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Diva in divenire

Pubblicato da: Categoria: COVER

10
NOV
2016

L’artista che è e che sarà. Un cassetto pieno di sogni per la miglior attrice italiana di teatro under 35 in circolazione, tra progetti e una speranza: svegliarsi ogni giorno e dire “vado a lavoro”

 

Chi è Sara Putignano?
Una bimba che non vuole smettere di giocare, una ragazza che cerca di crescere e di non avere paura della vita, una donna che si affaccia alla vita con un senso di vertigine.
Sei diplomata all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, ricordi il tuo primo giorno?
Ricordo perfettamente la scalata di felicità e incredulità mentre superavo le tre fasi previste per l'ammissione in accademia, i due “idonea” e l’ultimo “ammessa”.  Affrontai il provino in Accademia con grande determinazione e impegno ma la guardavo da lontano, come un luogo dove riesce ad entrare qualcun’altro, qualcuno che non ero io e invece fortunatamente non ho avuto ragione. L’ultima fase consisteva in una settimana di lezioni in accademia, eravamo rimasti in trenta e sapevamo che dopo quella settimana solo quindici sarebbero entrati: si iniziava a toccare con mano quel luogo cosi ambìto, ma con la paura che quel sogno si potesse trasformare in illusione. E dopo l’apice della felicità nel leggere la parola “ammessa” ricordo che il primo giorno, arrivata davanti all’ingresso dell'accademia, feci un bel respiro e capii che stava per iniziare quel sogno diventato realtà.
…E l’ultimo?
L’ultimo si confonde nei ricordi perché c'è sempre stata la sensazione di non considerare “finito” un percorso. Infatti con metà della mia classe abbiamo continuato a vederci per lavorare insieme fino a mettere su una compagnia la “Bluteatro” e ancora oggi nonostante gli impegni personali cerchiamo di proseguire il nostro percorso. Abbiamo trovato il modo di “non terminare” l’Accademia e di rendere prezioso quello che ci aveva donato: un gruppo con un linguaggio artistico e un bel pezzo di vita in comune.
C’è un docente che ricordi con particolare affetto?
Mario Ferrero, insegnante storico e collante di tante generazioni di attori e Massimiliano Farau per la sua sensibilità e il suo modo di vedere e vivere il teatro.
Quanto è stata importante questa formazione?
Più che importante, la definirei determinante. Senza l’Accademia, dove ci si allenava dieci, dodici ore al giorno, non avrei capito che il teatro è un mestiere che ha bisogno di allenamento costante, di una grande forza fisica e mentale, di una volontà di superarsi ogni giorno e chiedersi ogni giorno che senso ha quello che si sta facendo e, soprattutto, come farlo al meglio. L’Accademia è stata il miglior nutrimento che potessi sperare di avere, e senza il quale io non sarei l’attrice di oggi.
Direi…la miglior attrice di oggi! Qualche giorno fa hai ricevuto il  Premio Virginia Reiter  come migliore attrice italiana Under 35. La giuria era composta da alcuni tra i più importanti critici e studiosi di teatro, penso a Sergio Zavoli, da Rodolfo Di Giammarco (la Repubblica), Gianfranco Capitta (il Manifesto), Maria Grazia Gregori (l'Unità) ed Ennio Chiodi. Un premio davvero importante e prestigioso. Cosa provi in questo momento? 
Un premio è un grande segno di incoraggiamento oltre che un riconoscimento del lavoro fatto e che sto portando avanti; tutto ciò non può che rendermi felice e donarmi maggiore forza e determinazione. Sono ancora emozionata perché a questo premio ne è seguito subito un altro, il Premio “Eleonora Duse” sempre come migliore attrice italiana under 35. Insomma, tante felicità e tutte insieme: un gran bel mese!
Hai avuto numerose esperienze con registi importanti; riusciresti a dare una definizione di regia?
La regia credo sia uno sguardo che un individuo, il regista, in base alla sua personalità, sensibilità, formazione, crea e sviluppa nella messa in scena teatrale di uno spettacolo o nella creazione di un film. Penso che la mia più grande fortuna sia stata quella di aver conosciuto registi molto diversi fra loro, la bellezza che risiede nella diversità degli incontri artistici mi ha concesso e mi concede la possibilità di sviluppare la mia personalità attoriale in tempi e modi diversi.
Hai fatto parte del centro di ricerca teatrale “Santa Cristina” diretto da Luca Ronconi, forse l’ultimo grande regista della scena italiana, fautore di alcuni spettacoli teatrali che rimarranno nella storia. La sua morte nel 2015 ha lasciato tanti suoi allievi in un grande sconforto. Tu come hai vissuto questa scomparsa?
Quando ho saputo della sua morte, nonostante l’età e la dialisi, il suo modo di affrontare il lavoro emanava un’energia sovrumana, una passione che lo rendeva ai miei occhi una figura immortale, direi bionica, che potesse eludere l’idea della morte. Realizzare la sua scomparsa non è stato facile, era diventato un grande e costante punto di riferimento nel mio percorso formativo, ho frequentato il centro di ricerca teatrale “Santa Cristina” ogni estate per cinque anni. Quello che lui mi lascia come eredità resta ed è vivo e si trasforma, si va avanti e la storia si crea continuamente. A me non resta che essergli per sempre grata e rendere onore al suo lavoro rendendo onore al mio.
Sempre con la regia di Ronconi nel 2012 hai fatto parte del meraviglioso In cerca d'autore - Studio sui sei personaggi di Luigi Pirandello, a cui ho avuto la fortuna di assistere come spettatore: un’esperienza a dir poco straordinaria. Cosa ricordi e cosa ha lasciato in te questo “studio”? 
Lo studio sui sei personaggi è stato il primo approccio al suo lavoro, caratterizzato da una capacità di lettura dei testi sempre spiazzante e sorprendente in un gioco denso di ironia: è come se avesse creato una parte nuova del mio cervello capace di vedere ciò che prima non pensavo esistesse. Questa esperienza, poi, mi lascia la capacità di vedere oltre il ricordo della fatica fisica, la paura di non dare sempre il massimo, una disciplina grandissima, la capacità di seguire le regole ma anche di trasgredirle e soprattutto mi lascia un personaggio straordinario creato insieme a lui, quello appunto de “la madre” dei sei personaggi che rivivrà a maggio al Piccolo Teatro di Milano.
Come vedi il panorama formativo teatrale italiano?
Mi sono resa conto prima di entrare in Accademia che la possibilità di formazione fuori dal contesto istituzionale era un panorama deprimente: scuole molte costose spesso con pessimi insegnanti, per la maggior parte create esclusivamente per diventare macchine mangia soldi. Mi facevano quasi credere che studiare recitazione poteva essere solo un privilegio per ricchi e che riuscire a trovare una valida alternativa di formazione era un’ impresa molto lunga e complessa.  Anche per questo con la mia compagnia cerchiamo di portare avanti progetti come l’ “Openday”, progetti di formazione e di orientamento agli studi teatrali per le giovani generazioni, progetti che vanno a colmare la mancanza di un’ istituzione in grado di fornire risposte concrete e organiche a una grande domanda di orientamento. 
Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole intraprendere questo percorso?
Il primo e concreto consiglio è di scegliere bene il percorso formativo che si vuole intraprendere perché siamo frutto delle scelte fatte. È importante non scambiare questo mestiere come un modo per attirare l’attenzione su di sé, ma occorre viverlo come l’occasione di illuminare il mondo rappresentandolo, considerarlo come vocazione e religione e chiedersi sempre se si è pronti e disposti a cambiare le cose per migliorarne la qualità. Se così non fosse ci uniremmo alla schiera di piccoli attori che provano a “campare”. Bisogna puntare in alto, sempre, non deprimersi nei momenti di crisi o vuoto, è necessario coltivare la curiosità, aprirsi alle occasioni che la vita può offrire e sperare che al proprio talento si accompagni una buona dose di fortuna.
Paolo Grassi sosteneva la visione di un teatro per tutti, come la metropolitana. Girando tanti teatri, venendo a contatto con tante produzioni e tanti pubblici, quale idea ti sei fatta del settore organizzativo e produttivo italiano?
Credo che sempre meno i teatri vengano guidati da gente capace di una visione artistica. Da quel poco che ho vissuto, ho potuto dedurre che il teatro si limita a divenire spesso orticello fatto di scambi e favori, che pregiudicano la qualità artistica dei progetti e degli investimenti. Nascono così spettacoli “brutti”, la gente dice “che noia il teatro!”  e si fa strada l’errore di credere che per attirare il pubblico a teatro ci vogliano necessariamente i “nomi”. Quando uno spettacolo è bello anche se realizzato con/da “sconosciuti”, la gente fa la fila, ma se manca lo sguardo e l’investimento, il bello rischia di non nascere.
Dopo tanto studio, un curriculum invidiabile, ritieni che nel settore teatrale italiano esista la meritocrazia?
Io ne sono un esempio, quindi direi proprio di sì. Questo non vuol dire che chi lavora in teatro è sempre chi se lo merita, secondo me l’errore spesso è politico, di investimento e di gestione delle risorse economiche. Le piccole realtà devono sottoporsi davvero a tanta fatica per nascere e soprattutto per crescere.
C’è uno spettacolo a cui hai assistito che ti è rimasto dentro e che definiresti “imperdibile”?
Ricordo con un senso incredibile di fascinazione  “Hedda Gabler” con la regia di T. Ostermeier ma credo che “imperdibile” diventi uno spettacolo giusto, visto al momento giusto, capace di sprigionare tutta la sua funzione catartica, di diventare necessario e quindi di restituire al teatro il suo scopo.
Ricordi il primo spettacolo a cui hai assistito e che ti ha convinto ad intraprendere questa strada? 
Nessuno spettacolo mi ha convinto a intraprendere questa strada. Spesso ho desiderato, questo sì, di essere al posto degli attori che vedevo in scena o al cinema ma la decisione è maturata piuttosto dall’aver assecondato un istinto, privo di progettualità ma di forte intensità.
Qual è un tuo pregio? 
La determinazione
Il difetto che… ti ha aiutata?
L’essere eccessivamente autocritica e la paura del giudizio.
Lo spettacolo che andrai a vedere domani? 
Spero uno spettacolo che non emuli il passato ma crei il nuovo.
Cosa vuoi fare da grande?
L’attrice. Svegliarmi ogni giorno e dire “vado a lavoro”. Sarei felice!
Con chi vorresti lavorare adesso in teatro?
Con registi e attori con cui condividere un’idea di teatro nel suo senso profondo, pieni di coraggio, di paure e idee, consapevoli del proprio mestiere e non millantatori, che sappiano di che parlano e quello che fanno.
Cinema o Televisione? Quale dei due “quadri” ti è più congeniale? Anche in questo caso, c’è un regista particolare con cui avresti piacere di collaborare?
Cinema o televisione l’importante è quello che c’è dentro. Il cinema essendomi più estraneo del teatro è come se lo guardassi sempre da lontano, un po’ con gli occhi con cui vedevo l’Accademia prima di entrarci. Non so chi può essere realmente Sara al cinema e quale attrice possa diventare. Mi piacerebbe, ecco, incontrare chi me lo faccia scoprire. Fortunate carriere nascono quasi sempre da fortunati incontri e io spero di avere il mio.
Sogni nel cassetto?
È pieno ma per ora non lo apro. Mi godo questo momento!
Avremo l’onore e il piacere di vederti in scena a Martina Franca? O nei dintorni?
Non c’è nulla in programma momentaneamente, ma spero capiti presto l’occasione di essere in scena nella mia splendida e amata città.
 


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