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IL MITO/Quando Taranto sognava

Pubblicato da: Categoria: COVER

27
APR
2017

I suoi goal non sono solo un fatto calcistico, non rimandano solo a un campione scomparso prematuramente ma sono l’emblema di un’epoca di speranza, di riscatto sociale, di ambizioni che contano. Questa è la città dei miracoli e in questi giorni Erasmo Iacovone avrebbe compiuto 65 anni

Ogni Tarantino, anche chi per questioni anagrafiche non lo ha potuto ammirare, conosce profondamente colui che è stato il vero Re di Taranto, quel campione umile che, al solo nominarlo, vela gli occhi di tristezza e malinconia.
E’ come se il ricordo ti rimandasse a una persona cara, ad una ferita mai rimarginata, ad un dolore forte, ad una sofferenza quasi collettiva che non sai nemmeno tu perché provi. Ma la provi e non te lo riesci a nascondere nemmeno se ti incaponisci.
E allora qualche domanda te la fai e ti chiedi come mai proprio Iaco, cos’è questo magone che batte nel petto di ogni tarantino ogni volta che si nomina Erasmo.
Si piange il campione, si piange la serie A mancata di un soffio, si piange la tragedia, si piange il ragazzo pulito e riservato che negli anni settanta aveva saputo entrare nel cuore di Taranto?
La risposta è sì anche se ciascuna di queste componenti è solo una parte di qualcosa di più complesso; quello per Iacovone è un amore sincero di un popolo che non ha saputo dimenticare ma non basta, non è tutto.
Iacovone rappresenta un’epoca in cui Taranto aveva finalmente la netta sensazione di poter aspirare a qualcosa, rappresenta il riscatto di un popolo che non aveva mai avuto nulla e che adesso si ritrovava in pieno boom economico, orgogliosa del proprio acciaio, fiera del proprio benessere, rispettata perché strategica sotto molti punti di vista. Sognava i piani alti ed era lì a contenderli.
I goal di Iacovone non sono solo un fatto calcistico, non rimandano solo ad un campione scomparso prematuramente, non costituiscono solo il sogno della serie A ciccata di un soffio ma sono l’emblema di un’epoca di speranza, di riscatto sociale, di ambizioni che contano.
Taranto era una città giovane, felice, sicura del proprio futuro, politicamente rappresentata ed ascoltata a livello nazionale. Era la città di mio padre, di tuo padre, di noi ragazzini degli anni settanta che vivevamo senza desideri perché erano soddisfatti un minuto dopo.
Era la società della Befana dell’Italsider che ti portava il regalo, dei negozi pieni, dei ristoranti affollati, delle seconde o terze case al mare, delle ferie estive che duravano tre mesi senza alcun problema sul bilancio familiare cui si stava attenti il giusto, senza grossi assilli. Era la città del benessere diffuso che non faceva grossissime distinzioni tra l’operaio ed il colletto bianco perché la sperequazione sociale era quasi impercettibile.
Era la città che aveva risorse più che sufficienti per potersi permettere di mandare i propri ragazzi ovunque a fare buone scuole e, grazie a Dio, a volte anche buone carriere.
Poi lo schianto, un po' come accadde a Iacovone in quel tragico 6 febbraio del 78, poi i sogni infranti come quello della serie A, poi il degrado sociale e l’inettitudine della classe dirigente cittadina in perfetta analogia con la propria squadra di calcio.  
Adesso, come se la città volesse giocare tragicamente a fare del calcio una perfetta metafora del proprio destino, il sistema Taranto, inteso come tessuto sociale e politico, è quasi con un piede in serie D, dopo anni tribolati passati tra fallimenti, campi polverosi, dilettanti, ripescaggi in Lega Pro, isteria collettiva, violenze di qualche facinoroso e dirigenti chiacchieroni senza soldi e senza idee.
Con buona pace di chi intravede il fuoriclasse dei sogni nei candidati alle amministrative o uomini illuminati alla Giovanni Fico (colui che comprò Iacovone per mezzo miliardo di lire) nei Parlamentari tarantini, Taranto è una piazza diventata capace di lottare per la sopravvivenza nelle serie minori.
Esprimevamo gente come Iacovone, Fico. Selvaggi,  mentre oggi ci ritroviamo con Bongiovanni, Zelatore, Altobello e Stendardo.
E allora meglio vivere di ricordi.
 



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