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BEPPE CONVERTINI - CATTIVO… MA SOLO PER FICTION

Pubblicato da: Categoria: COVER

20
MAR
2015
Da stasera lo vedremo nuovamente in tv nell’acclamata serie “Le tre rose di Eva 3”, dove aggiungerà un po’ di pepe nelle vite dei protagonisti con un personaggio che farà molto discutere
 
Nella vita è affabile, dolce, simpatico, legatissimo alla sua famiglia e agli affetti più cari. In tv lo vedremo sotto tutt’altro aspetto nei panni di un cattivo dedito alla bella vita e ad affari che hanno poco a che fare con l’onestà. Beppe Convertini sarà il nuovo Franco nella fiction di canale 5, “Le tre rose di Eva 3”, con Anna Safroncik, Luca Capuano, Roberto Farnesi, Giorgia Wurth e molti altri. Il successo che la fiction ha riscosso nelle due precedenti stagioni è stato tale che ne è stata riproposta una terza e chissà… magari non finirà qui. Una bella occasione per Beppe, il quale si è detto molto felice di far parte di un prodotto così di qualità, entrato ormai nel cuore degli italiani. E ancora più contento per aver avuto la possibilità di cimentarsi nuovamente in un personaggio così lontano dalla sua persona e, a suo modo, indiscutibilmente affascinante.
 
Parte proprio stasera la terza stagione della fortunata fiction “Le tre rose di Eva 3”, dove tu sei una new entry. Interpreterai Franco, puoi anticiparci qualcosa del tuo personaggio?
«Franco è il proprietario di un locale notturno ed è il socio del personaggio interpretato da Luca Capuano. Si tratta dunque di un uomo legato al mondo della notte, uno che ama il lusso, le donne e la bella vita. È coinvolto in affari un po’ loschi, è un doppiogiochista anche piuttosto astuto. Uno, insomma, che non si ferma davanti a nulla pur di ottenere ciò che desidera e che è disposto anche a tradire pur di raggiungere i suoi obiettivi».
 
Un personaggio non proprio positivo, insomma.
«Ebbene sì, interpreto un cattivo dalle mille sfaccettature. Devo ammettere però che è sempre bello mettersi alla prova con questo genere di personaggio, anche perché è molto lontano dalla mia persona e dunque mi permette di esplorare un mondo che non conosco e di far luce su alcuni aspetti psicologici diametralmente opposti al mio modo di essere e di pensare. Già in passato mi è capitato di “diventare cattivo” per un film. Si trattava di “Una milanese a Roma” e il mio personaggio addirittura uccideva quello di Nino Manfredi. Per interpretare questi ruoli cerco di calarmi il più possibile nei loro panni, prendendo anche come esempio alcuni cattivi dei libri».
 
Quale cattivo dei libri ti attrae maggiormente?
«Senza dubbio l’ispettore Javert dei Miserabili di Victor Hugo. Dà la caccia al protagonista Jean Valjean, il quale ha sicuramente commesso degli errori per cui è finito in carcere, ma si tratta di un personaggio buono, che purtroppo è costretto a rubare per sfamare se stesso e la sua famiglia, e da lì poi partono una serie di vicissitudini. Questo, di contro, fa di Javert un cattivo, la nemesi di Jean Valjean. Però è estremamente interessante, perché ci sono sempre mille aspetti da considerare e nulla è mai così scontato o assoluto».
 
Anche a teatro hai avuto un’esperienza simile.
«In “Off”, per la regia di Enrico Maria La Manna, ho interpretato un serial killer sessuale, Chuck, il quale, avendo contratto l’Aids, cerca di trasmetterlo alle sue “prede”. A causa delle sue malefatte viene condannato a morte e passa i suoi ultimi giorni nel famoso braccio della morte. Una storia molto forte che fa riflettere. A volte si ha l’impressione che i cattivi non muoiano mai, che siano sempre i buoni a soccombere. Fortunatamente però non è così, anzi: l’onestà, la gentilezza e la bontà d’animo pagano sempre. Serve solo un po’ di pazienza, a volte».
 
Tornando a Franco, il personaggio della fiction, che ruolo avrà nella vita dei protagonisti? È prevista una storia d’amore?
«No, diciamo piuttosto che le sue vicende sono strettamente legate a quelle di Luca Capuano e di conseguenza anche di Anna Safroncik. La mia entrata in scena darà luogo a diverse situazioni».
 
Le prime due stagioni sono state molto amate dal pubblico. Su cosa verterà invece la terza?
«Non voglio anticipare nulla per non togliere il gusto di vederlo in tv. Diciamo solo che i personaggi principali hanno delle storie molto importanti, molto forti e non mancheranno i colpi di scena dovuti alle new entry, tra cui il sottoscritto. Il punto di forza di questa fiction, del resto, è proprio la trama, che è molto fitta e ben intrecciata. Gli autori e il regista – ma anche gli sceneggiatori e tutto il gruppo di lavoro – hanno confezionato un prodotto davvero molto interessante. Non mancheranno i momenti in cui gli spettatori rimarranno a bocca aperta».
 
Effettivamente credo che la forza di “Le tre rose di Eva” consista proprio nell’essere un prodotto di qualità. Spesso invece le fiction italiane vengono piuttosto sottovalutate.
«È proprio così ed è un vero peccato perché ci sono eccellenti professionisti che lavorano con grande capacità dando vita a prodotti validi, a delle piccole chicche. È che purtroppo noi italiani talvolta siamo un po’ esterofili: ci piacciono tanto le serie tv americane o le commedie romantiche sfornate da Hollywood e snobbiamo quelle italiane. Non dimentichiamo, però, che il grande cinema è nato in Italia: basta citare Fellini, tanto per dirne uno. Ma non occorre pensare al passato; anche al giorno d’oggi ci sono attori sensazionali e registi unici, come Tornatore, Salvatores o Sorrentino (e così via)».
 
L’Oscar vinto da quest’ultimo con “La grande bellezza” forse ci riscatta un po’.
«Sì, ma non è l’unico. Sono tantissimi i premi vinti dai registi italiani ai vari festival, e il loro talento è riconosciuto in tutto il mondo. Forse gli unici a non accorgercene siamo proprio noi. E invece dovremmo prestare attenzione al fatto che l’Italia è foriera di “grandi bellezze” in ogni campo, dall’arte alla musica, dalla letteratura al cinema. E se guardiamo ancora più vicino, non possiamo non riconoscere che la Puglia ha delle eccellenze».
 
National geographic l’ha definita la regione più bella del mondo.
«Se a dirlo è una fonte così autorevole ci fa molto piacere. In effetti la Puglia è ricca di tradizioni, di bellezze paesaggistiche e naturali, ma anche di arte e cultura: il mare, il barocco, il Festival della Valle d’Itria, che porta l’internazionalità nella nostra terra; e ancora: scorci meravigliosi, città stupende come Alberobello, Ostuni e la stessa Martina Franca. Inoltre siamo tra le persone più ospitali del pianeta: la nostra capacità di accoglienza è riconosciuta da tutti, anche perché si tratta di un’ospitalità mai invadente, dunque piacevole. E poi… la cucina!».
 
Ah, sul cibo non ci batte nessuno! A proposito di Italia e di confronti con l’estero, al momento stai conducendo un programma radiofonico su Rai Radio 2 che si chiama proprio “Italiani in continenti”. Ci vuoi spiegare di cosa si tratta?
«Come si evince dal titolo, parla proprio di tutte quelle persone che vivono fuori e che in qualche modo hanno conquistato grandi traguardi nel loro campo, ma che provengono dal nostro Paese o ne hanno origine. Il sindaco di New York, per esempio, è italo-americano; ma anche grandi ricercatori, chirurghi e chi più ne ha più ne metta. Spesso si tratta di persone che sono andate via, ma che conservano sempre nel cuore il desiderio di tornare».
 
Di contro, però, ci sono anche moltissimi giovani che desiderano andar via in cerca di migliori opportunità di lavoro.
«Lo capisco. La crisi si sente in ogni settore e il mio non è da meno. Si produce sempre meno, perché mancano le risorse, i fondi. Capisco che i giovani si sentano demotivati e pensino di andar via. Ma credo che invece sia necessario, anche in periodi come questo, tirare fuori le proprie qualità e puntare su se stessi. Si deve assolutamente fare in modo che non ci sia una fuga di cervelli, che le nostre risorse rimangano qui e vengano valorizzate. Largo ai giovani, ma spazio anche a chi, più grande, può mettere a disposizione del prossimo la sua esperienza e professionalità. Cercare un perfetto connubio fra esperti e giovani sarebbe l’ideale».
 
A volte si va via per lavoro, altre volte invece ci si assenta per fare del bene, come nel tuo caso. Sei infatti ambasciatore di Terre Des Hommes. Cosa ti ha regalato questa esperienza?
«Mi ha regalato tantissimo. Sono stato in un campo profughi in Siria, dove la guerra ha causato più di 120mila morti e milioni, milioni di profughi. Gente che ha perso tutto, che ha negli occhi la paura; bambini, molti dei quali orfani, che hanno visto l’orrore intorno a loro. È stata una guerra lunga e disastrosa e andare lì è stato qualcosa di indescrivibile. Quei bambini che ti guardano come se fossi straordinario; il semplice fatto di stare lì con loro a insegnare un po’ l’inglese e la matematica viene visto come qualcosa di stupefacente. E invece sono io che ho avuto tanto da loro. Il mio contributo non è stato che una goccia nell’oceano, ma come diceva Madre Teresa di Calcutta: “quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.
 
Anche il più piccolo contributo può fare la differenza.
«Assolutamente. E non occorre andare così lontano, si può aiutare in ogni situazione. Io ho cercato di dare una mano in Abruzzo quando c’è stato il terremoto e in altre situazioni, ma la gente che ha bisogno di aiuto è ovunque. Di recente, infatti, insieme ad altre persone abbiamo “adottato” i clochard, offrendo loro pasti caldi e beni di prima necessità. Partire da vicino per andare sempre più lontano. Talvolta anche a donare semplicemente un sorriso a chi è in difficoltà».
 


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