ogni mattina, prima dell’alba, la sveglia della signora Paola suonava alle tre e da quell’ora in avanti le aspettava un sole cocente a fare da cornice tra le campagne del barese, fino a quando alle ore sedici circa non staccava per rientrare a casa, come da solita routine lavorativa. Neanche il tempo di riposare che già l’indomani si faceva avanti.
La signora Paola era una donna umile e coraggiosa, e certamente non aveva paura né della fatica, né del sudore, né dei tanti chilometri di strada che giornalmente macinava sotto le suole delle sue scarpe. Quello che contava, infatti, era portare a casa il pane e contribuire a mandare avanti una famiglia, anche a costo di umiliarsi alla mercé del più forte.  
Ma qualcosa, quel maledetto 13 luglio 2015, deve essere andato storto. Anche quel giorno la quarantanovenne di San Giorgio Ionico si alzò dal letto per recarsi alla fermata dell’autobus e percorrere la solita tratta stradale alla volta delle campagne di Andria e Barletta. Ed anche quel giorno sapeva che avrebbe guadagnato quelle poche 27 euro per 8 ore di duro lavoro di acinellatura delle viti, che talvolta diventavano 10 quando bisognava caricare il raccolto sui tir. Ma forse non sapeva, invece, che la stanchezza accumulata da più giorni nel giro di alcune ore le avrebbe giocato davvero un brutto scherzo alla vita.
Purtroppo, in uno dei giorni più caldi dell’estate, i soccorsi non riuscirono a fare abbastanza: così la notizia della tragica scomparsa della signora Paola cominciò subito a ridondare sugli schermi dei maggiori notiziari nazionali, aprendo la strada anche a delicate inchieste dagli inaspettati risvolti giudiziari.
Difatti, da quanto è poi emerso dalle indagini svolte dalla Procura di Trani, la lavoratrice sangiorgese - bracciante agricola in attività da più di trenta anni - era sottopagata e sfruttata: si parla di una differenza retributiva di circa il 30% tra quella inserita in busta paga e quella realmente percepita (spesso veniva anche dichiarato un numero di giornate lavorative inferiori rispetto a quelle effettivamente svolte). E ben presto si è giunti all’arresto di sei responsabili, dediti a un’attività organizzata di caporalato.
Purtroppo, il caporalato è un fenomeno di economia sommersa e sfruttamento assai diffuso in Italia, soprattutto nel meridione. Attualmente non c’è una definizione univoca di caporalato, tuttavia con tale termine s’intende certamente una forma illegale di reclutamento e organizzazione di forza lavoro da parte di intermediari (i caporali, appunto) che assumono per conto di un imprenditore operai giornalieri oltre i normali canali di collocamento e senza rispettare le comuni tariffe sui minimi salariali previsti dai contratti collettivi. E come l’agricoltura anche altri settori, quale ad esempio quello dell’edilizia, sono investiti da questa piaga sociale.
In particolare, il caporalato si fonda sulla capacità del caporale di reperire la manodopera operaia a basso costo, spesso trattenendo per sé una parte del compenso: in pratica un’attività organizzata volta all'elusione delle normative sul lavoro, anche per quanto riguarda la disciplina dei contributi previdenziali, che lede al contempo la dignità ed ogni forma di diritto umano del lavoratore. Una vera e propria prevaricazione che germina e specula sul bisogno vitale di lavoro e di sostentamento delle persone, per lo più donne e lavoratori stranieri.
Sotto il profilo normativo, c’è da dire però che molto si è fatto in questi ultimi anni per prevenire e ostacolare ogni forma di agromafia: un giro di economia illegale e sommersa che - secondo quanto ha stimato il terzo rapporto “Agromafie e caporalato” dell’osservatorio “Placido Rizzotto” della Flai Cgil - muove  un volume d’affari che si aggira tra i 14 e i 17 miliardi di euro.
Già nel 2011 si è introdotto, infatti, nel codice penale il reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, perseguito con pene severissime per i caporali che arrivano fino anche alla reclusione. Altro passo importante si è fatto nel 2016, laddove il legislatore non solo ha riformulato il reato inasprendone le pene ma ha altresì rafforzato alcuni strumenti di controllo e previsto una serie di interventi di politiche attive in funzione di prevenzione e contrasto al lavoro nero in agricoltura.
Come visto, il sacrificio di Paola quanto meno ha smosso le acque. Ma c’è tanto lavoro da fare, soprattutto in termini di approccio culturale al problema: non basta quindi solo intensificare i controlli ma occorre anche affermare con forza la cultura della giustizia e della legalità. Occorre che ognuno - dal singolo imprenditore ad ogni professionista del settore, dall’amministratore locale di turno ad ogni persona che svolge il difficile ruolo di educatore sociale (che sia un parroco, un professore) - prenda coscienza della questione nel proprio intimo e traduca ogni buon proposito in un’azione concreta di diffusione dei principi di legalità e difesa del più debole. Ed anche quando le preghiere non bastano più, per cambiare bisogna non lamentarsi ed andare oltre: cominciare a denunciare e ribellarsi a un sistema malsano.
 



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