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Tremendamente di moda

Pubblicato da: Categoria: GLAMOUR

17
APR
2015
L’abito fa ben più che il monaco e anche chi si veste alla cieca e a tentoni in qualche modo incappa nelle maglie del fashion system
Lo scorso week end ho partecipato a una bellissima lezione sulla moda italiana degli anni ’80. Ho visto le famose “cose che voi umani non potreste immaginarvi”, ma che magari avete portato (confessatelo!) o ricordate indosso a vostra madre o sorella maggiore. I vestiti esagerati, luccicanti, voluminosi di Krystle e di Alexis di Dinasty, i guanti tagliati in pizzo di Madonna, con le croci al collo e i giri di braccialetti neri, i micro giubbotti jeans di Sabrina Salerno su reggiseni ancora più micro, i fiocchi in testa e gli scaldamuscoli, i costumi scosciati fin sotto la gabbia toracica e gli orologi Swatch. E ancora, ho ripercorso gli anni durante cui le modelle sono diventate icone contemporanee e gli stilisti dettavano legge. In foto che posso lecitamente definire d’epoca, ho viso ritratti un esordiente Stefano Gabbana molto meno glamour di come è adesso e con un impensabile casco di capelli, Sir Karl Lagerfeld – udite, udite – senza guanti né occhiali che S-O-R-R-I-D-E, un Valentino Garavani che ancora parlava italiano, e poi Enrico Coveri, Luciano Soprani, Franco Moschino, Gianni Versace e su tutti lui, un giovane e inarrestabile Giorgio Armani, in una fresca e dinamica Milano, nuova capitale della moda mondiale. E poi le giornaliste di moda a cui sogno di  somigliare, Isa Vercelloni, Anna Piaggi e Natalia Aspesi su tutte, a conferma, per chi ancora dubita, che la moda è qualcosa di interessante su cui scrivere. E che ci vuole stoffa per farlo, e non solo quella dei vestiti. Gli anni ’80 erano un periodo, per dirla con le parole di Re Giorgio (Armani), durante cui, “più facevi e più eri”: giusto o sbagliato non voglio dire, ma è grazie a quegli anni di consumismo vertiginoso, se il fashion è diventato democratico e alla portata di tutti, rompendo gli schemi del ‘buon gusto’ e i codici che regolavano cosa era lecito indossare, da chi e per quale occasione. Ringraziamo gli stilisti dunque, se possiamo andare in giro conciate come ci pare. Per questo sorrido pensando a chi critica noi ‘modaiole’ – io mai quanto vorrei per una mera questione di budget – e si sente superiore, tanto da puntare il dito. Chi si prende così sul serio da non curarsi di ciò che si mette addosso, che pensa di non avere niente a che fare con le tendenze del momento e che è convinta che ciò che gli stilisti prima, i direttori creativi oggi decidono di lanciare, sia ininfluente su di loro. Non le sfiori, non le riguardi, non le interessi. Fin qui nessun problema, non fosse che, più o meno velatamente, diano delle povere stupide a noialtre. In realtà, perfino il colore dell’ultimo maglioncino in una cesta delle offerte – così come spiegò mirabilmente la Miranda de “Il diavolo veste Prada” – è stato deciso ai piani alti del fashion system. E l’unica differenze è che quelle “a me la moda non interessa” se lo infilano qualche tempo dopo. E più di tutto, quello che non sanno, è che la moda ha incasellato anche loro e ne ha definiti stile e look. Le anti fashion addict sono le normcore, che a NY sono già una tendenza. E dal 2013, un po’ come il maglioncino ‘indipendente’ di cui sopra. Insomma, sappiate che anche non essere alla moda, è tremendamente di moda.  
 


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