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STEFANO RUSSO/IL SOLE VISTO DA UN PERISCOPIO

Pubblicato da: Categoria: COVER

7
SET
2017

Scendere negli abissi del mare: un privilegio che costa sacrificio e disciplina raccontato da chi ha eletto il sommergibile come sua seconda casa. Fierezza, valore e orgoglio di colui che è militare nel cuore prima che nei gradi

Ritengo di poter affermare che conoscere e intervistare il Comandante Stefano Russo sia stata una delle esperienze più appassionanti e affascinanti che abbia mai vissuto. Ascoltare le meravigliose narrazioni di questo Capitano di Vascello e visitare un sommergibile non è certo consuetudine.
Questa unità della Marina Militare è dotata di grande fascino ed è avvolta da un alone di mistero. Tali caratteristiche hanno reso attraente questo mondo al punto che, se non fosse esistito, si sarebbe dovuto inventare. Ebbene Giulio Verne, nel 1870, con “Ventimila leghe sotto i mari”, ha realizzato un romanzo fantascientifico per l’epoca, inventando letteralmente l’esistenza del “Sottomarino Nautilus”.
Anche la cinematografia si è ampiamente occupata dell’argomento sommergibili, sia utilizzando un approccio comico, come in “Operazione sottoveste”, preconizzando nel 1959 la presenza di donne all’interno di un sommergibile, sia mediante un approccio avventuroso, come in “Caccia a Ottobre Rosso”, del 1990 ambientato durante la Guerra Fredda.
Immaginatevi, dunque, che grande emozione abbia provato quando si è aperto il portellone e quel mondo, fino ad allora solo immaginato, mi si è concretizzato davanti agli occhi. Alla stessa maniera dei sommergibilisti, sono scesa aggrappandomi alla scala ripida che conduce al primo piano. Gli spazi all’interno di un sommergile sono decisamente angusti e, sebbene la visita guidata sia stata enormemente piacevole, si può immaginare quanto sia difficile vivere per giorni e giorni, condividendo aree limitate, con altre ventisei persone. Vita decisamente spartana che, solo chi è dotato di una psiche ben salda e immensa passione, può sopportare.
Molta parte di questa attività si è svolta e si svolge in totale segretezza, così come richiede la logica militare. Oggi, però, possiamo tutti comprendere, non solo attraverso i racconti, ma anche mediante le visite guidate, quanto possa essere stato difficile, soprattutto in passato, lo svolgimento delle mansioni all’interno di un sommergibile. Attualmente i comfort sono aumentati, infatti per salvaguardare i ritmi circadiani si illuminano gli ambienti con luce bianca di giorno e rossa di sera, ma si sente comunque la mancanza del sole che accarezza la pelle. Anche coloro che sono abituati a questo stile di vita, durante le lunghe missioni, talvolta chiedono di poter ammirare la luce solare quando il sommergibile viaggia a quota periscopica. Questa immagine dal risvolto umano molto commovente esprime l’essenza dell’enorme sacrificio che, tutti coloro i quali si arruolano in questa unità, hanno compiuto sin dall’epoca del Secondo Conflitto Mondiale.
Mi ha emozionata vedere nel museo i resti di alcuni sommergibili, le vesti e l’ostensorio di un sacerdote che, per lungo tempo, ha fatto parte dell’equipaggio di un sommergibile durante la Seconda Guerra Mondiale e la divisa di un sommergibilista donata dai suoi figlioli, a futura memoria. I nomi dei più illustri comandanti di questo periodo rimarranno per sempre nella storia, così come l’elenco di tutti i sottomarini, salpati dai porti italiani per missioni di guerra, e del relativo equipaggio. Erano tutti riportati su un grande libro, adagiato aperto su un leggio nel museo, recante una dicitura, in calce al foglio, che riferiva se, al termine dell’impresa, i suddetti sommergibili fossero rientrati o dispersi.
Per narrare questa esperienza occorrerebbero fiumi di inchiostro. Nonostante ciò non posso omettere di descrivere la meravigliosa sensazione che ho provato quando mi hanno fatto sperimentare l’ebbrezza dell’immersione nelle profondità marine, mediante il simulatore impiegato nella Scuola dei Sommergibilisti di Taranto per l’addestramento. Ho avvertito un leggero capogiro e sentivo la pressione su di me aumentare gradatamente; quando poi si sono mimate le condizioni di mare agitato ho compreso che, decisamente, questa non sarebbe potuta mai essere la mia professione!
Indiscutibilmente, questa avventura ha fatto accrescere in me l’ammirazione per chi svolge questa missione con tanta dedizione. Tra questi valorosi militari ho avuto l’onore di conoscere il Comandante Stefano Russo. Il desiderio di trasmettere la sua passione per l’unità dei sommergibilisti, il luccichio dei suoi occhi e lo sguardo sorridente e bonario, sono state le sue prime caratteristiche che mi hanno colpita. Nel corso della nostra chiacchierata sono emerse anche la fierezza, il valore e l’orgoglio di colui che è militare nel cuore prima che nei gradi.  
         
La Marina Militare è dotata della componente dei Sommergibilisti che esercita un fascino particolare, soprattutto sugli appassionati della Seconda Guerra Mondiale. In quale momento della Sua vita ha deciso di intraprendere questa strada e qual è il motivo di tale scelta?
Sono diventato un Sommergibilista non per innata passione, ma per esperienza diretta.
Dal balcone di casa, poiché sono originario di Taranto, da piccolo osservavo le navi che si andavano a rifornire in località “Chiapparo”, dove oggi c’è la base navale, che all’epoca non era stata ancora ultimata. In realtà, dunque, inizialmente ero appassionato di navi.
Durante l’imbarco estivo da aspirante Guardiamarina, quando ero ancora allievo dell’Accademia, ho avuto l’opportunità di fare delle uscite in mare sui sommergibili. In quell’occasione c’è stato il fatidico “colpo di fulmine”. Ho particolarmente apprezzato le peculiarità del mezzo, completamente differenti dalla classica nave di superficie. Il sommergibile nasce per essere invisibile, pertanto sono stato molto affascinato dall’idea di poter osservare altri mezzi, senza che questi alterassero il proprio comportamento.
Mi ha molto colpito, inoltre, la professionalità degli equipaggi, la familiarità che si crea all’interno di un sottomarino, anche e soprattutto la figura del comandante. Quest’ultimo era riconosciuto dal personale di bordo come tale, non per il grado e il ruolo rivestito, ma per l’autorevolezza esercitata nei confronti dei subalterni.
Ho riprovato le medesime sensazioni e la mia propensione mi è diventata chiara qualche anno dopo, in occasione della visita alla sala storica della Scuola Sommergibili, pregna di racconti e cimeli appartenuti prevalentemente a comandanti ed equipaggi che hanno partecipato alla guerra sottomarina, durante il Secondo Conflitto Mondiale.  

Come si è evoluta la Sua carriera?
La mia carriera si è svolta per la maggior parte nell’Unità Sommergibilisti, a parte una parentesi di comando su una nave. Sono molto affezionato a questo ambiente, giacché in esso sono cresciuto. Ho raggiunto l’apice da ufficiale imbarcato come comandante del Sommergibile “Pelosi”, dopo circa dieci anni di impiego e di ruoli all’interno di questo mezzo.
Mi sono occupato molto di addestramento, infatti ho ricoperto l’incarico di Direttore della Scuola Sommergibili; successivamente sono stato Comandante in Seconda delle Forze Subacquee e negli ultimi due anni Comandante della Flottiglia Sommergibili, raggiungendo la summa dei ruoli ai quali potessi aspirare. Quando ho assunto questa mansione, infatti, ero molto emozionato.  

Quale ruolo svolgono i Sommergibilisti oggi in Italia e come si è trasformata questa unità, in seguito ai cambiamenti dello scenario nazionale e internazionale?
In questi ultimi due anni sento di aver partecipato al progresso dell’impresa, ne sono testimonianza i successi delle recenti missioni.    
Al contrario di quanto accadeva durante la Guerra Fredda, quando il Sommergibile era un sistema d’arma che veniva addestrato e preparato per fronteggiare la minaccia sovietica, in particolare nel Mediterraneo, oggi, poiché questo mare è senz’altro un punto nevralgico, sia per interessi commerciali che politici, il suo ruolo è cambiato. Si è molto sviluppata la sua sensoristica, dato che la funzione dei nostri Sommergibili è quella di raccogliere dati di “intelligence”, di sorvegliare e contrastare i traffici illeciti: armi, droga, terrorismo internazionale e di controllare inquinamento, flussi migratori e fenomeni di pirateria.
In definitiva, si sfrutta la peculiarità principale del sommergibile, della quale accennavo in precedenza: osservare rimanendo invisibili, se il comandante e l’equipaggio stanno lavorando bene, così che l’oggetto monitorato non modifichi il suo comportamento.
Ad esempio, quando le ONG non provvedevano al recupero dei profughi in mare davanti alla Libia, gli scafisti utilizzavano navi madre che rimorchiavano i barconi con gli immigrati. A qualche centinaio di miglia dalla costa, tranciavano il cavo e abbandonavano gli sventurati al proprio destino, non prima di averli dotati di telefonino per chiamare i soccorsi della Marina Militare o della Capitaneria. Alcuni nostri sommergibili hanno filmato queste operazioni degli scafisti, inviando alla procura il materiale necessario per spiccare mandati di cattura internazionali, procedendo all’arresto di questi individui.
Questo è un esempio di lavoro di gruppo dei sommergibili in supporto alle navi, che si è concluso con arresti importanti.   

Tecnologicamente si è raggiunta la massima evoluzione nei sistemi di funzionamento di un sommergibile?
Tutto quello che si riesce a realizzare è possibile grazie alle innovazioni tecnologiche che ci sono state nel corso degli anni sui sommergibili. Ad esempio, si sono realizzati periscopi più sofisticati, con una definizione migliore rispetto al passato; c’è la possibilità di inviare video delle dimensioni di diversi gigabyte alle stazioni a terra con una maggiore velocità, grazie alle attuali comunicazioni satellitari, migliori di quelle classiche.
Questo è il modo in cui la tecnologia applicata ai sommergibili è venuta incontro agli attuali scenari nazionali ed internazionali.         

Come riesce un sistema d’arma di questa portata a restare invisibile al potenziale nemico e al contempo avvistarlo?
Questo è il punto focale e perciò si fa molto leva sull’addestramento; pertanto esiste una Scuola Sommergibili, che è il centro d’eccellenza nella formazione del personale proveniente dalla Marina Militare che decide di confluire in questa unità.
I Sommergibilisti frequentano un corso e un tirocinio base uguale per tutti, ufficiali e sottufficiali, che serve per ricevere i primi rudimenti generali sulla complessità del mezzo e sulle dotazioni di sicurezza, dopodiché si specializzano in maniera differenziata, a seconda che siano ufficiali o sottufficiali o della categoria rivestita.
Esistono anche gli addestramenti di team, ovvero di equipaggio, poiché dopo la specializzazione bisogna imparare a lavorare con il resto del personale di bordo. Per fare ciò si utilizzano dei sofisticati simulatori, sui quali abbiamo investito tanto nel recente passato, che consentono di replicare gli scenari che si potrebbero presentare sul sommergibile e permettono di preparare l’attività che si dovrà svolgere. Questo ci consente di risparmiare ore di moto per l’addestramento, che si possono utilizzare per le attività operative, senz’altro più appaganti.

Come definirebbe un sommergibile e quali sono gli strumenti e le apparecchiature nevralgiche che ne garantiscono il funzionamento?
Una missione tipo è di circa venti giorni, dopodiché il sommergibile fa una sosta per rifornirsi di viveri, di gasolio o di idrogeno e ossigeno, nel caso degli ultimi battelli.
Ciò che fa muovere il mezzo è il motore elettrico che fa girare l’elica, e per essere alimentato necessita di batterie. Esse si ricaricano mediante lo “snorkel”, cioè si torna a quota periscopica, si estrae la canna “snorkel” e si prende l’aria per far funzionare i motori diesel, che ricaricano le batterie.
I nuovi sommergibili, che derivano da un progetto in cooperazione governativa tra Italia e Germania, sono caratterizzati dall’avere la suddetta propulsione tradizionale ed una ibrida. Si utilizzano l’idrogeno e l’ossigeno che, mediante una reazione all’interno della “fuel cell”, erogano energia elettrica al motore principale, che fa girare l’elica.
In tal modo l’alimentazione è indipendente dall’aria e non si ha necessità di salire a quota periscopica, rendendo il sommergibile simile a quelli nucleari: questi ultimi hanno autonomia infinita, quelli ibridi di qualche decina di giorni. Così si garantisce una maggiore invisibilità rispetto a quelli della classe “Sauro”, più datati.

Come si svolge una giornata in un sottomarino durante una immersione? Quando termina il turno lavorativo, come si trascorre il tempo libero?
La giornata è cadenzata da sei ore di guardia e sei di riposo, anche se queste ultime non sono effettivamente di sosta. Ci si può svagare leggendo un libro o guardando un film registrato; i più volenterosi praticano esercizio fisico, utilizzando la cyclette o due sbarre posizionate in un anfratto ricavato all’interno del sommergibile.
Si lavora, però, molto perché bisogna preparare la messaggistica operativa, i rapporti della missione e pianificare l’attività successiva. Insomma, i tempi di riposo effettivi sono risicati, al netto delle mense; non bisogna dimenticare che siamo pur sempre italiani e, come tali, amiamo la buona cucina!
Non esiste più il concetto della “branda calda”, perché con la tecnologia e l’automazione, si è ridotto della metà l’equipaggio a bordo rispetto al passato. Si è passati dalle cinquanta persone dei “Sauro” alle ventisette attuali, pertanto ci sono camerini collettivi per tutti, da tre o quattro brande, ed ognuno possiede la propria.

Immagino che durante le lunghe missioni si crei, giocoforza, un rapporto familiare con il resto dell’equipaggio.
Su un sommergibile si vive a stretto contatto, pertanto non ci si può permettere di nutrire ostilità, giacché la vita di tutti dipende da ciascun membro dell’equipaggio. Ognuno ha una funzione precipua e ciò agevola l’affiatamento del gruppo e la creazione di un clima familiare.
Questo non implica che non siano rispettati i rapporti gerarchici, anzi, una situazione di totale anarchia sarebbe assolutamente deleteria su un sommergibile. Quest’ultimo aspetto mi ha molto colpito, come dicevo prima, al punto da portarmi a decidere di intraprendere tale carriera.    

I giovani come accolgono la possibilità di entrare a far parte del gruppo dei sommergibilisti, giacché immagino che la preparazione debba essere molto rigorosa. Quali doti fisiche e caratteriali sono richieste per formarsi in tale contesto?
Non bisogna essere superuomini o superdonne ma, senza dubbio, bisogna avere dei requisiti psico-fisici ben precisi; non per tutti è possibile intraprendere questa carriera. Ovviamente ciò non comporta che, qualora un militare non sia in grado di sopportare la vita su un sommergibile, sia di categoria inferiore rispetto ad altri.
La vita su un mezzo sottomarino è spartana, quando si chiude il portello, si interrompono le comunicazioni con il mondo esterno. Per un ragazzo, rinunciare ad internet o a un social network, comporta un notevole sacrificio.
Negli ultimi anni abbiamo sofferto una crisi vocazionale, abbiamo vissuto delle difficoltà che stiamo superando. Il messaggio che si cerca di trasmettere, a chi si accosta all’ambiente, è che si punta alla professionalità, pertanto si espone il reale stile di vita. Si dispone di un mezzo tecnologico molto avanzato quindi, oltre alla passione, ci deve essere competenza e spirito di sacrificio.
Al contempo, per chi le sa cogliere, ci sono tante soddisfazioni che, considerando le peculiarità del mezzo, uniche nel panorama dei sistemi d’arma, non si possono trovare altrove. Siamo una componente specialistica, con caratteristiche che non si trovano in unità di superficie. Queste ultime sono dotate di maggiori comforts e della possibilità di comunicare con l’esterno, ma l’appagamento che offre la carriera su un sommergibile, parlando a titolo esclusivamente personale, sono uniche.

Anche i Sommergibilisti, operativamente, oggi dimostrano grande apertura verso la popolazione civile e, soprattutto, verso gli immigrati. Come si concretizza questa missione su un mezzo sottomarino?
Il Sommergibile non è adeguato al recupero dei dispersi in mare, ovviamente, in caso di emergenza, si riemerge e si liberano delle zattere di salvataggio che si auto gonfiano, acquisite ad hoc per il problema degli immigrati. Accogliere qualcuno a bordo è una questione delicata e rischiosa giacché, non avendo un medico, non è possibile effettuare uno screening.
Chiaramente in situazioni di emergenza nessuno viene lasciato in mare, in genere si cerca di contattare la nave più vicina, in modo che possa intervenire e provvedere al salvataggio dei profughi.

Qual è stata l’esperienza che, a livello umano, ha lasciato su di Lei un segno indelebile da quando è entrato a far parte di questa unità speciale?
Trattandosi di un ambiente piccolo e cooperando, quotidianamente si osservano con soddisfazione i risultati positivi di un lavoro d’equipe, frutto della stima reciproca tra un comandante e il suo equipaggio. Ho del personale che periodicamente esce in mare: o sono gli istruttori che curano l’addestramento o, in caso di vacanze momentanee o permanenti nella tabella di equipaggiamento dei sommergibili, sono i manutentori di bordo, idonei all’imbarco, che coprono le assenze. In sostanza il comando della “flottiglia” è perfettamente paragonabile a quello di un vero e proprio equipaggio.
Ho effettuato diverse missioni, che purtroppo non si possono raccontare perché rientrano nel segreto militare e sono insite nelle operazioni dei sommergibili. Ricordo un particolare, però, durante una esercitazione con un altro sottomarino della NATO. Ad un certo punto abbiamo rilevato un altro sommergibile, in gergo “Intruder”, che ci ha costretti a predisporci al combattimento. Fortunatamente non è stato necessario, però, c’è stata una scarica notevole di adrenalina. Mi è capitato di vivere questi momenti in ben due circostanze: da Ufficiale di Rotta e da Comandante del Sommergibile “Pelosi”.
In genere si simulano queste situazioni, non scontate o banali, pertanto è stato importante vedere la reazione del personale di bordo difronte ad un reale pericolo, soprattutto perché ti fanno comprendere su chi si possa davvero contare.       

Cosa la attende nell’immediato futuro e quali sono i Suoi progetti?
Il 12 settembre lascio il comando qui a Taranto, dopo quasi due anni, alla volta di Roma.  Continuerò ad occuparmi di sommergibili e sarò alla centrale operativa di MARICOSOM, dove sostanzialmente si controllano i movimenti dei sottomarini in mare, in attività sia operativa che addestrativa, all’interno del comando in capo della Squadra Navale, quindi a Santa Rosa.     

Il Capitano di Vascello Stefano Russo, uomo molto equilibrato e sereno, dal sorriso gentile riscuote enorme stima da parte del personale subalterno. Tutti si mettono sull’attenti al suo passaggio, ma in modo spontaneo, con rispetto, ed egli risponde con altrettanto riguardo, sottolineando una gerarchia che nasce dall’autorevolezza e dal fascino esercitato dal comandante.
Si stringono l’uno all’altro e collaborano negli abissi marini, condividendo spazi angusti, ansie, preoccupazioni ma anche momenti di serenità, allegria, non privi di qualche spaghettata quando il lavoro dona qualche pausa.
Tutto, però, nel rispetto dei ruoli e della missione delicata che svolgono quotidianamente, lasciandosi ogni tanto andare alla nostalgia di “voler rivedere il sole attraverso il periscopio”.



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