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Settimana Santa/E la troccola suonò

Pubblicato da: Categoria: COVER

27
MAR
2015
La Puglia tradizionale si prepara nei giorni che precedono la Settimana Santa a vivere una pagina ricca di storia, che parla di folklore, ma anche di fede, tra riti, tradizioni e processioni
 
In questi giorni tutti i paesi pugliesi acquistano una fisionomia diversa che quasi magicamente li fa ritornare in quella innocenza di un tempo alla quale sembra ispirarsi la nuova corrente generazionale che da qualche decennio va riscoprendo le tradizioni della Settimana Santa e le propone con spirito entusiastico.
Abbiamo, pertanto, pensato di dedicare uno speciale ai riti penitenziali e processionali della Settimana Santa in Puglia partendo, come è doveroso che sia, da quelli del capoluogo ionico la cui fama ha varcato i confini regionali e nazionali per richiamare turisti provenienti da ogni parte del mondo.
Per rendere un servizio storicamente attendibile ci siamo serviti della consulenza storica del prof. Antonio Fornaro che, oltre ad essere da più di mezzo secolo esperto delle tradizioni pasquali tarantine, ha ampliato i suoi studi a tutta l’area regionale pugliese.
Uno spaccato lo dedichiamo ben volentieri alla ridente città di Martina Franca attingendo a quella fonte inesauribile della ricercatrice martinese Teresa Gentile che ha salvato per la memoria futura pagine interessantissime sull’argomento, ma apriamo anche una finestra sui Riti più rappresentativi della nostra Regione con uno sguardo ai dolci tipici pasquali e alla prima scampagnata fuori porta di primavera.
 
Dalla “Forore” alla Settimana di Passione
 
Il lettore  certamente si domanderà cosa abbiano di speciale la Quaresima e la Settimana Santa tarantina, compresa la Pasquetta che ha anche essa una particolarità rispetto agli altri paesi della regione.
Ebbene, per i tarantini la Quaresima iniziava alla mezzanotte del martedì di Carnevale con il rintocco del campanone del Duomo di San Cataldo che indicava che iniziava la Quaresima. Dal Palazzo Arcivescovile processionalmente scendevano l’Arcivescovo e il Capitolo Metropolitano. Davanti all’abbattuto Calvario, che si trovava su un lato del Duomo, si bruciavano i rami di ulivo benedetti la Domenica delle Palme dell’anno precedente e il Vescovo si faceva cospargere il capo con la cenere che poi veniva distribuita a tutti i sacerdoti perché la portassero nelle varie Chiese. Tale cerimonia è stata tramandata con il nome di “Forore”, cioè fiori l’ora della baldoria per dare inizio a quella della Quaresima. Ancora oggi sono cinque le domeniche di Quaresima che vedono affluire numerosi i tarantini nella chiesa del Carmine, al Borgo, e in quella di San Domenico nella Città Antica. La Confraternita del Carmine e quella dell’Addolorata danno vita alle solenni Via Crucis musicate dal francescano francavillese padre Serafino Marinosci sul testo del Metastasio. Ancora oggi i tarantini chiamano Domenica “delle Voci” la quarta perché incominciano a trapelare le prime indiscrezioni sula volontà dei confratelli di aggiudicarsi i sacri simboli delle processioni della Settimana Santa. 
La quinta Domenica è quella delle “Croci” perché le immagini sacre vengono coperte e per l’occasione la Confraternita del Carmine tiene la solenne Adorazione della Croce con i confratelli scalzi e in abito di rito, mentre quella dell’Addolorata effettua la Via Crucis dalla Chiesa di Sant’Agostino a quella di San Domenico con i confratelli in abito di rito che portano a spalla un antico Crocifisso del 1400.
Si giunge così alla “Settimana di Passione”, quella che precede la Domenica delle Palme, che a Taranto viene vissuta in maniera molto intensa. 
Si inizia il Lunedì di Passione con il concerto della Passione a Taranto eseguita dalla Fanfara della Marina Militare ormai da più di mezzo secolo.
Importanti e sentiti gli appuntamenti del Venerdì di Passione, infatti nella  Chiesa di San Domenico si celebra la funzione dei “Sette Dolori di Maria”, invece dalla  Chiesa degli Angeli Custodi dei Tamburi e da quella di San Lorenzo da Brindisi, alla Salinella, escono due processioni con due diversi Crocifissi.
 
Dalla Domenica delle Palme alla “Settimana Santa cancellata”
 
Ancora oggi sono numerosi i tarantini che celebrano la festività della Domenica delle Palme recandosi sulla tomba dei propri cari per lasciare o una palma gialla o il semplice ramoscello di ulivo che viene benedetto nelle Chiese. Nel passato la Domenica delle Palme il fidanzato regalava alla fidanzata una palma confezionata con ovette di cioccolata e un oggetto in oro unitamente a una scarcella, dolce tipico tarantino della Pasqua, a forma di borsetta o di bambola che nascondeva sotto il ventre tante uova lesse quanti sarebbero stati i figli che avrebbero voluto mettere al mondo. Il fidanzato riceveva dalla promessa sposa una camicia bianca confezionata con le sue mani che avrebbe indossato il giorno del matrimonio unitamente a una scarcella che questa volta aveva la forma di un agnello sdraiato sul prato, e per questo si chiamava “pecherijdde”.
I nostri nonni dicevano che in questo giorno davano la palma perché a Pasqua si aspettavano finalmente la carne dopo un digiuno durato quaranta giorni.
Il clou della Domenica delle Palme, oggi come ieri, restano le “gare”, ossia le assemblee straordinarie tenute dalle due Confraternite per consentire ai soli confratelli di aggiudicarsi il prestigio di portare processionalmente i sacri simboli della Passione.
La gara della Confraternita dell’Addolorata dallo scorso anno, dopo diversi decenni, si tiene nella Chiesa di San Domenico. Per l’occasione i confratelli si aggiudicano i simboli processionali dell’Addolorata del Giovedì Santo.
Quella del Carmine si svolge nel Salone della Provincia mentre nel passato si svolgeva nella Chiesa del Carmine. In questa gara i confratelli si aggiudicano le “Poste” per il pellegrinaggio del Giovedì Santo agli altari della Reposizione e i sacri simboli della Processione dei Misteri del Venerdì Santo.
Molto, e spesso a sproposito, si è scritto su queste “gare”. La verità è soltanto una: si tratta di libere offerte che i confratelli fanno per consentire alle due Congreghe di far fronte alle numerose spese per tutto l’anno sociale e per contribuire in  maniera concreta alla realizzazione di opere di carità, ultima in ordine di tempo la costruenda casa per i clochard che troveranno ospitalità in un antico palazzo della Città Antica perché possano essere rifocillati e dormire al riparo dalle intemperie.
Chi parla di fanatismo si sbaglia perché non si può dare del fanatico a chi, nell’anonimato di un cappuccio che copre il suo volto, non soltanto fa libere offerte, frutto di sacrifici di un intero anno, ma si sottopone a una dura ed estenuante penitenza dovendo camminare a piedi nudi nel cuore della notte anche in presenza di intemperie che non mancano mai nel corso della Settimana Santa. Le “gare” nacquero quando le Congreghe crebbero di numero ed era difficile selezionare i portatori dei simboli processionali, ma anche perché alle Congreghe necessitava fare cassa. Si iniziò con le “Pie oblazioni” e poi si passò alle gare.
Molto è cambiato rispetto al passato quando erano numerosi gli appuntamenti che si svolgevano nella Cattedrale di San Cataldo dal Lunedì Santo al Venerdì Santo.
Il Martedì Santo si cantava in San Cataldo il Passio e si praticavano le “Quarantore” nella Cappella del Santissimo Sacramento. Sempre in San Cataldo si svolgeva la cerimonia della Adorazione della Sacra Spina della quale alcuni frammenti sono conservati a Taranto. Si svolgeva anche il Mercoledì Santo la cerimonia detta del “Terremoto”, cioè si simulava il frastuono di un terremoto perché la gente potesse comprendere il momento tragico della morte di Gesù. Erano i ragazzini che scuotevano in appositi barattoli metallici con le pietruzze che producevano rumore e si accendevano e si spegnevano le luci della Chiesa per simulare il temporale.
Altra tradizione cancellata era quella della Processione “de le vastase”. Quando l’ultimo venerdì di marzo non coincideva con il Venerdì Santo la Confraternita della Santissima Croce al quartier Porta Napoli dava vita a quella che la storia ci ha tramandato con il nome di processione “de le vastase”, perché i confratelli erano tutti portuali e in dialetto tarantino si indicava con il nome di “vastase” gli scaricatori di porto. Per l’occasione veniva portato in processione il Santissimo Sacramento e ogni confratelli reggeva in mano una candela. Tale processione partiva dall’attuale Porto Mercantile, attraversava la Città Antica e rientrava nella Chiesa della Santissima Croce sulla Strada Statale 106. L’ultima volta che tale processione si svolse fu nel 1951.
 
Giovedì Santo: dai “Perdoni” ai “Repositori”, al Pellegrinaggio dell’Addolorata
 
Il Giovedì Santo alle ore 15 dal portone della Chiesa del Carmine su Piazza Giovanni XXIII e, in contemporanea, dal portoncino della Sacrestia del Carmine, su via Giovinazzi, esce la prima posta dei Perdoni. Sono i confratelli scalzi del Carmine, che si recano in pellegrinaggio ai Repositori delle Chiese del Borgo Umbertino e in quelle della Città Antica.
I confratelli vanno scalzi e indossano il camice, lo scapolare, la cinghia, la corona del Rosario, la mozzetta color crema, il cappuccio bianco abbassato sul volto con due forellini all’altezza degli occhi per consentire di guardare la strada. Ciascuno dei due confratelli reca nella mano un bordone o mazza, segno del pellegrino, e reca sulla testa il cappello nero con bordatura azzurra. 
Le poste che si recano nella Città Antica vengono dette “poste di città” perché nel passato la città di Taranto era racchiusa nella parte antica. Quelle che si recano nel Borgo Umbertino sono dette “poste di campagna” perché il Borgo Umbertino era una distesa di campagna. Oggi quelle di città visitano le Chiese di San Cataldo, San Domenico e San Giuseppe; quelle di “campagna” visitano le Chiese di San Francesco di Paola, del Santissimo Crocifisso, di San Pasquale e del Carmine.
Quando due poste si incontrano si salutano facendo cadere il cappello alle spalle e incrociando sul petto il bordone e la Corona del Rosario. Questo saluto si chiama “Salamelicche”, espressione dialettale tarantina derivante dal termine ebraico che significa “la pace sia con te”.
L’ultima posta che visita una Chiesa viene chiamata “Serrachijese” per indicare che subito dopo la Chiesa viene chiusa. Il pellegrinaggio viene sospeso a mezzanotte per riprendere il Venerdì Santo al mattino, ma a questo prendono parte liberamente anche i confratelli che non hanno partecipato alle “gare” la Domenica delle Palme. Un tempo erano maestosi i Sepolcri ed erano allestiti anche da privati. Ricordiamo quello che il calzolaio Carmine Notaristefano preparava nella sua piccola bottega in piazza San Francesco e quello che preparava il libraio ed editore Salvatore Mazzolino in via Duomo. Davanti ai Sepolcri facevano bella mostra i “Piatti di Paradiso” che venivano preparati dalle famiglie fin dalla Quaresima. Mettevano in piatti di argilla lenticchie o grano bagnati con ovatta o segatura e li tenevano al buio. Li bagnavano di tanto in tanto e finalmente il Giovedì Santo erano pronti con i loro bellissimi steli gialli. 
Questi piatti erano addobbati con fiori di campo e con carta crespa. Terminati i Sepolcri, le famiglie li portavano a casa, li facevano seccare e li mettevano come protezione fra la loro biancheria.
Dal Giovedì Santo tutto sembrava fermarsi a Taranto. In città non circolava nessun mezzo pubblico. Ai cavalli che trainavano le carrozze venivano messe scarpe di gomma perché non facessero rumore con gli zoccoli urtando contro i binari dei filobus. Le donne e gli uomini vestivano in gramaglie e si ovattavano i campanelli a mano delle case che si trovavano al posto di quello che poi diventerà il campanello elettrico.
Eppure questo silenziose veniva rotto dai ragazzini che agitavano su via Duomo le piccole troccole fatte fare dai falegnami. Nelle Chiese il suono dei campanelli veniva sostituito da quello delle troccole e nell’acquasantiera veniva tolta l’acquasanta.
Dalla Chiesa di San Domenico il confratello anziano Francesco Cecere, detto “il chiamatore”, con la troccola girava per le case dei confratelli dell’Addolorata aggiudicatori dei simboli, invitandoli a prepararsi e pronunciava le parole “Fratello, la Madonna ti aspetta”.
Poi l’attenzione si spostava a mezzanotte sul portone del trecentesco tempio di San Domenico dove ancora oggi, come ieri, esce la bellissima icona dell’Addolorata non per fare la Processione ma il Pellegrinaggio. Infatti tale devozione ebbe inizio intorno al 1700 con l’acquisto della stupenda statua e il popolo che sapeva che Gesù morì il Venerdì Santo, diceva che la Madonna il Giovedì Santo a notte lo cercava entrando e uscendo dalle Chiese che incontrava sul percorso processionale, come recita un bellissimo canto popolare tarantino intitolato “Tuppe Tuppe”.
Dunque, a mezzanotte del Giovedì Santo esce la processione-pellegrinaggio dell’Addolorata curata dai confratelli della omonima Congrega.
Apre il corteo il troccolante seguito da due bambini figli di confratelli rivestiti solo del camice, che recano sul petto finti pesi in legno leggero e per questo vengono chiamati “pesare”. Segue il portatore della Croce dei Misteri con il volto scoperto. Poi si alternano le coppie dei confratelli con il cappuccio bianco sul volto ai tre portatori delle Tre Croci che rappresentano le tre cadute di Cristo. Questi confratelli portano soltanto il camice e sono gli unici ad andare scalzi.
Davanti al simulacro dell’Addolorata c’è il trono, composto dalla prima posta e dal reggitore del “bastoncino”. Dietro alla statua dell’Addolorata c’è un fiume di fedeli con le torce in mano. La processione, dopo una breve sosta al Borgo, rientra intorno alle ore 15 del Venerdì Santo.
 
Venerdì Santo: i Misteri hanno 250 anni
 
Ricorre quest’anno il 250° anniversario dalla donazione delle statue di Gesù Morto e dell’Addolorata fatta nel 1675 dal nobile tarantino Francesco Antonio Calò alla Confraternita del Carmine. E’ da allora che si svolge la bella e suggestiva processione dei  Misteri che raggiunse la Città Antica per l’ultima volta nel 1966. Quest’anno, data la giubilare ricorrenza, i Misteri eccezionalmente torneranno nella Città Antica.
La Processione dei Misteri esce alle 17 del Venerdì Santo dalla Chiesa del Carmine e rientra nella stessa dopo le ore 9 del Sabato Santo al mattino con il rituale dei tre colpi che il troccolante fa sul portone chiuso della Chiesa con il suo bordone. Tale cerimonia si ripete dal 1978. 
In questa processione tutti i confratelli vanno scalzi tranne i portatori delle “forcelle” che non vestono l’abito di rito. Apre la Processione il troccolante seguito dal Gonfalone che è lo stendardo della Confraternita listato a lutto. Subito dopo c’è il portatore della Croce dei Misteri. Poi sfilano le otto statue intramezzate dalle poste dei confratelli. La prima è la Statua di Gesù all’Orto, la seconda è quella della Colonna seguita dall’Ecce Homo e da “La Cascata”. Seguono nell’ordine il Crocifisso, la Sindone, Gesù Morto e l’Addolorata. I quattro lacci attorno alla bara di Gesù Morto sono retti da quattro “cavalieri” scelti dalla Confraternita.
I tarantini chiamavano la funzione del Venerdì Santo “Messa scisciata” perché non si consacrano le ostie ma si usano quelle del Giovedì Santo. 
Le donne tarantine il Venerdì Santo coprivano tutti gli specchi delle case e facevano il digiuno fino al giorno di Pasqua, non si pettinavano e non si lavavano per evitare, dicevano, che il diavolo potesse prendere su loro il predominio. 
 
 

 



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