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FRANCESCO TURRISI / LA MIA MISSIONE TRA CIELO E TERRA

Pubblicato da: Categoria: COVER

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LUG
2017

Un grande uomo, militare, ecologista e amante della storia ha comandato per due anni lo SVTAM (Scuola Volontari di Truppa Aeronautica Militare) di Taranto. Il Top Gun, al termine del suo mandato, ci racconta quanto sia al contempo meraviglioso e complesso svolgere il proprio compito in un mondo nel quale "l’unica certezza per il futuro sia l’incertezza"

Percorrendo il ponte Punta Penna, infinite volte ho osservato dall’alto lo SVTAM e altrettante volte ho pensato che fosse una comunissima base dell’Aeronautica Militare, come tante che avevo avuto occasione di visitare, poiché figlia di ufficiale dell'arma.
Entrata per incontrare il Comandante, il Colonnello Francesco Turrisi, in compagnia del Maresciallo Angelo Caputo a farmi da guida, mi sono imbattuta subito in caseggiati verdi, circondati dagli alberi, un po’ tristi a prima vista ma tipici dell’ambiente militare. Mentre percorrevamo il viale in direzione dell’Ufficio Comando, ad un certo punto, una meravigliosa sorpresa si è spiegata dinanzi ai miei occhi: l’insenatura del Mar Piccolo, incorniciata dal verde. Sembra quasi di trovarsi in un bellissimo giardino di una antica villa signorile. Non avevo mai assistito a un simile spettacolo in una base dell’Aeronautica.
Sulla destra si può scorgere l’imponente Palazzo Brasini, realizzato dall’omonimo architetto nel 1925, sede del Comando aeroportuale di Taranto per parecchi decenni. Questo è davvero il fiore all’occhiello della base militare, costruito in un punto strategico per permettere di godere della vista del Mar Piccolo e recante sui due pilastri esterni la scultura di due aquile, emblema dell’Arma Aeronautica. A sancire la sua funzione anche la planimetria del palazzo che ha, appunto, la forma di un idrovolante.
Questa presentazione, oltre a descrivere l’ambiente nel quale si è svolta per ben due anni la missione del Comandante Turrisi, è utile a comprendere la straordinaria opera che il Colonnello ha compiuto contribuendo a preservare le bellezze della città di Taranto. L’opera di valorizzazione del territorio che ha svolto durante il suo mandato è tangibile, basta semplicemente guardarsi attorno. Tutto riconduce alla sua persona, anche l’abbattimento della vegetazione selvaggia che ricopriva e nascondeva una antica ferrovia che attraversa la base militare tagliandola in due.
Il Maresciallo Caputo ha descritto con toni entusiastici il suo Comandante, tratteggiandolo più come un amico che come un superiore, ma soprattutto come un “uomo buono”, capace di intenerirsi e correre dal veterinario per aiutare un gattino malato.
Senz’altro arrecherà molto dispiacere il termine del suo mandato. Si rimpiangerà il militare, l’uomo e il pioniere giacché ha operato una concreta apertura del mondo militare verso la città di Taranto. L’Arma Aeronautica, grazie a lui, non rappresenta più una realtà avulsa dal contesto, chiusa tra le mura della caserma, distante dalla popolazione, ma è riuscita ad adeguarsi alla società in continua evoluzione, integrandosi con le proprie regole ed entrando a far parte operativamente del contesto nel quale agisce.
Entrati nell’Ufficio Comando, ad attenderci all’ingresso c’è il Colonnello Turrisi. La sua immagine si discosta da quella dell’immaginario collettivo ovvero dal classico comandante in alta uniforme. Si è presentato dinanzi a me un ragazzo in tenuta mimetica. Ciò che colpisce, però, è il sorriso che scaturisce da una bontà interiore palpabile, che la vita e le esperienze non sono riusciti a cancellare.

L’Arma Aeronautica è per la Nazione un importantissimo riferimento per la difesa dello spazio aereo ma è anche una grande famiglia allargata. In quale momento della Sua vita e perché ha deciso di intraprendere questa “missione” giacché non si può ritenere semplicemente un lavoro?
La mia passione nasce tanto tempo fa, quando fui colpito dal fascino dell’Arma Azzurra che sui ragazzini esercita da sempre un appeal particolare. Inoltre appartengo alla generazione “Top Gun”, affascinata notevolmente dal ruolo rivestito dall’Aeronautica. L’opportunità di fare del bene e di essere al servizio della patria, unita alla possibilità di volare, è stata la molla propulsiva che ha fatto scattare in me la passione per questa “missione” e mi ha spinto a effettuare questa scelta.

In quale settore specifico Lei opera e come è cambiata l’Aeronautica a seguito delle ultime vicende nazionali ed internazionali?
Da quando sono entrato in servizio nel 1988, l’Aeronautica è cambiata moltissimo. Fino alla caduta del “Muro di Berlino” il nemico era al di là del muro di cinta e noi eravamo i “buoni”. Adesso la situazione è variata nel senso che “l’unica certezza per il futuro è l’incertezza”. Bisogna essere preparati a prevedere gli eventi in continuo divenire in tempi brevissimi, a differenza di quanto accadeva in passato. Non ultimi gli atti terroristici ai quali assistiamo frequentemente. Il problema consiste, ad esempio, nell’acquisizione dei sistemi d’arma: gli aerei o le navi; questo era un processo che poteva durare addirittura anni, se non decenni. Oggigiorno siamo costretti a essere più reattivi sia come mezzi che come formazione del personale. Tutto ciò è molto interessante poiché ci costringe a studiare e a confrontarci con le altre nazioni, per essere sempre sulla cresta dell’onda.
Prima i ruoli delle Forze Armate erano stereotipati: l’Aeronautica presiedeva il controllo dello spazio aereo e la Marina di quello marittimo, adesso è tutto più interattivo. Bisogna essere pronti a fare ciò che è più utile per il Paese, dal controllo dei cieli alla partecipazione alla missione “strade sicure” per il controllo del territorio. A Taranto c’è anche un hotspot per la gestione degli emigrati, nel quale l’Esercito gestisce l’aspetto della sicurezza e il personale viene ospitato dall’Aeronautica. Questo lavoro interforze ha superato i compartimenti stagni del periodo precedente, lasciando spazio ad un lavoro di squadra tra le varie Forze Armate.

Come si è rivelato il compito di conciliare la carriera militare con la famiglia e gli affetti, facile o complesso?
Assolutamente complesso! Il problema del comando è quello di non riuscire mai a staccare la spina. Mentre in una qualsiasi professione o anche in un ruolo militare diverso si termina di lavorare a un orario preciso, si torna a casa e la mente è totalmente devoluta ai problemi familiari, nel mio caso si rincasa ad un orario indeterminato e si continua a pensare al lavoro. A un certo punto ci si comincia addirittura a svegliare nel cuore della notte, rimuginando sulle azioni da compiere il giorno successivo. E’ un periodo bellissimo ma logorante.
La formula dei due anni di comando, raramente di tre, che esiste in Aeronautica, per taluni è disorientante ma presenta aspetti positivi e negativi. Senza dubbio c’è un forte entusiasmo e una grandissima capacità di mettersi in gioco, pertanto si riesce a fare parecchio con molta passione. Ad un certo punto è necessaria, però, una pausa pertanto questo ruolo va bene ma nelle giuste dosi.

Ha viaggiato molto in Italia e all’estero per le svariate “missioni”? Quale tra queste ha lasciato più di tutte su di Lei un segno indelebile?
Ho viaggiato non molto ma moltissimo. Grazie all’Aeronautica, nel bene e nel male, ho potuto girare i due terzi del mondo.
Da un punto di vista umano mi ha colpito molto la missione in Canada. Ad un certo punto della mia carriera le Forze Armate, come ogni anno, hanno svolto gli addestramenti a Terranova e mi hanno destinato alla regione più a nord del Canada. Durante le trasvolate è stato emozionante ammirare i territori selvaggi, l’aurora boreale, gli iceberg e gli alci. Mi è rimasta nel cuore la sensazione di sentirmi vicino ai confini del mondo. Da un punto di vista naturalistico anche l’Islanda è una terra incantevole.
Sotto l’aspetto operativo, l’esperienza in Afghanistan ha lasciato il segno. Trovarsi in una regione così affascinante ma devastata e sentirsi in territorio di guerra dall’oggi al domani è una esperienza che non dimenticherò mai. Sono partito dall’Italia in estate, periodo di vacanza, e mi sono ritrovato in quella terra ad indossare il giubbotto antiproiettile, munito di pistola, e tutto ciò mi ha notevolmente colpito.      


In una società dove i giovani sono abituati al benessere ottenuto con il minimo sforzo, come si pongono le nuove leve rispetto al rigore militare? Ritiene che sia necessaria una maggiore preparazione di base arricchita da studi specialistici?
Questo è un problema che ho vissuto in prima persona giacché in questa base si addestra il personale di truppa volontario, non esistendo più il servizio di leva. Con rammarico ho notato una certa diffidenza dei ragazzi nei confronti del mondo militare. La maggior parte asserisce che la vita in Aeronautica, a ricevere ordini, non gli si addica. Tutti sappiamo quanto il mondo civile sia complesso poiché esiste un datore di lavoro e il mercato globale ha portato a istituire e rendere le regole molto più difficili da accettare. I ragazzi, purtroppo, maturano troppo tardi l’idea che nel mondo civile, così come in quello militare, si debba obbedire; in genere hanno già superato i venti anni e spesso è tardi per potersi arruolare.
L’Aeronautica e le Forze Armate si basano su precise regole etiche e su valori altruistici. L’attuare una scelta che induca a pensare al lavoro anche al di fuori dell’orario d’ufficio e lo spirito di sacrificio non sono ben radicati nei giovani di oggi.
I motivi sono molteplici: la scarsa informazione e la visione del mondo militare come se fosse avulso da quello civile, segreto. Invece non è così, cerco di trasmettere questo messaggio e l’apertura di questa base, durante il mio mandato e quello del comandante che mi ha preceduto, sono rivolti in tale direzione. Questo luogo, abbastanza sconosciuto ai tarantini, si è preservato grazie alle Forze Armate, viviamo in un’oasi praticamente ignorata dalla popolazione.
Il ruolo del militare, come dicevo, oggigiorno è cambiato ed è soprattutto morale e a tutto tondo. Bisogna assicurare lo spazio aereo, preservare il territorio, tramandare la storia e i valori etici: l’onore, la lealtà e la patria di cui oggi si sta perdendo sempre di più la consapevolezza.

Dalla cronaca si apprende che l’equipe della base militare e il Comitato Scientifico del WWF di Taranto, in Sua presenza, hanno curato e liberato due esemplari di gheppio (Falco tinnunculus). Come è nata la cooperazione tra lo SVTAM di Taranto e il WWF?
Ho sempre avuto un occhio di riguardo per l’ecologia, fa parte del mio DNA. La sensazione che ho ricevuto appena giunto in questa base è che fosse deserta, sebbene bellissima, e ne ho apprezzato molto le potenzialità naturalistiche. Era come avere un bel salotto, ben arredato, che meritava di essere condiviso con gli amici, in particolare con il WWF che ha bisogno di collaborazioni importanti. Il Mar Piccolo non appartiene alle Forze Militari ma è di tutti e questa cooperazione ha procurato benefici ad entrambi giacché loro pattugliano il luogo, aumentando così il controllo, e assieme abbiamo provveduto anche alla pulizia del litorale.
Sono state realizzate molte bellissime iniziative, oltre alla liberazione del gheppio c’è stata anche quella della Caretta caretta (tartaruga comune), specie facile da rinvenire nel Mar Piccolo.
E’ una bella collaborazione, di grande successo, che ha infranto la barriera tra mondo militare ed ecologisti. Non esistono segreti ma tante difficoltà che si possono superare solo cooperando; restare chiusi in compartimenti stagni non conduce a nulla di fatto.

Taranto ha in programma la realizzazione di un Ecomuseo che valorizzi le bellezze naturali della città e del Mar Piccolo. In che modo lo SVTAM collaborerà all’attuazione di tale progetto?
Il progetto del WWF è già in essere, sono stati stanziati i fondi ed è di tipo itinerante, cioè di conoscenza del Mar Piccolo. Il secondo seno, che è quello sul quale si affaccia la nostra base, è bellissimo e incontaminato ma non ci sono vie d’entrata con darsene e banchine. Questo è stato uno dei motivi che ci ha spinti a stringere l’accordo con il WWF, dando al personale il permesso di entrare e di eseguire le ricerche e, laddove fosse necessario, diamo il nostro supporto.

Mi sembra di aver intuito che Lei sia un appassionato della storia in genere, a maggior ragione di quella dell’Arma Aeronautica, al punto da realizzare la ricostruzione del Macchi M5 da guerra, in copia conforme all’originale. Cosa l’ha spinta precisamente, a che punto del progetto siete giunti e per quando è programmato il primo decollo?
Il progetto è quasi terminato, forse occorreranno un paio di settimane. E’ stata una scoperta fantastica di quel pezzo di storia dell’Italia e di Taranto che è stato dimenticato, cancellato, perché appartiene al ventennio nero del Fascismo ed è quello dei pionieri dell’aria, dei trasvolatori.
Ho realizzato tante ore di volo, so cosa voglia dire affrontare il cattivo tempo coi mezzi moderni e la scarica di adrenalina che provochi. Oggi sarebbe una follia effettuare le trasvolate che questi uomini realizzavano con mezzi a motore, costruiti in tela e legno, nel 1925. Francesco De Pinedo, che fu il primo a frequentare il corso a Taranto e che ha scritto il libro “Un volo di 55000 chilometri”, ha compiuto una trasvolata con tappe a Melbourne e Tokyo. Immaginiamo di notte, in mezzo ai monsoni, in territori sconosciuti: il pilota, il meccanico e l’aereo, che era diventato come il terzo rappresentante della famiglia. Parliamo di una impresa epica al pari di quella di Cristoforo Colombo con le tre caravelle.
Anche le trasvolate di Italo Balbo, alcune partite da Taranto, voli di massa di venti/trenta aerei nel 1930, sono imprese bellissime che devono essere tramandate. Il Fascismo è stato negativo, un disastro, ma ci sono degli episodi, che risalgono al periodo precedente la guerra mondiale, di puro ardimento che non hanno nulla a che vedere con il mondo militare fascista. Erano pionieri, avventurieri come Cristoforo Colombo.
Al Nord Italia, come a Desenzano e a Bracciano, c’è una certa cultura in proposito; a Taranto, invece, tutto è stato dimenticato. Mi sono reso conto che c’era l’idroscalo ma non l’idrovolante; ho lanciato questo progetto e abbiamo realizzato il velivolo di Luigi Bologna, Tenente di Vascello, al quale è intitolata la base. Lo abbiamo ricostruito con tanto entusiasmo, con la collaborazione di gente motivata e più fiera di far parte dell’Aeronautica dopo questo progetto.
Il 15 Luglio ci sarà un Open Day organizzato dal FAI in notturna. Qui di notte il paesaggio è fantastico, c’è il lungomare e il Palazzo Brasini illuminato, un’atmosfera gotica che mi piacerebbe condividere con il territorio. Per tale data dovrebbe essere ultimato il Macchi M5, altrimenti al cambio del comando, a fine luglio, avremo il “ritorno dell’idrovolante” nel Mar Piccolo.
 
E’ ammirevole il contributo che lo SVTAM ha prestato a preservare le bellezze della città di Taranto e non solo. Durante il Suo comando ha realizzato delle collaborazioni davvero importanti. Se Lei dovesse compiere un’autoanalisi ed un bilancio di questi due anni, si riterrebbe pienamente soddisfatto? O avrebbe desiderato realizzare qualche altro progetto utile alla collettività?
Qualche altro progetto senz’altro, ad esempio una sorta di Museo Militare Aeronautico a Taranto. Di questa città si parla molto in termini di potenzialità turistica, ma ha anche una grandissima opportunità non sfruttata che è quella del mondo militare.
Ho vissuto tre anni negli Stati Uniti, a Pensacola, città della US Navy, che possiede un Museo della Marina eccezionale, con un elevatissimo numero di turisti provenienti da tutto il mondo. In Italia esiste il Museo dell’Aeronautica di Vigna di Valle, di altissimo pregio e valore; però Taranto ha una enorme potenzialità in campo navale e aereonautico.
L’appeal del Museo Militare è notevole sui ragazzini, soprattutto sui maschietti e anche un po’ sulle signorine. In tal senso qualcosa abbiamo realizzato, ad esempio la costruzione dell’idrovolante, però mi sarebbe piaciuto prestare un maggiore contributo in questa direzione.

Cosa la attende nell’immediato futuro e quali sono i Suoi progetti?
Dedicarmi alla famiglia, ai miei hobby: però è un’altra storia e occorrerebbero fiumi di inchiostro per parlarne. C’è tutto un mondo che sto esplorando negli ultimi anni, interessantissimo, e riguadagnare un po’ di libertà mentale per dedicarmi ai miei interessi non mi dispiace.

Tutto questo e molto di più è il Colonnello Francesco Turrisi, uomo e militare più unico che raro. Sono pochi gli uomini di così elevato rigore etico che hanno attraversato la mia vita e, dopo averlo conosciuto, comprendo perfettamente il dispiacere dei militari della base di Taranto che non vedranno più questa meravigliosa persona spostarsi in bicicletta nei vialetti dello SVTAM.



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