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Chiara Carrisi/E non sono parente di Albano

Pubblicato da: Categoria: COVER

28
GIU
2013
Più che un cervello in fuga, una ricercatrice che ha trovato il suo posto nel mondo. Aspettando di fare pace con gli animalisti, intanto miagola come Zorba
Sembra più giovane della sua età Chiara, di una bellezza semplice e naturale come la passione che da anni la lega al suo mestiere. Biologa e ricercatrice presso l’IFOM, l’Istituto FIRC di oncologia molecolare, Chiara inizia il suo percorso laureandosi a Lecce, in quel ‘piccolo laboratorio’ dove conserva ancora i suoi ricordi più belli. Poi la svolta e l’arrivo a Milano, melting pot di tecniche e profili professionali, competenti e qualificati. Esperienze diverse, ma fondamentali per una carriera tutta in salita. Durante l’intervista, analizza con precisione la situazione attuale della Ricerca in Italia lasciando trapelare qualche denuncia, celata da una sottile vena d’ironia; basterà, invece, ricordare i successi del fratello per animarla di orgoglio e fierezza: sì, perché Chiara è la sorella di Donato Carrisi, scrittore di fama internazionale, autore dell’ultimo romanzo L’ipotesi del male. Chissà se questi due giovani fratelli il talento ce l’abbiano nel DNA. Per quanto riguarda Chiara una cosa è certa: non chiedetele se è imparentata con Albano!
Chiara sembri giovanissima, eppure svolgi un lavoro abbastanza impegnativo: hai avuto sempre le idee chiare sul tuo futuro?
«Me lo dicono spesso che il mio aspetto inganna! Assolutamente no, è un amore che è cresciuto col tempo. Ricordo che all’asilo, mentre tutte le mie compagne dicevano che da grandi avrebbero fatto le ballerine, io ero convinta che sarei diventata architetto. Ed è stato così fino alla fine del liceo. Ogni volta che ripenso a quello che è successo, mi viene da sorridere. La mia migliore amica, Giusy, era indecisa se iscriversi a Biologia o Medicina: siamo state talmente brave nel tentare di convincerci a vicenda a intraprendere la stessa strada, che alla fine lei ha preso Architettura e io Biologia. Da allora non ho più avuto dubbi riguardo ai miei studi. Ci sono poche cose tanto affascinanti quanto conoscere l’organizzazione, la precisione e la complessità di ogni organismo vivente». 
Secondo gli ultimi dati di "Observa, Science in society", la quota di ricchezza nazionale dedicata alla ricerca nel 2012 è stata dell'1,3 %, mentre era dell' 1,1 nel 2010: quindi un cambiamento impercettibile. Tuttavia è stato provato che il numero dei ricercatori italiani sia aumentato, anche se fuggono tutti all’estero: perché l’Italia si lascia scappare così tante risorse?
«Riuscire a fare un dottorato in un’università italiana è diventato quasi impossibile. Per mancanza di fondi, il numero dei posti, negli anni, si è notevolmente ridotto. Questo ha portato i professori ad accordarsi pur di garantire, una tantum, un posto per un nuovo studente. Purtroppo non è sufficiente essere bravi, ma occorre essere fortunati. Vinci una borsa di studio e già ti preoccupi di cosa succederà quando finirà, non vedi prospettive per il futuro, le carriere sono bloccate e nessuno riconosce il lavoro che fai. Se a tutto questo aggiungi la mancanza di meritocrazia nei concorsi e la “parentopoli” delle Università, non resta che fare la valigia ed emigrare. Fa male al cuore ammetterlo, ma l’Italia non merita la passione e le fatiche dei suoi ricercatori». 
Tu, invece, sei riuscita a rimanere nel tuo Paese, pur dovendoti spostare dal Sud al Nord: le distanze tra questi due estremi, in campo scientifico, sembrano insormontabili, o sbaglio?
«Per quanto riguarda la ricerca, non c’è differenza tra Sud e Nord. C’è notevole differenza, invece, tra strutture universitarie e istituti privati. Come sempre, è un problema di soldi. Se dovessi confrontare la mia quasi decennale esperienza di lavoro presso l’Università del Salento con l’attuale a Milano, che ormai dura da più di tre anni, riconosco al mio Sud una passione più genuina, l’intenzione vera di approfondire le conoscenze senza pensare a priori ai riconoscimenti che ne potrebbero scaturire, la giusta competizione che ti permette di lavorare in un clima sereno e familiare. Non nascondo che se potessi avere la stessa disponibilità di risorse economiche, strumentali e tecnologiche, il miglior posto dove mi piacerebbe lavorare sarebbe il piccolo laboratorio di biochimica di 30m2 dell’Università del Salento dove per dieci anni ho dimenticato piacevolmente cosa fosse la vita al di là della ricerca». 
Qualche tempo fa Umberto Veronesi, in un’intervista, attribuiva la scarsa attenzione rivolta alla ricerca anche alla forte influenza della Chiesa Cattolica che tende a limitare il peso del pensiero scientifico: è ancora così forte questo divario?
«C’è indubbiamente poca attenzione rivolta all’ambito scientifico, ma che la colpa sia della Chiesa Cattolica non ne sono così sicura. In questo momento, per noi ricercatori, problema ben più grave è l’estremismo animalista, che sta esageratamente monopolizzando l’opinione pubblica grazie anche all’enorme impatto mediatico. La gente non sa che ci sono delle leggi severe che regolano il nostro lavoro, normative che limiterebbero qualsiasi tipo di eccesso. Inoltre, nessuno dovrebbe dimenticare che prima di essere ricercatori, i ricercatori sono persone con un’etica e una morale. Credo che ora più che mai occorra discutere di questi problemi etici controversi con la popolazione per contrastare le falsità propagate da questi gruppi attivisti e ignoranti, aprire le porte dei laboratori alla cittadinanza e informare sull'importanza della sperimentazione animale: quando è necessaria, qual è il suo ruolo nella ricerca di base e nello sviluppo delle terapie. Difendere la sperimentazione sugli animali ai fini della ricerca biomedica non significa solo sostenere il lavoro di noi ricercatori, significa anche schierarsi al fianco dei malati che ancora aspettano una cura per le loro patologie. Voi credereste mai a qualcuno che mi definisce assassino e mi incita ad usare “perlomeno” i topi di fogna? I topi di fogna hanno forse una minore dignità o un minore diritto alla vita?».
Attualmente lavori all’IFOM, l’Istituto FIRC di oncologia molecolare: il primo istituto in Italia specializzato nello studio dei meccanismi molecolari alla base della formazione dei tumori. Ci sono novità dal fronte della ricerca in termini di diagnosi e cura del cancro?
«Sì, lavoro in IFOM con una borsa AIRC, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. Nella ricerca di base, ogni giorno si fanno piccole scoperte. Queste scoperte migliorano la conoscenza delle cause interne ed esterne scatenanti i tumori e come il nostro organismo reagisce di fronte ai tanti stimoli esterni capaci di generare le modificazioni genetiche che portano al cancro. Potrebbe sembrare di poca importanza e con poco impatto sociale, ma senza questa ricerca come potremmo migliorare la prevenzione? Prevenzione, che ricordiamocelo, salva molte più vite della cura».
Nel tuo settore quanto è importante il confronto e la collaborazione con altri studiosi e altri ambiti di competenze, come quello tecnologico e informatico?
«Direi fondamentale. L’eccezionalità del posto dove lavoro è proprio questa. Medici, biologi, tecnici, ingegneri, informatici, filosofi di tutti i continenti che si confrontano e inseguono gli stessi obiettivi. Mi piace definire il campus IFOM-IEO come il Paese delle Meraviglie della Ricerca. Possiamo disporre di macchinari di ultima generazione, di tecnologie innovative, di personale qualificato e aggiornato. E poi c’è il dialogo e il confronto continuo, lo scambio costante di informazioni e competenze. Per non parlare dell’enorme privilegio che abbiamo ogni settimana di poter ascoltare nomi illustri del panorama scientifico internazionale con cui poter discutere dei progetti e condividere idee come fossimo cari amici che si scambiano opinioni prendendo un caffè al bar».
Chiara scivoliamo un po’ in un ambito meno tecnico. Sei la sorella del noto scrittore Donato Carrisi: avete scelto due percorsi molto differenti tra loro … vi siete sempre sostenuti nelle vostre decisioni?
«Meglio che chiedermi se sono parente di Al Bano, come è accaduto ad ogni esame universitario! Prima di essere autore di libri dal successo internazionale, Donato è per me mio fratello. Per cui, il bene di uno è anche e soprattutto il bene dell’altro. Data la diversità delle nostre professioni, come giustamente sottolineavi, è difficile consigliarsi ed influenzarsi. Senza alcun dubbio, però, ci supportiamo, incoraggiamo, e festeggiamo insieme i nostri successi».
Hai sempre immaginato che sarebbe arrivato a questo successo, o c’è stato un momento in particolare in cui hai capito quale talento si nascondesse dietro tuo fratello?
«Sono nata che Donato era già una star, sempre in giro con il suo microfono. Sono cresciuta nella sala prove del gruppo teatrale Vivarte, di cui è stato il fondatore. L’ho visto, durante l’università, trascorrere le sue nottate a scrivere pile di taccuini rinchiuso nella sua cameretta e alzarsi all’alba per condurre un programma radiofonico. Sempre con la stessa gioia negli occhi, la stessa costanza, la stessa passione e voglia di farcela nonostante potesse essere dura e nonostante nessuno ci credesse quanto lui. Ho sempre saputo e sperato che raggiungesse questo successo, come non ho dubbi che il suo talento non finirà di stupirvi ancora». 
Sarai sicuramente una sua lettrice. Ti ha mai chiesto qualche consiglio nella redazione delle sue storie?
«Capita spesso che mi faccia delle telefonate improvvise per conoscere in dettaglio un processo biologico o per sapere qual è la tecnica più all’avanguardia per analizzare un determinato campione. Al di là della consulenza scientifica, ho sempre letto le sue storie che erano ancora delle bozze: una colonna di fogli formato A4, non rilegati e stampati su una singola facciata. Rileggerle, però, poco prima che raggiungano gli scaffali delle librerie, quando si trasformano in libri con una loro copertina, con l’odore dell’inchiostro sulla carta appena stampata e la fragranza che si avverte sfogliandone le pagine mi regala sempre un’emozione ineguagliabile».
Donato lo incrociamo spesso per le vie di Martina Franca, e tu hai un buon rapporto con la tua città natale?
«Non si può non amare Martina Franca. Il lavoro e la distanza mi impediscono di tornare a casa ogni volta che mi piacerebbe farlo, però sul mio bancone, dove trascorro più di metà della mia giornata, c’è attaccata un’unica cartolina e su quella cartolina c’è Piazza Maria Immacolata».
Che consiglio daresti ai ragazzi alle prese con scelte determinanti per il loro avvenire? 
«Di seguire l’istinto, il cuore e di non avere paura. Come miagola Zorba, il famoso gatto di Luis Sepulveda, “vola solo chi osa farlo”». 
Tu, invece, cosa vedi nel tuo futuro?
«Vedo delle palme e un chioschetto di sorbetti al limone su una spiaggia polinesiana. Naturalmente, scherzo! Purtroppo l’attuale situazione italiana economica e lavorativa lascia spazio solo alla fantasia». 
 


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