MENU

Tradizioni /Che fine ha fatto "Angiacche ‘a tignose"

Pubblicato da: Categoria: COVER

22
FEB
2017

Qual era il menu di Carnevale? Quali le maschere tradizionali? Tra confetti ricci, ravioli dolci e storie raccontate davanti al fuoco, ecco come si viveva nel passato il periodo che precede la Quaresima

Questa settimana lasciamo in pace gli aspiranti alla guida delle nostre città interessate al voto in primavera per dedicarci al Carnevale nelle sue espressioni tipiche del panorama tarantino. Già, la carnevalata: è proprio questa che devono evitare i nostri candidati sindaci, assessori e consiglieri comunali per diventare credibili e ricevere il voto spontaneo e meditato del cittadino elettore. Bando alla “carnevalata, quindi, ma anche alla “mascherata”. Le maschere, belle o brutte che siano, non servono proprio a nessuno tanto meno ai nostri aspiranti amministratori.
Pertanto, anche noi, dismessa la maschera alle ore 24 in punto di martedì 28 febbraio, ultimo giorno di Carnevale, ci cospargeremo da buoni cristiani il capo con le penitenziali Ceneri della Quaresima per riprendere la prossima volta il discorso organico alla ricerca di un sindaco per le nostre città.
Voltiamo, intanto, pagina e dedichiamoci al Carnevale dal punto di vista tradizionale ma anche come occasione di coinvolgimento sociale, all’insegna del sano divertimento per le nostre comunità.
Il Carnevale in terra ionica ha una storia bi-millenaria che si perde nella notte dei tempi. Se è vero, come è vero, che il Carnevale fece la sua prima apparizione al tempo degli Egizi è altrettanto vero che la stessa fu perpetuata dai Greci prima e dai Romani dopo. Per questo motivo il Carnevale del “Tarantino” potrebbe rifarsi a queste epoche storiche tanto che è noto che l’espressione Carnevale deriva dal latino “carnem levare” cioè eliminare la carne nel periodo della Quaresima, ma anche dal “carris navalis” che era una specie di grande carro carnevalesco moderno sul quale si issava l’immagine della Dea Iside.
Carnevale a Taranto ha voluto significare sempre da un lato festa dei nobili che organizzavano i loro festini nei sontuosi palazzi nobiliari del ‘700 e dell’ ‘800, dall’altro quello povero, ma più spontaneo del popolo.
Ed è proprio a questo che vogliamo rifarci perché martedì 28 alcune associazioni culturali riproporranno il Carnevale tarantino di una volta con la sfilata di Re Carnevale disteso agonizzante sul letto di morte per esser poi portato e bruciato tra balli e schiamazzi in Piazza Fontana.
Fino agli anni ’50 questo Carnevale vedeva la partecipazione di tutta Taranto perché fin dal primo pomeriggio di martedì di Carnevale facevano la spola da piazza Castello a piazza Fontana cavalieri mascherati e maschere a piedi.
Dai balconi si lanciavano i coriandoli ma non mancava chi, vedendo passare un cittadino in abiti civili, gli sporcava il bell’abito di gala con abbondante pioggia di farina.
Altra tradizione cancellata era quella della battaglia con confetti ricci che qualche volta lasciava il segno sul volto del malcapitato.
Erano due le maschere tradizionali tarantine, quella del Carnevale detta “‘u tate” e quella di una tale “Angiacche ‘a tignose”, una donna che girava mostrando tra il braccio sinistro e il pettoruto seno un vaso da notte ricordando che lei, Francesca (per i tarantini Angiacche) nella realtà viveva andando a svuotare ogni giorno feci e orine dei nobili nelle acque del Mar Piccolo.
Re Carnevale a Taranto aveva nella tradizione la moglie, Quaremma, che dato il suo stato di vedovanza, si disperava all’idea di dover restare sola.
Il Carnevale tarantino aveva gran desiderio di abbuffarsi prima di lasciare la terra mettendo insieme pesce, carne, pasta fresca, salumi, verdure, tutto innaffiato con il buon vino.
Tale tradizione è rimasta nella gastronomia odierna tarantina dove il Giovedì Grasso e il Martedì di Carnevale non possono mancare i classici calzoni (oggi diventati ravioli) di ricotta unita a uova battute, zucchero e un pizzico di sale.
I nostri nonni chiudevano tale impasto servendosi della bocca del bicchiere e aggiungevano ai calzoni le orecchiette, ma una era più grossa delle altre e chi se la ritrovava nel piatto doveva poi lavare piatti e stoviglie.
Il sugo era a base di maiale, quello saporito e il secondo piatto prevedeva un mix di polpette, braciole, bistecche e salsiccia di maiale.
I dolci erano e restano gli ottimi cannuoli di ricotta, le chiacchiere, i confetti ricci di media grandezza e i confettini multicolori con all’interno un po’ di cannella.
Alla mezzanotte del martedì di Carnevale nei palazzi nobiliari e in piazza Fontana, al rintocco del campanone di San Cataldo, calavano dal volto le maschere, le donne lavavano con acqua bollente le stoviglie perché non restasse traccia di grasso e dal palazzo Arcivescovile il Vescovo scendeva con il Capitolo Metropolitano per bruciare i ramoscelli di ulivo della Pasqua precedente per poi cospargersi il capo con le ceneri.
Chiudiamo l’allegra rubrica di questa settimana con un accenno ai giovedì che precedevano il Carnevale. C’era il giovedì dei monaci e quello successivo dei preti laddove si scambiavano l’invito a pranzo. C’era il giovedì dei cornuti, cioè delle persone sposate, ma c’era anche il giovedì dei pazzi dedicato ai giovani che sprigionavano un pazzesco brio per far festa a modo loro.
Il primo giovedì di Quaresima era invece dedicato alla “cattiva” cioè alla vedova. In tal modo il Carnevale non era più limitato agli ultimi tre giorni ma veniva vissuto in tutta la sua dimensione, breve o corta che fosse il Carnevale.
Buon Carnevale a tutti!
 



Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor