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VALENTINA DE PALMA - Ci vediamo in cucina

Pubblicato da: Categoria: COVER

7
NOV
2015

Quasi un ritorno alle origini per l’arte culinaria.

Sì, è proprio così, perché è a tutti noto che la prima cuoca del mondo fu una donna. Poi, col trascorrere dei secoli l’uomo incominciò a mettere a “ficcare il naso” tra i fornelli, rubò, per modo di dire, parte del mestiere alla donna, indossò grembiule e “touche blanche” (il tipico cappello da cuoco) e incominciò a dimostrare che insieme alla donna-cuoco ci poteva essere anche l’uomo-cuoco.

Generalmente quando si usa il termine di chef si è portati, oggi, a pensarlo al maschile, ma le donne, che mai nella storia dell’umanità hanno tollerato che il maschio potesse sopraffarle in cucina, sono partite a spron battuto e hanno riacquistato il titolo di “reginette” della cucina.

La letteratura degli ultimi tempi attesta in maniera inequivocabile quanto sopra detto.

Ma, dalle nostre parti, ci sono donne chef che hanno quel tocco magico ed elegante da essere additate come “donne speciali”?

L’interrogativo me lo ero posto più volte fino a quando qualche tempo fa, in occasione di uno shooting fotografico, ho approfittato per fare delle domande a una già rinomata chef di casa nostra, Valentina De Palma.

Cominciamo, pertanto, dalla fine. Da qualche settimana conduci sul canale digitale terrestre e in diretta streaming su Studio 100 Tv una trasmissione quotidiana di cucina, guidando i telespettatori attraverso le ricette, i prodotti tipici e le pietanze della regione. Come è nata l’idea e come si è portata a compimento?

«L’idea è nata dal mio editore Gaspare Cardamone con cui avevo già avuto delle collaborazioni negli anni passati. Mi ha contattata proponendomi questo progetto che promuove le eccellenze del nostro territorio e la valorizzazione quindi dei prodotti delle aziende produttrici, dei presidi Slow Food, delle associazioni ed Enti che promuovono l’enogastronomia pugliese, dei miei colleghi chef che con il loro lavoro portano avanti il brand Puglia».

Partiamo dai tuoi inizi. Sei figlia di due architetti molto noti. Hai svolto anche tu per vari anni questa attività. Qualche volta ci ripensi a squadre, righe, compassi e banchi da disegno?

«Devo dire di no, rimangono i ricordi legati ai professionisti che ho conosciuto in questo percorso e un background culturale che ogni tanto affiora nel mio mestiere di cuoca».

La definizione che più si utilizza per descriverti è ‘archi-chef’. Quanto hai sfruttato la tua esperienza, ormai abbandonata, di architetto in cucina? E viceversa, quando eri architetto quanto tempo dedicavi alla cucina?

«Bella domanda! L’architettura entra nella mia cucina attraverso l’equilibrio dei piatti, l’accostamento dei colori, l’armonia dei sapori e la presentazione. La cucina è sempre stata parte importante della mia vita e da architetto almeno una volta alla settimana avevo ospiti a casa i miei colleghi di studio. Già 15 anni fa le mie cene etniche erano famose tra colleghi geometri ed architetti».

Sei mamma di tre bei giovanotti. Quanto sono orgogliosi di avere una mamma così brava ai fornelli?

«Il più grande studia all’Università e oramai i miei piatti li degusta poco. Edoardo, di 12 anni, è fiero delle mie performance ed ama partecipare a ‘Cinegusto’ con i suoi amici, degustando e guardando il film. Riccardo, di 5 anni, è un piccolo grande chef, usa correttamente frusta, pinze e coltelli da quando aveva 2 anni. Lui adora cucinare con la sua mamma e ancor di più divorare tutto!».

I tuoi figli crescono in una città con mille difficoltà e problemi. Se loro decidessero di andar via da Taranto, quanto saresti tentata a frenarli? E quanto, invece, li sproneresti a realizzarsi lontano dalla loro città natìa?

«Non li obbligherei nè a rimanere nè ad allontanarsi. Sicuramente li spingerei per fare esperienza fuori, se possibile all’estero. Adattarsi a nuove culture e riuscire a integrarsi in realtà diverse dalla nostra apre la mente, fa crescere e forgia il carattere. Sono fermamente convinta possa essere per loro una carta vincente nella vita personale e professionale. Nell’ottica di poter tornare nella propria terra con nuove idee, bagaglio di esperienze importanti ed entusiasmo».

Si è concluso da poco a Milano l’Expo. Tema della rassegna è stato “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Ci sei andata come addetta ai lavori o come semplice spettatrice? Cosa ti ha colpito maggiormente?

«Ci sono stata in veste di mamma in primis, con un regalo che mio padre ha voluto fare a noi figli e ai suoi nipoti; è stata una bella esperienza, faticosa, ma al tempo stesso unica e interessante. L’ottica è sempre quella di aprire le menti e scoprire il mondo attraverso le culture enogastronomiche di altri paesi, certo il mio occhio era più attento di quello di un semplice visitatore».

Organizzi catering, corsi di cucina, partecipi a trasmissioni televisive (chi non ricorda Valentina in ‘Chef in tacchi a spillo” su Telenorba), sei redattrice di rubriche culinarie, sei impegnata nel sociale, sei mamma e moglie. Cosa faresti ancora se la giornata fosse di quarantotto ore?

«La verità? Dedicherei un po’ più di tempo a me stessa ed ai miei interessi, come il cinema, la lettura e lo sport».

Un viaggio a Londra nel 2008 è stato fondamentale per la tua conversione al mondo della cucina. Quanto coraggio c’è voluto per lasciare un lavoro certo (quello di architetto) per un’attività che poteva anche rivelarsi non produttiva?

«Parecchio coraggio, non facile uscire da certi schemi in cui a volte scelte della vita ti hanno ingabbiato. Ma la passione e il credere fortemente in questa scelta mi hanno aiutato a intraprendere questo nuovo percorso di vita professionale».

“Cinegusto” lo hai definito il tuo quarto figlio. Ci spieghi meglio?

«Cinegusto è un evento legato a due mie grandi passioni, il cibo e il cinema, riunite in una magica serata conviviale, in un cinema del circuito d’autore. Centoventi persone si incontrano per degustare insieme piatti ispirati al film in visione che racconta ovviamente di chef, cucina, sapori e storie appassionanti. Il clima è molto conviviale e ogni sera la sala è allestita in modo diverso legata al film in visione, così come il menù e la degustazione di piatti e vino che proietta lo spettatore nelle atmosfere del film.

E’ un progetto che ha avuto grande successo a Taranto, esportato anche nella bellissima cornice della Med Cooking School di Antonella Ricci a Ceglie Messapica ed a Eataly di Bari, ecco perché lo considero il mio quarto figlio, che accompagno con passione e amore verso nuove strade».

Quando sei tra i fornelli prevale la gioia di fare una cosa che ti appassiona o la paura di sbagliare qualcosa?

«Assolutamente la gioia, l’eccitazione e l’entusiasmo, paura poca e se passa dura davvero poco, in cucina non ci si può permettere di perdere tempo!».

Sei pugliese da parte di padre e toscana da parte di madre. Quanto si influenzano nella tua cucina gli odori delle due regioni?

«Sono stata erudita da una nonna paterna davvero brava in cucina, le mie basi e la mia passione per i fornelli nascono da lì. Quella per i sapori del mondo dalla nonna materna e la passione per i viaggi, invece, dai miei genitori».

A Londra hai imparato perfettamente l’inglese. Hai più volte dichiarato di aver intrapreso lo studio della lingua giapponese. Qualche idea imprenditoriale con gli occhi a mandorla si profila all’orizzonte?

«Beh, mai dire mai nella vita, magari ‘Gustodivino’ sbarcasse in Giappone! Ho intessuto nell’ultimo anno dei rapporti lavorativi con una scuola di cucina giapponese a Londra, la cui insegnante Reiko Hashimoto ha tenuto un corso da me organizzato qui a Taranto e ho in programma altre sessioni qui, nonché un corso giappo-pugliese a quattro mani da tenere a Londra».

Hai organizzato fino a poco tempo fa, con l’Associazione ‘Il Ponte’, dei corsi di cucina destinati ai detenuti della Casa Circondariale di Taranto. Come sei stata accolta e, soprattutto, cosa ti ha lasciato questa esperienza?

«Esperienza incredibilmente formativa e molto forte dal punto di vista umano ed emozionale. Entrata lì dentro armata di coltelli e pentole e di un po’ di timore, dovuto ad un esperienza nuova e completamente diversa dal solito da affrontare, sono stata accolta da grande rispetto e stima per me e per il lavoro ed il tempo che dedicavo ai detenuti.

Ho scoperto un mondo che molti ignorano volutamente, come se fosse una realtà parallela che non debba assolutamente toccare le nostre vite perfette; invece è una realtà importante di cui bisogna assolutamente occuparsi, col volontariato o attraverso idee imprenditoriali che restituiscano dignità ai detenuti. Come hanno fatto al Carcere di Bollate dove pochi giorni fa ho avuto l’onore di cenare nel primo ristorante all’interno di una Casa Circondariale».

Dove e come ti vedi tra dieci anni? Quali sono i progetti che vorresti vedere realizzati?

«La domanda più difficile per ultima… Cuoca sicuramente, imprenditrice in questo settore, magari con una sede di ‘Gustodivino’ a Londra, una a Madrid con l’aiuto di una delle mie amiche del cuore e chissà una in Giappone diretta dal mio piccolo Riky chef!».

Fin qui l’intervista che ci ha presentato un  personaggio particolare ed interessante al tempo stesso, che ama Taranto ma fare anche esperienze nel mondo.

E ad un personaggio come lei l’“In bocca al lupo” e “Ad maiora”  è il minimo che si possa augurare insieme alle congratulazioni per tutto ciò che ha realizzato fino ad oggi conquistandosi meritatamente il “palcoscenico” nel settore e veicolando, sia pur indirettamente nel mondo, il nome di Taranto.



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