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Dopo la tragedia/ Finchè cuore può sopportare

Pubblicato da: Categoria: COVER

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LUG
2016
Un mese fa Taranto venne sconvolta da un orribile fatto di cronaca: Federica e il figlio Andrea furono uccisi dall'uomo - marito e padre - che poi si suicidò. Ora i genitori di lei, Rita Lanzon e Vincenzo De Luca, raccontano e mostrano le ferite del corpo martoriato della figlia e quelle del loro cuore, destinate a non rimarginarsi
 
L’appuntamento con i genitori di Federica, Rita Lanzon e Vincenzo De Luca, è per le ore 11 del 12 luglio. In questo mese torrido l’emozione di un incontro così importante e pregno di significato aumenta ulteriormente la sudorazione e fa quasi tremare i polsi. Siamo in due della nostra redazione, io e Imma, la nostra reporter, a incontrare Enzo e Rita. Quasi a dimostrazione che quello che ci accingiamo a vivere non sarà un semplice incontro programmato vien fuori non con la rituale stretta di mano ma con un sentito e fraterno abbraccio. Rita si scusa perché è appena tornata dalla visita al Cimitero di Talsano dove riposano insieme Federica e Andrea e dove ancora una volta ha sciolto il suo pianto sulle freddi lapidi marmoree. Non abbiamo bisogno di porre domande perché Rita ed Enzo sono un libro aperto le cui parole vorrebbero che raggiungessero le orecchie e il cuore del maggior numero possibile di persone.
Ricordano tutti i momenti belli della vita di Federica e di quella brevissima dell’innocente Andrea. Non una parola di vendetta o di odio nei confronti dell’esecutore di una tragedia indefinibile, ma tanto amore nei ricordi delle tappe belle della vita di Federica.
Ultimo nel tempo la laurea conseguita pochi mesi fa e la sua straordinaria conoscenza di lingue straniere tra le quali quella del papa polacco San Giovanni Paolo II a cui Federica volle dedicare la sua tesi di laurea.
La portano nel cuore minuto dopo minuto ma indossano la madre l’anello e il padre la collana, dono dei genitori a Federica nel giorno della laurea.
Non sono due segni materiali comuni ma la sintesi dell’ultimo vero momento di felicità terrena della povera Federica.
E poi, quando si dice il destino, ecco spuntare l’auto dei nonni materni della ragazza che notano la nostra presenza e vogliono rendersene conto ma soprattutto aggiungere particolari interessanti della vita della nipote e del piccolo pronipote.
Tanti i ricordi improntati alla semplicità, alla spontaneità e alla felicità che è racchiusa nelle piccole cose.
Prima di congedarci il cuore di Rita ed Enzo si dilata e quasi a sigillo di ciò che la figlia ha rappresentato per loro e per quanti hanno avuto la fortuna e la gioia di incontrarla in vita, rimarcano due caratteristiche per loro primarie della loro Federica: la bellezza del volto e dei lineamenti e l’innocenza del cuore, quell’innocenza che aveva risposto soltanto al richiamo di ciò che lei riteneva che fosse amore per suo marito senza mettere in conto la differenza anagrafica tra i due.
Un incontro per noi fuori dall’ordinario, un incontro che ha lasciato in me e in Imma una impronta che resterà a lungo presente.
A un mese dalla dipartita Federica e Andrea continuano a parlare al cuore dei tanti tarantini che in questa vicenda hanno vissuto uno spaccato di storia brutta che è frutto di errori ed orrori presenti nella nostra società.
Grazie Federica e Andrea, ma grazie anche a voi, Rita ed Enzo, che portate nel cuore, negli occhi e nella quotidianità della vita tutto ciò che di bello e di buono hanno saputo produrre in vita, e non poteva essere diversamente, i vostri due gioielli.
***
Dalla fiaccolata del 7 luglio scorso per ricordare la tragica morte di Federica De Luca e del figlioletto Andrea emergono problematiche purtroppo di grande e drammatica attualità: la violenza e la sua prevenzione, il femminicidio, il rispetto per la vita degli altri, la lettura cristiana di avvenimenti così crudeli e drammatici. Tutto ciò è stato proposto a un mese dalla tragedia che ha visto un marito uccidere la propria moglie e il figlioletto di soli tre anni e di essersi poi suicidato. Una ferita immensa per la famiglia colpita dalla tragedia e dal lutto, una ferita che a distanza di un mese sembra non volersi rimarginare tanto forte e incisivo è stato il dolore.
La sera del 7 luglio per le strade del borgo umbertino e della città antica hanno sfilato in più di 500, vestiti di bianco per rappresentare l’innocenza e la purezza intrisi poi dal sangue assassino, con le fiaccole accese a significare che la speranza è veramente l’ultima a morire e poi la conclusione della fiaccolata fatta non in una semplice Chiesa ma nella Cattedrale quasi a voler rimarcare come la tragedia abbia finito per toccare il cuore e la mente di ogni tarantino.
La manifestazione è stata organizzata dall’ Associazione Volontari Ospedalieri – Avo di cui fa parte la mamma della povera Federica.
La madre della giovane donna uccisa, unitamente al padre, non soltanto hanno avuto una forza straordinaria per far conoscere alla città le immagini forti del volto della figlia sfigurato dalla violenza e adagiata nella bara ma hanno avuto anche la forza di lanciare questo messaggio che è una traccia che ciascuno di noi è chiamato a percorrere: “Non abbiate paura, denunciate qualsiasi tipo di violenza prima che sia troppo tardi!”.
Già, la violenza umana molto spesso in questi ultimi tempi sta diventando incontrollabile e sta sfociando in tragedie come questa di cui ci stiamo occupando. La violenza come ultimo atto di un continuum di soprusi di carattere fisico, psicologico, economico o sessuale, come l’ultimo atto per eternare e congelare un rapporto già spaccato.
Dall’inizio dell’anno più di 60 donne sono state uccise in Italia dal partner o, più spesso, da un ex. Oltre 160 dall’inizio del 2015. I dati di Telefono Rosa dicono che in un anno e mezzo 8.856 donne sono state vittime di violenza e 1.261 di stalking. Ma è solo la punta dell’iceberg visto che il  90% dei maltrattamenti non viene denunciato.
Molte tragedie si potrebbero prevenire insegnando nelle scuole e in famiglia, con atti concreti e  non parole vuote, il rispetto per la vita, per le persone, non dimenticando che non siamo i padroni ma soltanto i gestori temporanei della nostra esistenza.
E poi c’è la lezione contenuta nella efficace omelia del parroco di San Cataldo, mons. Emanuele Ferro (che ha celebrato anche le nozze di Federica e il battesimo del piccolo Andrea) quando dice: “Cosa ci dice il Cristo inchiodato alla Croce? Sicuramente che esiste il male, che esiste la furia omicida degli uomini che sono capaci di scagliarsi contro gli innocenti e gli indifesi, esiste il male gratuito che si nutre delle passioni recondite, dei cuori corrotti; chi stava più vicino a Cristo lo ha consegnato alla morte. E, purtroppo, quel male, conosciuto per sentito dire, o visto in Tv, un brutto giorno è piombato fra noi”.
E rivolgendosi ai famigliari così continua: “Come darvi torto quando dite ‘la nostra vita è finita lo scorso 7 giugno?’, Io nel nome di Gesù vi auguro che si attacchi al vostro cuore non la morte che vi ha portato via le ragioni della vostra esistenza, ma il desiderio di vita che è stato negato a Federica ed Andrea, la loro bellezza, il loro sorriso, vi raggiunga la loro stessa voglia di vivere…”.
Una riflessione che partendo dalla Croce ci invita a riflettere come il male convive nella nostra società. Lo dobbiamo combattere ogni giorno, ma lo dobbiamo saper combattere se non vogliamo essere sopraffatti dallo stesso. Lo si deve tenere lontano da noi perché quando piomba produce soltanto danni irreparabili.
Ed è questo l’invito che Federica ed Andrea ci indicano con la loro vita spezzata anzitempo: fermate il male perché è subdolo e, quando entra, è difficile liberarsene.
Se lo capiremo e lo metteremo in atto il loro sacrificio non risulterà essere stato vano.
Proviamoci da subito. Non aspettiamo che arrivi la tempesta. Prepariamoci a difenderci dalla stessa non soltanto quando sentiamo il tuono o vediamo il fulmine.
Potrebbe essere già troppo tardi!
 
"MERAVIGLIOSA CREATURA”
Riportiamo integralmente la lettera scritta dalle amiche di Federica in occasione della fiaccolata del 7 luglio, trigesimo della sua s comparsa
“Non sappiamo dove, ma insieme! Oltre le distanze, mai da sole! Siamo la somma di ciò che hai creato! Siamo il risultato di quello che ci hai lasciato! Abbiamo solo ricordi felici di te: una foto in cui sorridi e abbracci forte il tuo piccolo Andrea, le serate nel periodo dell’università, le tue trasferte “pallavolistiche” trascorse insieme con le tue (e solo tue) canzoni preferite, le chiacchierate la mattina al telefono, le colazioni insieme al bar, le passeggiate tra gli scaffali di un supermercato alla ricerca di “anicette” e “potpurri”. Siamo la somma di tutto ciò che tu rappresenti per noi! Attimi, momenti felici di una vita spensierata e allegra! Caposaldo di una famiglia, punto fermo; il faro verso il quale ti dirigi quando ti trovi disperso nel bel mezzo di una tempesta. Famiglia. Ecco cosa eri, cosa ancora sei per noi: un rifugio, quell’amica indispensabile, la forza e il coraggio, l’esempio che da sempre ci si ripropone di seguire!
Entravi con la tua divisa di arbitro nazionale nei palazzetti di ogni città d’Italia, li illuminavi con il tuo sorriso e dopo andavi via, facendo già sentire la tua mancanza! Come commissario arbitri della tua provincia, insegnavi a tutti la disciplina e il rispetto, la lealtà e la correttezza!
Hai imparato tu stessa a dover proteggere coloro che rappresentavi, quelle persone che in te credevano fortemente, guidandoli verso i propri obiettivi e aiutandoli nei loro imprevisti! La stessa protezione che hai sempre dimostrato, in modo spontaneo e naturale, nei confronti del tuo più grande capolavoro, Andrea! Meravigliosa creatura, dai lineamenti perfetti e dal sorriso inconfondibile, sempre troppo educato e molto sensibile, protettivo verso la sua mamma, amorevole verso i suoi nonni piccoli e affettuoso con i suoi nonni grandi (bisnonni); amato da tutte le sue compagne d’asilo che, forse, già vedevano in lui l’uomo che sarebbe diventato, attento ai Tuoi insegnamenti, buono e generoso con tutti! Senza imposizioni o condizionamenti, Andrea aveva il tuo carattere, la tua dolcezza che, senza riserve mostravi quotidianamente verso le meravigliose persone che donandoti la vita, ti avevano cresciuta come una Donna; una di quelle che fa tutto da sé senza dar pensieri a nessuno, una Donna che, forte e fragile allo stesso tempo, ha sempre vissuto una vita piena di traguardi e vittorie! Basterebbe forse dire tutto questo di te per far capire che persona eri! Siamo sicure che, se ci fossi stata tu qui fra noi, questa lettera l’avresti scritta in due secondi; macchina da guerra, rivoluzionaria e determinata, sapevi sempre cosa fare, avevi sempre qualcosa da dire, ogni situazione era sotto il tuo controllo! Si avvertiva forte e chiara la tranquillità nello starti accanto, perché tanto c’eri tu a risolvere ogni problema o, se impossibile, ti bastava sorridere per ottenere lo stesso risultato! Averti come amica significava essere in due in ogni momento, trovarti sempre di fianco, ed esserti amica era un vero onore! Proprio questo ci porta a dover affrontare uno di quei dolori che non si possono evitare, ne cancellare! Quei dolori che esistono e basta, ti devastano e ti cambiano, lasciando un vuoto che niente potrà colmare! In questa cruda realtà vogliamo immaginarti con quel sorriso splendente, indaffarata tra mille impegni ma sempre pronta ad “incastrarci” un caffè, a mandare un messaggio, a fare una telefonata a chiunque, per un qualsiasi motivo, faceva parte della tua vita! Non esiste il tasto cancella, non si può tornare indietro! Nessuno può ridarci indietro la tua vita che, forse, solo in questo modo avrebbe potuto piegarsi e spezzarsi, ma nessuno potrà mai portarci via anche la tua memoria, attraverso la quale ogni sera continui a cenare e scherzare insieme a noi! Non saranno nè le mani fredde di una mente perversa, ne le omelie deliranti di un prete svenduto a chi ha fatto della finta beneficenza, la solita personale vana gloria, meno che mai gli applausi dei benpensanti a distruggere il nostro legame! Ti sentiamo vicina… non sappiamo dove, ma insieme!”.
 
LE TUE AMICHE PER SEMPRE
I volontari ospedalieri dell'AVO operano su tutto il territorio nazionale portando conforto ai degenti. A Taranto sono presenti dal 2005 e quotidianamente, nei reparti dell'Ospedale SS Annunziata, portano conforto ai malati che ne hanno bisogno.
Rita Lanzon, madre di Federica e nonna di Andrea, è una loro volontaria da diversi anni. Insieme a lei tutti i volontari hanno vissuto il dramma che ha sconvolto la nostra città. Anna Pulpito dell’Avo così ricorda Federica
 
“Spesso ci accade – ci dice Anna Pulpito, presidente della locale associazione AVO - durante i turni di servizio d'incontrare donne timorose che visibilmente mostrano la paura di parlare, di denunciare la violenza subita. Il silenzio è sempre complice. Lo è quanto l'omertà che circonda queste donne che non trovano il coraggio di denunciare e di non soccombere. Siamo spesso impotenti. Inermi di fronte a drammi che ci sconvolgono ma che non riusciamo a contrastare. Le istituzioni devono assicurare la loro vigile presenza attraverso programmi mirati”.
L’associazione Avo ha la sua segreteria presso il Centro trasfusionale del SS. Annunziata, è aperta il martedì dalle ore 16 alle ore 18. Per informazioni si può telefonare al n. 347-8569681 oppure visitare la pagina facebook avo taranto.
Intanto, ricordiamo che lo scorso 2 luglio è partita in tutta Italia la campagna del ministero dell’interno #questononèamore. In 14 città italiane (Sondrio, Brescia, Bologna, Arezzo, Macerata, Roma, L’Aquila, Pescara, Matera, Campobasso, Cosenza, Palermo, Siracusa e Sassari) il primo e il terzo sabato del mese un camper, con a bordo operatori altamente specializzati, sosterà nei luoghi principali delle città coinvolte in questo progetto e le donne che vorranno denunciare comportamenti violenti saranno accolte e aiutate.
Inoltre dal 2006 è attivo il numero telefonico gratuito 1522 (attivo 24 ore su 24), il numero verde dei centri antiviolenza, che mettono in rete i vari servizi (Tribunali, Forze dell’ordine, aiuto psicologico…) ma che danno anche la possibilità alla donna di entrare in contatto con quelle che sono le sue difficoltà, a riconoscere che quello che subisce non è un episodio ma una situazione di violenza, che tale va chiamata e non giustificata. Denunciare, anche se c’è una percezione di incapacità, di lentezza del nostro sistema giuridico, delle Forze dell’ordine, di affrontare questi problemi.
 


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