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Il posto dell'anima

Pubblicato da: Categoria: COVER

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LUG
2016
In un avvolgente fiore scarlatto, un bacio, una carezza… per continuare a sperare,  sempre, nonostante tutto. Così "nel manifesto" del Festival della Valle d'Itria, che sembra unire la 42a edizione del grande evento alla storia di questi giorni. L'amore e la musica nelle opere, come nella vita, uniscono universalmente tutti, senza differenza alcuna
 
La Prima
14 luglio 2016, serata dal clima, ancora, mite. Dinanzi al Palazzo Ducale il redcarpet delle grandi occasioni, annuncia l’inizio del 42° Festival della Valle d’Itria. Gli elegantissimi spettatori convenuti per la prima varcano il portone che li condurrà ne “La grotta di Trofonio”.
Bellissima la scenografia di Dario Gessati, enormi libri aperti,mostrano pagine che verranno sfogliate durante il procedere dell’opera.
Il Festival Internazionale rende omaggio a Giovanni Paisiello, tarantino, figlio di questa terra, che musicò il libretto di Giuseppe Palomba da G.B. Casti.
Il maestro Giuseppe Grazioli dirige l’Orchestra Internazionale d’Italia ed è un attimo: i libri sulla scena invitano alla lettura dell’opera e tutti i presenti vengono coinvolti nella storia, partecipano alle vicende amorose dei personaggi: otto i cantanti/attori che con grande bravura rendono chiara, viva e interessante la storia.
Al centro la grotta dalla quale esce il grande, barbuto Trofonio: semideo, eroe, grazie  alla sua ascendenza per metà divina. Lui, mago e filosofo, invita ad entrare nella grotta, nella quale respirando un vapore magico, indole ed umore saranno trasformati. Così all’uscita i personaggi appaiono nuovi, con caratteristiche differenti, con prospettive rinnovate.
Nelle diciotto scene del primo atto e nelle ventitre del secondo si snoda tutta la vicenda.  L’ingresso dei personaggi in grotta, inevitabilmente mi fa pensare a come sarebbe bello se la finzione divenisse realtà…. tanti i personaggi che mi piacerebbe veder entrare, nella trepida attesa della loro uscita: dall’uomo politico, al personaggio televisivo, ma soprattutto qualche rappresentante della così detta “gente comune”.
Nonostante l’opera sia stata scritta nel settecento, risulta al quanto attuale l’affermazione di Trofonio: “Oggi dì, nel mondo bello,/chi più crede aver cervello, /quello appunto è che non l’ha.”
Non è mancato qualche sorriso da parte del pubblico, confermando la natura comica dell’opera.
Gli applausi “a scena aperta” hanno confermato anche quest’anno la bravura dei cantanti, dell’orchestra, magistralmente diretta e la scelta dell’opera da portare in scena per la prima della 42^ edizione del Festival della Valle D’Itria. Un plauso al Presidente prof. Franco Punzi, al direttore artistico Alberto Triola, al direttore musicale Fabio Luisi.
La tradizione
E’ passato solo un giorno dalla prima del Festival, ma sembra di essere in un’altra stagione!
Questa sera nell’atrio del Palazzo Ducale per assistere al Concerto del Belcanto, nessuna signora indossa vestiti scollati, anzi fanno la loro comparsa giacche con cappuccio, scialli di lana e in tribuna una coperta di pile copre ben quattro spettatori.
Il Festival non ammette cambi di stagione nell’armadio, spesso nel programma rientrano anche queste “escursioni termiche”, che da un giorno all’altro fanno scendere la temperatura di ben quindici gradi.
Ma il freddo non ferma la passione per la musica e così il maestro Sesto Quatrini, in giacca bianca, per ricordare che, nonostante tutto, siamo in estate, da’ inizio al concerto con l’“Elena da Feltre” di Mercadante. Mi sono ritrovata con gli occhi chiusi, ascoltando le note che si libravano nell’aria, un’esecuzione bellissima, una musica degna di questo nome.
L’entrata in scena del mezzosoprano Aya Wakizono è accompagnata dal mormorio del pubblico: bellissima, elegantissima nel suo lungo vestito corallo, ma completamente a spalle scoperte!!!
La sua vocesi propaga, e il vento sembra aiutarla nell’impresa.
Si passa a Donizetti, poi a Mozart e a Pacini. Sul palco si susseguono il tenore Vincent Romero e il baritono Massimo Cavalletti, grandi professionisti, interpreti, oltre che cantanti.
Ed è questa una delle caratteristiche di Ruggero Raimondi, che questa sera riceve il premio Rodolfo Celletti. Un lungo applauso accompagna la consegna della targa, una presenza scenica e una voce che arriva registrata confermano la bravura di questo “artista-creatore”, che ancor oggi non sa se essere stato basso o baritono, ma sicuramente sa di essere stato un grande interprete della musica e di aver meritato questo prestigioso premio.
L’orchestra torna a suonare, tra baveri delle giacche alzati e mani riscaldate di tanto in tanto con il fiato.
Con“Il Barbiere di Siviglia” di Rossini il Concerto termina, tanti gli applausi, tanti i “Bravo” e “Brava” che il pubblico ha gridato al termine di ogni esecuzione, ma ora nessuno riesce a chiedere il bis, fa troppo freddo e qualcuno sottovoce spera che un bar vicino prepari una cioccolata calda o il ristorante più prossimo un brodo di cappone come fosse la vigilia di Natale.
L'avanguardia
La cosa che ho sempre apprezzato, tra le tante, del Festival della Valle d’Itria è che, contrariamente a quanto spesso si dice, spazia in epoche e “stili musicali” diversi e variegati, ognuno può trovare quello che cerca, ognuno può scoprire quello che più gli piace, ognuno può imparare, sempre.
La sezione che porta il titolo di “Novecento e oltre” , quest’anno va molto, molto oltre e parla di “Avanguardie”. Nel chiostro di San Domenico, che conserva la scenografia dei “Baccanali”, opera sospesa per la pioggia e che attende di andare in scena,  il maestro Giovanni Pompeo dirige l’orchestra, ma da buon maestro spiega e contestualizza i diversi pezzi. Stasera è la volta di Varese, Messiaen, Boulez, Berio e Henze.  E’ il periodo in cui si fa musica senza tener conto del gusto del pubblico, in cui le note e i suoni sono dilatati, in cui gli accordi risultano essere anche urticanti.
Parliamo di musica dei nostri giorni, Henze è morto nel 2012. Ben altra musica se paragonata a quella che fino ad oggi il Festival ha offerto. Ascolto i brani che l’Ensemble dell’Orchestra Internazionale d’Italia esegue, evidenziando la bravura di ciascun maestro e guardo il direttore, si muove in modo differente, originale, come se questo tipo dimusica richiedesse movimenti diversi.
Ascolto, guardo e penso che è come trovarsi dinanzi ad un quadro di Picasso, indubbiamente un’opera d’arte, un capolavoro, ma di non facile comprensione, decisamente diversa dai  “nostri” canoni di bellezza.
Apprezzo molto lo sforzo del direttore d’orchestra di rendere edotto il pubblico sui brani che ascolta, ma soprattutto sul periodo storico e su tutte le “stranezze” che musicalmente parlando si esplicitano nei brani in programma questa sera.
“Dérive 1” di Boulez punta sul timbro, c’è il suono simultaneo di tutti gli strumenti, sei note, sei suoni e sei strumentisti. Boulez che si era caratterizzato per le sue scelte “controcorrente”, gli ultimi anni della sua vita ha diretto  opere “classiche” e famose.
Sessanta minuti di musica d’avanguardia e un interrogativo finale: “Cosa  rimarrà della musica degli ultimi cinquant’anni?”.  L’unica risposta possibile mi sembra essere quella di manzoniana memoria “Ai posteri l’ardua sentenza”.
Fuori orario
La domenica del Festival conduce gli amanti della buona musica nella Chiesa di Sant’ Antonio ai Cappuccini, per l’ora sesta. Un appuntamento “Fuori orario…” che si rinnova da diversi anni e come diceva il presidente Franco Punzi “è un’idea riuscita vista la partecipazione copiosa della gente”.
La perfetta organizzazione ha previsto un servizio navetta alle 11.45 dinanzi al Palazzo Ducale e alle 12.00 a Chiesa gremita ha avuto inizio il concerto.
Violini, viola, violoncello e tiorbe. Due voci meravigliose: il soprano Paola Leoci e il contralto Benedetta Mazzucato per tre diverse “Salve Regina”: Scarlatti, Porpora e Schubert.
In questo ambiente il silenzio che caratterizza l’ascolto è ancor più tangibile, e si fa preghiera con  il canto e la musica.
Nonostante l’ultima nota sia stata suonata alle 13.00 di una domenica martinese, non è mancata la richiesta del bis, troppo bello per terminare, troppo coinvolgente per rinunciare a qualche minuto ancora di delizia per le orecchie, ma soprattutto di note e parole che parlano al cuore, come  sussurra chi mi è accanto. Un lungo applauso accompagna l’ingresso in sacrestia degli artisti.
Mi trattengo ancora un po’, la gente esce, si segna, riproducendo la croce, ma prima di andar via, guarda incantata l’altare ligneo e i meravigliosi dipinti. Per alcuni è la prima volta in questo luogo, ma sanno che c’è “una grotta”, che il nome della Valle viene dall’immagine della Madonna qui ritrovata, sanno, ma vogliono sapere ancora di più. Il Festival e i suoi organizzatori hanno anche questo merito di far scoprire ancor più a tutti i convenuti le bellezze e la storia dei nostri luoghi, del nostro territorio, della nostra Martina.
E’ ora anche per noi di andar via, uno dei maestri, con uno spiccato accento straniero saluta, mi complimento con lui, per l’esecuzione e per la scelta musicale, sorride e dice: ”Sì, vecchia musica”, già vecchia musica in una vecchia chiesa, ma l’arte e la fede non hanno età, così come non hanno tempo… fuori orario.
 


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