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Un po´ meno Tatangelo, un po´ più noi stesse

Pubblicato da: Categoria: GLAMOUR

9
OTT
2015
Se non altro, la campagna pubblicitaria della Lilt (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) per l’Ottobre Rosa, mese della prevenzione per il tumore al seno, ha fatto parlare di sé. Ma siamo sicuri che fosse la testimonial giusta?
 
Clamore, proteste, raccolta firme per il ritiro della campagna pubblicitaria, giudicata fuori luogo e molto distante dal sentire delle donne che con quella malattia combattono o hanno combattuto, e ahimè anche contro la testimonial, Anna Tatangelo. Una che non sai se sia più difficile spiegarti l’età che dichiara – pare siano 28, dal trucco-parrucco-look almeno il doppio – o il come riesca a vendere dischi e soprattutto a chi. Ora, devo dire che quando ho visto la foto incriminata anche io, lì per lì, sono rimasta un po’ interdetta: addominale scolpito, un accenno di belly slot (il solco verticale sulla pancia, ndr), occhio da cerbiatta, seno ‘florido’ (dice la Tatangelo, dimenticando di aggiungere ‘da silicone’), capello fluente e così via col solito menù rosa, insomma ben poco che mi facesse pensare né a una sembianza di donna naturalmente sana, né al desiderio di curarmi e proteggermi per rivedermi in quell’immagine di donna. Ho però una notizia da dare, impopolare e scomoda: il marketing parte dal target. Voglio dire che seppure io non mi rispecchio in quell’immagine di donna, tu che leggi altrettanto, così come molte, moltissime donne che hanno alzato la propria voce contro, ce ne sono almeno altrettante sulle quali la campagna di prevenzione fa presa, o almeno ne è giudicata capace. Siamo pur sempre il Paese dove per un’intera estate il lato b di Belen su Instagram non solo ha fatto milioni di cuoricini di plauso degli uomini, ma ha fatto ampi proseliti tra le donne – per lo più giovani ragazze – che hanno postato migliaia e migliaia di foto, che oscillavano tra l’emulazione, il desiderio e la frustrazione di non riuscire ad averlo uguale (vi risparmio il relativo deprimente #). Siamo pur sempre il Paese dove le pubblicità di qualsiasi cosa – dal silicone per il bagno al peperoncino, dalla carrozzeria sotto casa all’antiruggine (“Brava Giovanna, brava….”  vi dice niente?) – hanno bisogno di immagini allusive e ammiccanti di donne, servite in una stomachevole salsa ‘doppio senso’. Il Paese dove perfino sui quaderni di scuola le bambine sono ritratte come adulte in miniatura, fiocchi, boccoli e labbra lucide e dove una buona parte di mamme vip, ma non solo, si immortalano con le figlie in pose esplicite per farsi dire quanto ancora siano sexy insieme alle solite banalità tipo chi è la figlia, chi la mamma? E naturalmente, siete sorelle? Non sto dicendo che forse, in fondo, ci meritiamo perfino la ‘sessualizzazione’ di una campagna di prevenzione del cancro al seno, perché è ovvio che per sensibilizzare e scuotere su un tema così intimo e delicato ci sarebbero voluti un’altra testimonial e un altro messaggio, ma che forse dovremmo impegnarci a essere ogni giorno un po’ meno “alla Tatangelo” (senza nessun giudizio per la ‘povera’ Anna). Che non vuol dire né ripiegare sulla sciatteria, né mortificare la nostra bellezza, naturale o artificiale per me fa lo stesso, né rinunciare a essere profondamente femminili, ma smettere di guardarci, giudicarci e presentarci al mondo cercando di corrispondere all’immagine stereotipata che ci hanno, o vorrebbero, cucirci addosso. Un mix di magrezza, forme abbondanti ma solo dove serve, avvenenza, disponibilità verso il maschio e docilità (non mi è sfuggito il particolare della fede al dito della Tatangelo). Amiamo, proteggiamo e rivendichiamo noi stesse e la nostra unicità, non solo davanti a una locandina e non solo in ottobre.
 


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