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IL BIANCO E IL NERO/ SCACCHI E "PROBLEM SOLVING" SONO UN BINOMIO INSCINDIBILE?

Pubblicato da: Categoria: SCACCHI

9
FEB
2017

“Nei miei 23 anni d'esperienza con gli Scacchi ho scoperto che gli allievi che imparano a scuola questo gioco riescono meglio nei loro studi. Gli Scacchi aiutano i bambini a migliorare in matematica, fisica e nel compimento delle loro ricerche. Essi aiutano anche i giovani a sviluppare il buon senso e la concentrazione, a pianificare la loro vita e a seguire le leggi, dando altresì loro confidenza in altre aree di abilità per tutta la vita.” (Orrin Hudson)

Navigando sui siti che trattano di Matematica a livello scolastico, mi sono imbattuta nel pensiero di Alfio Grasso che, da amante del Nobil Gioco, mi ha molto colpita. Egli afferma che, sicuramente l’introduzione degli Scacchi nelle scuole sia fondamentale per sviluppare negli studenti l’acquisizione delle capacità di “problem solving” ma, prima di arrivare al loro inserimento nella normale programmazione scolastica, sarebbe necessario strutturare i programmi di matematica in modo da abituare i giovani a scoprire strategie risolutive. Alfio Grasso ritiene che i libri di testo siano aridi e poco coinvolgenti.
Effettivamente, ripensando alla mia esperienza da liceale ed universitaria vissuta studiando materie scientifiche, non ricordo un particolare orientamento della programmazione al “problem solving”. Senz’altro lo studio della matematica, della fisica ed ancor più della chimica rendono necessario lo sviluppo di una “forma mentis” idonea alla scoperta di schemi risolutivi dei problemi di natura didattica e pratica.
Ritengo fermamente, però, che molto dipenda anche dal metodo di studio che si adopera: c’è chi interiorizza i concetti, servendosi di molteplici esempi e formulandone alcuni che dimostrino l’elevato livello di comprensione di concetti matematici, fisici e chimici; c’è chi invece tende a memorizzare teoremi, leggi, reazioni ecc… senza sviscerare a fondo gli argomenti e chi, a volte, si pone troppe domande al punto da perdere di vista la realtà e rendere complicati fenomeni che sono molto semplici. Anche nelle scienze “…in medio stat virtus…”!
Lo studio del Nobil Gioco e la soluzione di posizioni è molto importante come ausilio allo sviluppo della capacità di scoprire strategie risolutive. Per essere grandi scacchisti non occorre avere un quoziente d’intelligenza superiore alla norma, basta essere dotati di acume pratico. Spesso, infatti, gli intellettuali sono talmente rapiti dai propri studi da essere troppo stanchi per impegnarsi negli Scacchi. Senza dubbio l’aver studiato può dotare il giocatore di una maggiore capacità di mantenere elevati livelli di concentrazione per tempi lunghi, ma ciò si può raggiungere anche con l’allenamento, come in uno sport qualsiasi.
L’approccio all’apprendimento ed alla pratica del Nobil Gioco è il medesimo che si ha nello studio: si può procedere solo mnemonicamente, memorizzando decine e decine di posizioni, oppure si può comprendere a cosa sia finalizzata una determinata sequenza di mosse. Tutto ciò porta a due situazioni differenti. Nel primo caso se si dimentica una manovra non si sa più come procedere e la partita si perde rovinosamente; nel secondo non si deve ricordare nulla, si avanza per tappe logiche e qualsiasi sorpresa riservi l’avversario può essere fronteggiata grazie, appunto, alle capacità di “problem solving” acquisite.
Sulla scorta della mia esperienza, dunque, ritengo che lo studio non possa essere scisso da quella capacità di tradurre in termini concreti ciò che si apprende. Questa dote a volte ci è donata da Madre Natura, altre volte si acquisisce con lo studio, l’abnegazione e notevoli sforzi. Un giocatore dilettante di Scacchi non avrà la stessa propensione a scoprire strategie risolutive che hanno i grandi scacchisti o coloro che hanno raggiunto i livelli competitivi delle prime categorie nazionali; così come lo studente non raggiungerà mai livelli elevati di comprensione e applicazione delle nozioni apprese se non si appropria dei concetti inquadrandoli nella realtà circostante.
Le equazioni matematiche, così come il Teorema di Bernoulli sulla fluidodinamica, per esempio, o le reazioni tra un acido e una base possono restare dei concetti totalmente astratti nella mente di alcuni o trovare una applicazione pratica nella mente di altri. La Caro-Kann, un’apertura scacchistica, può essere una mera sequenza di mosse e di varianti o una strategia per raggiungere una determinata posizione. Tutto dipende dall’approccio che lo studente o lo scacchista hanno nell’affrontare il problema.
Se si vuole, dunque, far raggiungere nelle scuole attuali un buon livello di preparazione e una formazione che predisponga alla soluzione di problemi reali, bisognerebbe abbinare necessariamente uno studio intelligente degli Scacchi, cioè bisognerebbe suggerire un approccio per la soluzione di posizioni. In tal modo si faciliterebbe anche l’apprendimento, giacché l’attuale programmazione scolastica è talmente vasta che potrebbe essere un problema per lo studente, privo di idonei schemi logici di apprendimento, approfondire i concetti.   
Molti passi avanti in Italia si stanno compiendo in tale direzione, sia formando nuovi istruttori FSI sia introducendo lo studio del Nobil Gioco nei progetti formativi. La strada è ancora lunga, ma auspico che in breve tempo gli Scacchi divengano finalmente una materia d’insegnamento e di apprendimento.

 



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