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Antani Colucci/Dirotta su Cuba

Pubblicato da: Categoria: COVER

25
OTT
2013
Scherza sulla popolarità di suo fratello, fa incetta di premi con la sua scuola e sogna di aprire un liceo della danza. Il ballerino martinese racconta la gioia di vivere “in punta di piedi” e di quel viaggio che gli ha cambiato la vita
 
«Quando mi avete contattato sono rimasto stupito. Vedendo i mostri sacri che generalmente appaiono sulle pagine del vostro giornale mi sono chiesto: “e io cosa c’entro?”».
Sono queste le parole con cui mi accoglie Antani Colucci, bravissimo ballerino martinese e titolare della scuola di ballo “La Mariposa del Caribe”.
Parole che lasciano intravedere la sua grande umiltà e la sua riservatezza, il suo carattere timido e allo stesso tempo cordiale. Ma badate bene: sul campo di battaglia Antani è in grado di sfoderare una grinta assoluta e un’energia tale da sbaragliare la concorrenza senza ma e senza se.
A dimostrarlo sono le numerosissime vittorie conseguite nei vari concorsi di ballo, numeri da capogiro che lasciano davvero sbalorditi: 148 trofei nazionali in sei anni, 1° posto per cinque anni consecutivi al Campionato Nazionale FederCaribe.
Insomma, malgrado la sua modestia i presupposti che lo rendono un personaggio degno del massimo interesse ci sono davvero tutti.
 
Allora perché sei così sorpreso?
«Beh, sai, è mio fratello Onofrio l’artista di famiglia e la sua fama mi oscura sempre qui a Martina. Lui lavora al Cirque du Soleil e ora vive in Austria».
 
Davvero? Racconta.
«Ecco, lo sapevo che non dovevo parlarti di lui (ride, ndr). Scherzi a parte è stato lui a trasmettermi la passione per la musica vera, quella bella, e per l’arte in genere. Mi ha insegnato a suonare la chitarra e a muovere i primi passi di danza. Ma soprattutto mi ha spiegato l’importanza di fare le cose per bene. Mi ha fatto capire, inoltre, che la passione può diventare un lavoro e che non si devono inseguire gli stereotipi del posto fisso». 
 
Una delle più grandi ricchezze è fare il lavoro che si ama.
«È qualcosa che ti rende felice, senza dubbio. Svegliarsi al mattino e sapere che si sta facendo ciò che si era destinati a fare».
 
Questa scuola deve essere una delle tue più grandi soddisfazioni. 
«Assolutamente. È nata sette anni e mezzo fa ed è la mia “creatura”. Con la “Mariposa del Caribe” abbiamo ottenuto moltissimi riconoscimenti in svariati concorsi. Posso affermare con certezza che non c’è una scuola in Italia che abbia vinto più di questa. È l’unica scuola ad aver vinto per cinque volte di seguito un titolo nazionale: siamo stati i primi a portare un premio di tale portata non solo a Martina Franca, ma in tutta la Puglia. Abbiamo conseguito numerosissimi trofei, ma questi che sto elencando sono risultati tecnici. Quelli che però rendono me e i miei allievi particolarmente orgogliosi sono i riconoscimenti artistici, che ci hanno fatto voler bene da moltissimi artisti internazionali».
 
Qual è la vostra particolarità “artistica”?
«Noi abbiamo fortemente creduto nel folklore tradizionale e millenario afrocubano, e abbiamo creato una fusione con il moderno, dando luogo a uno stile tutto nostro che ci ha portato a dei risultati non indifferenti e ci ha fatto conoscere in tutta Italia. Ci ha reso immediatamente identificabili: non appena qualcuno del settore osserva le nostre esibizioni capisce subito che si trova dinanzi a ballerini della Mariposa. Abbiamo creato uno stile unico che molti imitano. Quando inizialmente ho dato questa linea alla scuola nessuno credeva che avrebbe funzionato e invece i risultati sono stati pazzeschi. Quest’anno, poi, ci sarà un’ulteriore novità».
 
Quale?
«Per le nostre performance stiamo attingendo al folklore haitiano, alla danza cubana e a quella moderna, dando vita a una commistione di generi mai vista prima. È talmente bello che voglio azzardare una previsione: quest’anno  vinceremo il campionato nazionale. E al bando la modestia».
 
Un po’ di sana fiducia in se stessi non guasta mai. Dopo questo incredibile biglietto da visita sono curiosa di conoscere i tuoi esordi.
«La passione per la danza me l’ha trasmessa mio fratello, come vi dicevo poc’anzi, e sono cresciuto come autodidatta imitando John Travolta e Patrick Swayze, i miei miti assoluti. “La febbre del sabato sera” e “Dirty dancing” sono stati dei capisaldi della mia adolescenza. Poi, nel ‘91 Leonardo Magrini, il mio mentore, una persona a cui devo moltissimo, mi ha convinto a studiare latino-americano e da lì è partito tutto. Ma se proprio devo dirla tutta c’è un episodio in particolare che mi ha catapultato nel mondo del ballo. Io sono laureato in Scienze Agrarie e durante l’università il mio professore mi mandò a Cuba. Ci andai per studiare l’ananas e la canna da zucchero e tornai con la… salsa! Quello per me è stato un viaggio fondamentale, sia perché ha cambiato la mia vita conducendomi dritto verso quella che è diventata la mia più grande passione, e sia dal punto di vista umano. Attraverso quel viaggio sono cresciuto, sono diventato uomo».
 
Cosa ti ha colpito di questo stile?
«È tutto bellissimo, in realtà. Sono stato attirato dall’atmosfera, dalla gioia che il corpo trasmette quando ascolta la musica. Poi dall’allegria, la passione, il sentimento, l’emozione. Può sembrare banale o scontato ma posso assicurarvi che è proprio così».
 
Come ballerino hai fatto incetta di premi e di riconoscimenti. Da maestro, invece, cosa o chi ti dà maggiore soddisfazione?
«Vedi, per ballare la salsa non c’è un’età e la mia scuola lo dimostra: vengono allievi dai sette ai settanta anni. Ma la vera gioia è vedere il bambino che cresce e che diventa grande anche attraverso il ballo. L’artista che nasce dalla mia scuola, in ogni concorso, viene subito riconosciuto come “figlio di Antani”. È qualcosa che riempie di orgoglio: aver trasmesso la passione e aver insegnato le tecniche che lo hanno reso quello che è».
 
A proposito di questo… è vero che in Puglia ti chiamano “il maestro dei maestri”?
«Sì, è vero. Molti ragazzi sono cresciuti sotto la mia guida e una volta adulti hanno avviato la propria scuola, sono diventati a loro volta dei maestri. Quindi a tutti gli effetti vengo considerato il maestro di quei maestri. Ma a chi mi chiama in quel modo rispondo sempre che io a mia volta ho avuto un insegnante che è Leonardo Magrini, il quale a sua volta ne ha avuto un altro, e così via. Tra l’altro devo dire che io ho sempre sognato fare il ballerino, mai il maestro. Semplicemente ho seguito il flusso della vita e questo flusso mi ha portato fin qui».
 
Ti ispiri a qualcuno in particolare?
«Anzitutto allo stesso Magrini, che mi ha fatto entrare nel meraviglioso mondo della danza. Ma anche a Esmil Diaz, un grandissimo ballerino e insegnante. E poi, sembrerà incredibile, ma il confronto umano che ho con i miei allievi mi porta continuamente a crescere. Da loro imparo tantissimo; hanno una tale fame di conoscenza e di passione che mi costringono a stare sempre in moto, a imparare e sperimentare sempre nuovi stili e nuove tecniche. E meno male, senza di loro mi sarei assopito».
 
A quanti sacrifici si sottopone un ballerino?
«Dipende dagli obiettivi che ognuno si pone. Ci sono persone che amano il ballo ma che vogliono dedicarvisi come passatempo, magari per scrollare via lo stress di una giornata lavorativa, per avere un diversivo. Il ballo per loro è un momento ludico a cui si dedicano per poche ore a settimana. Di contro, invece, c’è il ragazzo che sogna il palco internazionale e frequenta le lezioni tutti i giorni e per diverse ore. Si sottopone a una ferrea disciplina atletica e alimentare; studia assiduamente mettendo la danza al primo posto. Ed è strano pensare a come spesso servano mesi e mesi di estenuante preparazione per un’esibizione che dura pochissimi minuti. Certo, poi la soddisfazione che si ottiene ripaga ogni sacrificio fatto».
 
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
«Oltre a dedicarmi al nuovo stile haitiano e afrocubano e vincere tutte le gare nazionali? Aprire un liceo della danza qui a Martina Franca: ho delle radici troppo forti, voglio che la mia città cresca e si sviluppi sotto ogni punto di vista. Sarebbe davvero il mio più grande sogno. E poi, beh… magari iniziare a pensare di metter su famiglia insieme alla mia compagna Micaela. Credo sia arrivato il momento».
 


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