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Mariangela Lamanna/Se morte dev´essere

Pubblicato da: Categoria: COVER

16
NOV
2012

 

«Almeno decidiamo noi come morire». Non si ferma la protesta dei malati di Sla e dei loro familiari, costretti a convivere con una malattia terribile, abbandonati da uno Stato che preferisce investire sui cacciabombardieri
 
Ora che Obama ha trionfato riconfermandosi come presidente, penso alle strette di mano con Mitt Romney, “non un nemico, ma un avversario” col quale collaborare per un programma che salvi l’economia evitando ingenti tagli alla popolazione. Fin qui è evidente che in Italia non funzioni così, d’altra parte non è un caso che a dividerci dall’America sia un intero oceano. Nel nostro Paese, tra avversari vige il principio del ‘mors tua vita mea’, mentre i tagli si effettuano sull’istruzione, sulla sanità e perché no anche sui malati gravi. Lo sa bene Mariangela Lamanna, vicepresidente del “Comitato16 novembre”: l’abbiamo pescata tra un’intervista e l’altra, visibilmente arrabbiata e sconcertata, ma come darle torto. Dal suo temperamento forte e agguerrito non trapela nessun cedimento, ma in fondo è facile immaginare come anche questa donna sia provata da una situazione che stenta a migliorare. Lei è la sorella di Giusy Lamanna, una donna affetta da Sla, sclerosi laterale amiotrofica, che come tanti altri gravi malati ha iniziato il suo sciopero della fame contro un governo che si rifiuta di destinare dei fondi per aiutarli a sopravvivere. Costretta a vivere immobile, tracheotomizzata e intubata, i suoi muscoli hanno lentamente ceduto a un male che distrugge tutto, tranne la mente, rimasta perfettamente lucida e cosciente. Giusy e Mariangela, due rocce, due donne, due sorelle che vivono l’una per l’altra alimentandosi reciprocamente di forza, coraggio e amore: gli stessi sentimenti che Giusy racchiuse nel sorriso più bello donato a Mariangela quando per miracolo le salvò la vita.
Sig.ra Lamanna la sua vicenda e il suo attivismo all’interno di questo mondo che ruota attorno alla Sla, nasce circa cinque anni fa con l’ammalarsi di sua sorella.
«Sì, quando ci hanno comunicato il male di mia sorella noi eravamo completamente impreparati e  abbiamo iniziato a informarci su internet, notando che il primo nome che compariva nella ricerca era quello dell’Associazione Nazionale per i malati di Sla, l’Aisla. Perciò ci affidammo a essa come se fosse la panacea di tutti i mali, credendo tantissimo nella figura del dottor Melazzini che a prima impatto stimavamo molto. Purtroppo, però, l’apparenza inganna e il mito che vegliava attorno alla sua figura crollò immediatamente quando durante un incontro ebbi modo di conoscerlo di persona e di rivolgergli una domanda un po’ più tecnica: gli chiesi se per i malati di Sla ci sarebbe stata qualche possibilità con le cellule staminali, anche perché chiunque sarebbe disposto a fare di tutto per il proprio familiare, ma lui infastidito rispose che ognuno era libero di fare quello che voleva, senza nessuna certezza. Congedò me e mia sorella senza nemmeno una stretta di mano, io cercai di tenere a bada i miei istinti e tuttavia scelsi di spendermi completamente per l’Aisla».
Qual è stata la miccia scatenante della sua separazione da questa associazione?
«Dopo l’adesione all’Aisla, bastò poco tempo per rendermi conto che non solo nel mio territorio questa malattia terribile non era nemmeno conosciuta, in contraddizione con il ruolo di formazione e informazione che l’associazione sosteneva di svolgere, ma anche che la mia presenza era utile in quanto fonte di finanziamento, poiché mi prodigavo tantissimo per organizzare manifestazioni e occasioni che destinassero le varie donazioni all’Aisla. Di tutti questi soldi, non c’era la minima traccia di un ritorno né sul mio paese, né sul letto di mia sorella. Va benissimo la ricerca per quelli che verranno, ma le persone che sono già affette da Sla in che modo vengono aiutate? L’Aisla nelle regioni in cui ha potuto, è riuscita a dare l’assegno di cura, per le altre non ha fatto nulla: non c’è distinzione tra paesi, l’ammalato è sia tarantino che lombardo».
Il Comitato 16 novembre nasce proprio da una protesta che denunciava una mancanza di attenzione nei vostri riguardi.
«Esattamente. Stremati da questa situazione che non ascoltava minimamente le nostre richieste, il 16 novembre 2010 con gli ammalati, alcuni in carrozzina, altri tracheotomizzati, ci siamo recati davanti al Ministero dell’Economia e delle Finanze per far sentire la nostra voce: non cercavamo la pietà di nessuno, ma reclamavamo il diritto a un’assistenza dignitosa e il riconoscimento al lavoro per i familiari più stretti di questi malati. Non dobbiamo dimenticare che si tratta di parenti che lasciano la loro occupazione per assistere il proprio caro h24, ogni giorno, per anni e anni».
Dopo questa rivolta e con la nascita del Comitato c’è stato qualche miglioramento?
«Il miglioramento c’è stato solo sulla carta, infatti noi abbiamo avuto 100 milioni di euro appartenenti al famoso fondo Sla, ma nel momento in cui questo fondo è stato dato in gestione al Ministero del Welfare, il Ministero per procedere alla divisione di questi soldi, ha pensato bene di rivolgersi alle grosse organizzazioni. Aisla ha fatto sì che venisse diviso in base alla popolazione residente sul territorio e non in base all’incidenza della malattia, perciò in Lombardia un ammalato al quarto stadio percepirà duemila euro, in Puglia ne percepirà mille e così via: questa disparità mostruosa non si può accettare. Tra l’altro, quando tutte le Regioni hanno presentato dei progetti da sottoporre all’approvazione del Welfare, in merito a questo fondo Sla, le Regioni hanno pensato di disporre questi soldi o per potenziare le strutture socio sanitarie ma noi quei soldi li vogliamo a casa), o per l’acquisto di comunicatori oculari (che sono degli ausili e devono essere predisposti da altri capitoli di spesa), o per fare corsi di formazione faraonici (ritengo che questi ultimi non servano a nulla: io ho imparato a tracheo-broncoaspirare mia sorella su di lei)».
Le cose cambiano quando con la spending review il governo deicide di destinare ai malati gravissimi parte dei 658 milioni del fondo Letta: questa notizia a prima vista, sembra positiva?
«La spending review e la legge 135 prevedono che 658 milioni di euro, il famoso fondo Letta, debbano essere utilizzati a favore di diverse criticità come le famiglie, la ricerca, il sociale, precisando, però che la prevalenza di questo fondo dovesse essere utilizzato per i disabili gravissimi: rispetto a questa cifra, per noi la maggioranza consiste in almeno 330 milioni di euro. Soldi che non andranno solo ed esclusivamente ai malati di Sla, ma a tutte le persone affette da patologie invalidanti: infatti, abbiamo presentato un progetto che prevede il riconoscimento di tre livelli di malattia, medio, intenso e totale, che vanno da dodici a ventiquattro ore di assistenza. Tutto questo accadeva il 6 luglio 2012 e noi eravamo abbastanza soddisfatti delle decisioni prese,  anche se non era stato ancora dettagliato l’importo preciso dell’intervento».
In occasione di questo intervento il Comitato 16 novembre ha anche presentato il progetto ‘Restare a Casa’: in cosa consiste?
«Sì, il progetto ‘Restare a Casa’ consiste nell’assistere al proprio domicilio i malati di questa patologia, facendoli rimanere nel loro ambiente familiare, ma dotandoli di tutti gli strumenti e i macchinari necessari alla sopravvivenza. Per fare questo abbiamo richiesto da parte dello Stato un contributo di 20 mila euro l’anno a ogni famiglia dove risiede un malato grave. Non dobbiamo sottovalutare che per il malato è di importanza vitale rimanere nella propria casa, che rappresenta l’ambiente sterile per eccellenza: le strutture sanitarie sono dei veri e propri lager in cui prolifera una carica batterica fatale per queste persone delicatissime a cui può nuocere gravemente anche un raffreddore. Per questo motivo il nostro programma, che illustra anche come bisogna assistere un malato di Sla, chiede questi contributi affinché il malato viva a casa godendo del calore e dell’affetto dei suoi familiari. Inoltre questi 20 mila euro servono a ricoprire un’assistenza costosissima perché ogni malato ha in dotazione apparecchi salvavita in misura doppia, entrambi sotto carica, in modo tale che se uno si blocca all’improvviso l’altro deve immediatamente sostituirlo, perché altrimenti si potrebbe morire. L’assistenza h24 produce anche posti di lavoro, perciò aiuterebbe l’economia».
Stando alla ricostruzione degli eventi, tutto sembrerebbe favorevole verso una svolta decisiva, invece, il fondo Letta viene assommato a un’altra quota costituendo il fondo Catricalà: questo entra nella gestione del Presidente del Consiglio, Mario Monti, che assieme al ministro dell’economia, Grilli, sembra opporsi alla destinazione di parte di questi fondi  ai malati gravi. È a questo punto che scatta lo sciopero della fame da parte degli ammalati di Sla, conferma?
«Esattamente. Lo sciopero è stato avviato perché ci siamo sentiti presi in giro: dopo averci “rimbalzato” da un Ministero all’altro senza mai nessun provvedimento concreto, pensavamo che con la spending review approvata il 6 luglio fossimo riusciti a ottenere qualcosa, ma così non è stato.  Il fondo Catricalà è entrato nella gestione del Presidente del Consiglio, Mario Monti, che non sembra minimamente propenso a stanziare queste risorse per i malati di Sla. All’inizio di settembre abbiamo iniziato a capire che le cose non stessero andando più bene, perciò abbiamo scritto una lettera a tutti e tre i Ministri, Lavoro, Salute ed Economia, presentando il progetto ‘Restare a casa’ e paventando l’ipotesi che a fronte di nessuna risposta saremmo entrati in sciopero della fame, perché visto che vogliono farci morire, scegliamo noi come farlo».
Questo sciopero ha fatto sì che i tre ministri si mobilitassero attraverso un incontro avvenuto a Cagliari presso la casa di Salvatore Usala, segretario del Comitato, anche lui malato di Sla: cosa si è stabilito durante questo confronto?
«La Fornero si era già impegnata personalmente con me al telefono, per fare in modo che almeno una parte importante di questo fondo rimanesse per i disabili gravissimi, ha riconfermato il suo impegno a Cagliari con il Ministro della salute, Renato Balduzzi, ma entrambi non hanno quantificato la somma da destinare. Tuttavia noi non siamo più disposti a scendere a patti con nessuno, aspettiamo fino al 20 novembre, se fino ad allora non ci sarà nessun miglioramento, muniti di tende ci stanzieremo davanti al Ministero dell’ Economia e delle Finanze fino a quando non ci sarà una svolta».
Di fronte all’ennesima opposizione di Monti in merito alla destinazione dei fondi per i malati di Sla, la Fornero ha di nuovo versato qualche lacrima: cosa ne pensa a proposito?
«La Fornero mostra un lato umano, mi preoccupo di più del silenzio e della strafottenza di Grilli e Monti.  Il Ministro del lavoro ci ha abituato alle sue esternazioni, non proprio felicissime, ma se devo scegliere tra lei, che una volta mi disse che “non avrei mai potuto immaginare quanto fosse difficile la vita di un ministro”, e un presidente Aisla che parla della Sla come una risorsa e un valore aggiunto, allora ben vengano mille Fornero, almeno sappiamo che lei non ha proprio la cognizione di cosa stiamo parlando».
Qual è attualmente il suo stato d’animo?
«Sono disgustata dalla corsa ad aggiudicarsi la palma del vincitore da parte di politici, di Aisla e di altre grosse organizzazioni: tutte queste persone dovrebbero ricordarsi che se noi abbiamo dato vita a questa protesta è perché loro fino a ora non hanno fatto nulla, nessun partito si è mai battuto veramente per ripristinare questo fondo. Questa è la lotta degli ammalati aderenti al Comitato 16 novembre, quelli che vivono sulla loro pelle questa malattia!».



Commenti:

Giuseppe Fasano 16/NOV/2012

Molti anni fa, durante l'esercizio della mia professione, mi ritrovai dinanzi ad alcune realtà familiari dove, tragicamente, la sclerosi laterale amiotrofica aveva putroppo provocato disagi oltre l'immaginabile. Sono stato testimone della decadenza fisica di giovani, alcuni miei coetanei, ed è stato spesso difficile riuscire a "staccare", per me, così coinvolto emotivamente. La causa di questa malattia neurodegeretiva del sistema nervoso è sconosciuta. Ma quello che preme, in questo momento, è che venga riconosciuta come priorità nelle agende delle politiche assistenziali socio-sanitarie. Ho spesso assistito, impotente, a come l'intera organizzazione familiare di un malato di SLA venga sconvolta, non solo sul piano economico (perchè l'assistenza specializzata costa)ma anche psicologico. In tal senso mi ripugna quel disinteresse istituzionale nei confronti di questo problema. Avete fatto bene a parlarne sulla stampa, sollevando una questione che i politici di tutte le coloriture si rifiutano (o fanno finta) di affrontare. Saluti.

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