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Taranto-Bermuda/ Le cozze di Hemingway

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

26
GIU
2015

La storia dell’executive chef del George’s Island Bermuda Club, uno dei posti più esclusivi del mondo. Partito da Lama, arrivato lì dopo una lunga gavetta. Favola? No, talento, coltivato mixando prodotti pugliesi a quelli del Nord Atlantico

 

Estate, tempo di vacanze e di progetti che possano esulare dalla routine del tipo “mi devo accontentare”. 

Proviamo per un istante a chiudere gli occhi e sognare le Bermuda. 

Non vedo davanti a me soltanto queste isole del Nord Atlantico, che si estendono per 30 chilometri con le loro insenature e i circa trecento isolotti corallini, con le spiagge dal colore rosa e dalla sabbia scintillante: un vero paradiso per chi vuol vivere una lunga pausa lontano dalla città. 

No, questa volta vedo anche altro e altri.

Forse non ci crederete ma lì, nelle Bermuda, vive un tarantino doc, il ‘quasi’ 37enne (li compirà a settembre) Marco Marinelli, impegnato come “executive chef” presso il George’s Island Bermuda Club, ubicato nella città di  St. George, il più antico insediamento - stabilmente abitato - di origine inglese nel nuovo mondo. Pittoreschi cottage, vicoli, stradine e un’enorme ricchezza di architettura storica attirano visitatori da tutto il mondo. La città e le sue fortificazioni circostanti sono stati recentemente censiti come sito Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco. Punteggiata di case del XVII secolo, architetture coloniali, ristoranti e negozi, Town of St. George è uno dei luoghi più frequentati di Bermuda.

Qualcuno si domanderà perché mai, e come mai, Marco sia capitato in un posto così incantevole ed esclusivo, ma anche tanto distante dall’Italia.

Non ci resta che fare una rapida ed essenziale conoscenza del nostro concittadino, la cui famiglia di origine risiede a Lama, a una manciata di chilometri da Taranto.

E’ lo stesso Marco a raccontarci con un senso di humour, che lo contraddistingue, come fu accettato in famiglia quando venne al mondo nel settembre del 1979. I genitori pensavano che dovesse nascere una bimba, le avevano anche assegnato il nome di Alessia, ma poi venne alla luce Marco, un vero prodigio e orgoglio della famiglia Marinelli. Il suo nome lo scelse il fratello Michele, soltanto tre anni più grande di lui, il resto lo fece il destino e l’inevitabile e così preziosa presenza nella sua vita della nonna materna Grazia.

Il padre Francesco, bancario in pensione, parla del figlio in termini più che lusinghieri e ritiene veramente unica l’opportunità che oggi lo vede impegnato a così alto livello nell’arte culinaria di oltre Atlantico.

Ma ritorniamo a nonna Grazia. Cosa avrà fatto di particolare al suo nipote Francesco? Lo osservò da piccolo e dalla sua voce di appena 4 anni si sentì dire: “nonna, da grande voglio fare il cuoco”, espressione che nasconde un’altra verità, la bravura di nonna Grazia ai fornelli. Il tempo corre veloce ma Marco ricorda quando la nonna lo portava con sé al mercato di piazza Sicilia a Taranto per acquistare il miglio che soltanto lei sapeva riconoscere, bastava tastarlo per qualche secondo con le prime tre dita della mano ed era certa che si trattasse di quello buono.

Fu da allora che il piccolo Marco capii che per fare carriera nell’arte culinaria dovevo tenere in debito conto anche i piccoli gesti come quello di conoscere un prodotto buono da quello meno buono.

Dopo aver tirato i primi calci al pallone giunse veloce l’età della prima scelta importante, quella degli studi da proseguire dopo il conseguito diploma di licenza media.

Aggiunge Marco: “non potevo non soddisfare questo bisogno che mi portavo dietro già da alcuni anni perciò la scelta ricadde sull’Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione di Gandoli. Mi dissero che qui avrei imparato le basi tecniche dell’arte culinaria e che il resto lo avrei acquisito nel tempo con l’esperienza sul campo”.

Intanto arriva una prima mezza delusione perché il povero Marco trascorre la prima estate da studente di Gandoli come ‘lavapiatti’, un lavoro che lo vede impegnato dalle 5 di pomeriggio alle 2 di notte per sole 25 mila lire a settimana. Ma la gavetta è gavetta e va vissuta come tale. 

Marco così prosegue: “finalmente giunsero le prime soddisfazioni ed esperienze vissute in Italia: due sulla riviera romagnola, a Milano, a Napoli, poi in Liguria, poi subito all’estero: a Ginevra, e ancora sulla Costa Azzurra, a Saint Tropez, dove inizio a cimentarmi in un accurato studio della cucina francese, anche se ad onor del vero il mio titolare pretendeva che almeno una volta a settimana io scendessi a Ventimiglia a rifornirmi di prodotti italiani da proporre poi alla clientela del ristorante quasi esclusivamente francese”.

E aveva ragione Marco, perché non si trattò di una “vetrina” come gli dicevano gli amici ma di un qualcosa di veramente interessante. Passa così dalla cucina francese a quella caraibica volando fino alle Antille francesi a Saint Barth dove resta per tre anni.

La lontananza dalla propria Patria bussa al cuore e alla mente di Marco che ritorna in Italia per trasferirsi a Torino dove si ferma per tre anni e dove avviene l’incontro, che si verificherà importante nella sua carriera di ‘chef’: infatti incontra Andrea Fasano, suo attuale secondo chef, anche lui di origine pugliese ma in Piemonte in tenerissima età.

Marco ci racconta questo episodio: “la proprietaria del ristorante torinese mi informa che ai piemontesi piacciono le cime di rapa e che sta a me inventare qualcosa perché lo sposalizio fra le rape e la cucina tarantina possano riuscire. Ed ecco che mi invento ‘Taranto-Torino andata e ritorno’, un piatto con pasta fresca fatta a mano e le rape non condite con i classici olio, aglio e acciuga, ma con la bagna cauda. L’esperimento viene salutato da successo”.

Marco sente prepotente il bisogno di far ritorno sulle rive dello Ionio e ritorna per collaborare con due noti ristoranti tarantini. Nel primo incontra la giornalista ‘food-expert’ tarantina Antonella Millarte che gli spiana la strada per aprirgli varchi che lo fanno lavorare in altre realtà pugliesi fino a giungere alla catena di food Eataly, del patron Oscar Farinetti, che decide di affidare a Marco la gestione dell’Osteria Pugliese (il ristorantino delle verdure)  “L’O Gusto” a  Bari.

Qui da un varco si apre un’autostrada perché Marco entra subito in contatto con Tony May, presidente dell’associazione GRI (Gruppo Ristoratori Italiani) e presidente dei ristoratori italiani a New York che gli offre una collaborazione con il Griffin’s del Saint George’s Club nelle Bermuda, gestito da Piero Casalicchio.

Si ferma qui il lungo tour di Marco che oggi lo vede come Head Chef di due ristoranti dell’Isola, posto che fa gola e, perché no, anche invidia a molti suoi colleghi.

Ma cosa fa di straordinario il nostro Marco nella cucina delle Bermuda?

Lasciamo che sia lui stesso a dircelo: “qui sto sperimentando una cucina che è una sorta di ‘fusion’ tra la cucina tipica bermudiana e quella tarantina in particolare: infatti  uso i prodotti locali, decantati dallo stesso Hemingway, come il pesce tipo il Rock Fish o l’Amber Jack, non disdegnando l’uso dei vegetali, ma usando anche prodotti tipici pugliesi che non sono soltanto i mitili e i frutti di mare tarantini, ma anche l’olio biologico delle nostre terre”. 

Marco ci chiede di riportare un suo importante pensiero sulla cucina nel mondo: “certi stereotipi vanno con fermezza stigmatizzati: per esempio il nostro spaghetto al pomodoro, biglietto da visita in tutto il mondo, non è altro che un'acquisizione di un prodotto tipico cinese quale lo spaghetto combinato al famosissimo pomodoro ciliegino di origine israeliana per concludere con il basilico fresco nativo dell'Asia tropicale. Ma ho portato Taranto nel cuore e nella cucina delle Bermuda facendo conoscere i pregiatissimi nostri prodotti del mare che quotidianamente servo in tutte le salse e che con il mio estro inventivo riesco a trasformare in piatti belli da vedere e ottimi da degustare. Come ho fatto? Un esempio per tutti: ho condito i nostri mitili con il finocchietto delle Bermuda e ne è venuto fuori qualcosa di molto interessante e così via con altri mille esperimenti. Ed è bello constatare come i nostri prodotti siano apprezzati dalla stragrande maggioranza dei turisti, per lo più milionari, che soggiornano in  questa isola”.

Marco non si sente ancora appagato ma avverte che il futuro gli riserva ancora belle sorprese, ma un fatto è certo: ben vengano per tipi come Marco sorprese di questo genere perché se le merita tutte in quanto fa onore a se stesso e alla sua città d’origine. 

Insomma un esempio da apprezzare e da additare ai giovani d’oggi.

Ad maiora, Marco!

 

 



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