MENU

Massimo Prontera/Cominciamo da qui

Pubblicato da: Categoria: COVER

28
MAR
2014
Puntare sul recupero dell’esistente e su una pianificazione urbana adatta alle attuali esigenze della città. Non è la formula magica per risolvere tutti i problemi, ma è già un ottimo punto di partenza. Prossimo step? Liberarsi dall’inquinamento etico e ambientale. Parola di architetto.
 
Rigenerazione urbana, questa sconosciuta! Se ne parla da tempo, si discute del futuro delle nostre città. Dopo gli anni di cemento, complice la crisi, forse anche il calo demografico, ma, soprattutto una diversa coscienza ambientalista, oggi si punta a recuperare l'esistente, evitando di consumare altra terra.  Dunque, come saranno le città del futuro? Abbiamo chiesto un parere sicuramente qualificato, non solo sul piano squisitamente tecnico, all'attuale presidente dell'Ordine degli Architetti della provincia di Taranto, Massimo Prontera. 
Architetto, Lei è il presidente del Consiglio dell'Ordine degli  Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. L'architetto dunque non è solo quel professionista che arreda la casa?  
«No, non è solo  quello che arreda la casa, anzi non è soprattutto quello che arreda la casa. E' un professionista che, come è puntualmente indicato nella definizione dell'Ordine, è pianificatore, paesaggista e conservatore, oltre che architetto ovviamente. Quindi si occupa di una varietà di campi d'azione che sono appunto  quelli della architettura in senso stretto, della pianificazione urbanistica, del disegno delle città. E' anche un paesaggista, occupandosi del paesaggio nel senso più ampio, ed è conservatore inteso come restauro architettonico».
Quanti sono gli architetti a Taranto e quale la mission che come ordine vi proponete? 
«Siamo circa 685; l'ordine nasce come organismo istituzionale in dipendenza del ministero della Giustizia. Nasciamo nel 1923 con due scopi principali: quello di tenere l'albo e quello della verifica della deontologia professionale.  Nel corso degli anni le cose sono cambiate; anche la mission è cambiata. Ora gli ordini, non sono un sindacato, ma rappresentano una categoria che sul territorio ha una sua conformazione, un suo peso. Agli ordini professionali negli anni sono stati  affidati tutta una serie di compiti e di impegni. Ora ad esempio siamo impegnati nella formazione, anche in riferimento alla recente introduzione dell'obbligo formativo. L'attività formativa oggi è quasi preponderante».
Com'è la situazione sotto l'aspetto occupazionale? 
«Le statistiche sono abbastanza note; la professione dell'architetto è tra  quelle che vive attualmente uno stato di crisi profonda. Ciò anche come naturale conseguenza della crisi del comparto edilizio. Ciò che rende la situazione ancora sostenibile è la capacità degli architetti di diversificare la propria attività».
Dal punto di vista normativo rispetto alla legge istitutiva cosa è cambiato nel tempo? «Usciamo da una riforma, che ci ha visto partecipare a vari tavoli di discussione, licenziata lo scorso anno. Questa riforma ha profondamente cambiato la natura dell'ordine e della professione dell'architetto, introducendo l'obbligo formativo ed eliminando soprattutto  il principio della tariffa professionale minima. Sono state eliminate le tabelle; siamo sul mercato come una qualsiasi impresa, ovviamente con i limiti di un’attività di natura intellettuale».
 Lei è impegnato nell'associazionismo ambientalista; Lecorbusier propose modelli utopistici, ma non del tutto, di città a misura d'uomo. Quanto siamo lontani da quella prospettiva?
 «L'urbanistica è una disciplina che è influenzata da una serie di fattori: dal momento storico, dal momento culturale in cui viene elaborata; anche dalla politica, intesa non come interessi di parte, ma come scelte strategiche di sviluppo.  Risente quindi delle influenze del momento. Lecorbusier interveniva in un momento in cui le sue idee apparivano sicuramente all’avanguardia. Se vogliamo calare il tutto nel contesto locale possiamo affermare che a Taranto ci avviamo finalmente, dopo un quarantennio di vigenza del piano regolatore, verso il suo superamento attraverso la predisposizione del documento programmatico preliminare e il successivo piano urbanistico generale, che porranno certamente rimedio a diverse storture. Quando parlo di storture mi riferisco alla visione generale del territorio nel senso più ampio. L'attuale piano regolatore nasce sulla base di valutazioni e di parametri oggi non più validi. All'epoca fu tarato ad esempio su una previsione di 360.000 abitanti. Quel piano nasceva ovviamente sulla base di suggestioni, in un epoca in cui l'idea della industrializzazione come motore delle azioni umane è risultata fortemente condizionante. Siamo nel periodo del raddoppio dell'acciaieria».
Taranto laboratorio; come valuta il rapporto con le istituzioni locali? Qual è il reale livello di coinvolgimento?  
«Abbiamo riscontrato una volontà di coinvolgimento di tutti gli attori in campo. Non sempre questa fase di partecipazione è come noi la vorremmo, ovvero qualcosa in più rispetto al semplice ascolto. Una presa di coscienza e presa in carico di una serie di sollecitazioni, di documentazione, di visione. Ci capita di partecipare a tavoli di confronto al termine dei quali restiamo ognuno con le proprie posizioni».
Ci sono ancora proposte di ulteriore espansione della città: qual è la vostra posizione?
«La nostra visione è sicuramente legata a una idea di contenimento della espansione; il contenimento del consumo di suolo. Noi scontiamo già ritardi di natura culturale rispetto ad altre realtà che hanno già sviluppato un dibattito e hanno lavorato nel senso di fermare il consumo di suolo. Stiamo ragionando in tema di rigenerazione urbana che non è certamente compatibile con una idea di ulteriore espansione, se non con piccoli interventi di cosiddetta cucitura tra spazi nati in modo casuale e scollegati tra loro. E' un principio stabilito nell'ambito delle ultime esperienze di pianificazione urbana. Del resto se non c'è mercato immobiliare non si comprende il senso di una ulteriore edificazione».  
C'è una questione che oggi appassiona tanti: la città vecchia di Taranto. Gran parte degli immobili sono pubblici, altri sono privati e spesso abbandonati. C'è anche un dibattito sul'intervento privato. Come se ne esce?
«Io ritengo innanzitutto che il fatto che il comune possegga una percentuale elevatissima di immobili non sia un limite ma un valore aggiunto. Nel senso che politiche di rigenerazione urbana che possano avere speranze di successo devono nascere necessariamente  da interventi di tipo generalizzato. Mettere insieme tanti proprietari immobiliari per avere una visione unitaria è sicuramente difficile. Il problema è che non ci sono le risorse sufficienti. Anche in questo scontiamo ritardi di decenni. Pubblico e privato possono e devono cooperare. La riqualificazione del centro storico deve partire necessariamente da una idea di fondo: c'è uno spazio disabitato, occorre decidere cosa farne. Rifunzionalizzarlo, portare motivazioni che inducano la popolazione a tornare nel centro storico».  
Inquinamento ambientale e inquinamento morale, cosa vuol dire? 
«Ritengo che questa sia una città che abbia pienamente condiviso la sua storia. L'Ilva non è calata dall'alto, non ci sono colpevoli e vittime. Siamo un po' tutti colpevoli e vittime. Una città che ha vissuto, anche molto bene,  la convivenza con la grande industria. Ora ne sente il peso perché i vantaggi si sono ridotti rispetto agli svantaggi. Questa bilancia tra costi e benefici nel tempo ha anche portato ad una degenerazione  del rapporto etico tra cittadino e il suo territorio. L'inquinamento dunque non è solo legato ai fumi, ma è anche un inquinamento etico e morale. Sogno una città che sappia liberarsi da ogni forma di inquinamento». 
Ilva si o Ilva no? 
«Rispetto a questo grande tema ho difficoltà a parlare in termini di certezze. Si tratta di cambiare completamente la struttura economica e sociale che si è comunque sviluppata in una certa direzione. In questa fase sono più propenso ad ascoltare e a verificare le varie proposte».
Beni demaniali dismessi e l'altra città, quella oltre il muraglione... 
«Nel ‘92 fu siglato un accordo di programma tra amministrazione comunale e Marina Militare che prevedeva che, in cambio  di suoli utilizzati per la nuova base navale, fossero rilasciate  una serie di aree demaniali non più in uso. Si tratta sempre di capire quale sia l'idea del nostro futuro come città. Abbiamo un’altra città al di là di quel muro che tra qualche anno diventerà un problema perché non sarà più gestibile. E' fondamentale la visione complessiva. Abbiamo un terzo di territorio che nei prossimi anni si troverà nelle stesse condizioni dei baraccamenti Cattolica.»
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor