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Il racconto/ IL MIO AMICO GIANNI

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

18
SET
2015
Gianni è il mio compagno di doppio e avversario quando ci alleniamo sui campi del Club 2000: uno dei pochi circoli tennis rimasti in città. Giochiamo assieme da tanti anni almeno due volte alla settimana e, tempo fa, mentre stavamo sorseggiando una bibita al bar, mi disse che ci aveva iscritti ad un torneo over 40 a Padova 
 
 
Letta la locandina esposta in bacheca, aveva telefonato al circolo ed iscritti, sia al singolo che al doppio. Non ricordava il nome del circolo, ma mi disse che aveva comunque il nome di un Santo e che io avrei dovevo solo prenotare un hotel, possibilmente nelle vicinanze dei campi e organizzare il viaggio. In passato, quando pensavamo di essere ancora dei campioncini, partecipavamo a tornei anche in altre città ma ora, a quasi a cinquant’anni, quando dall’altra parte della rete si presentano dei ragazzini di venti o venticinque anni, sapendo già come andrà a finire, scema sia la voglia di giocare che quella di fare tanta strada. Per questo io gli chiesi come gli fosse venuto in mente di iscriverci ad un torneo a Padova, che distava quasi 1000 chilometri da Martina Franca, ma lui mi rispose che non dovevamo mica farla a piedi la strada. 
Era sempre stato così con lui, ed era inutile insistere oltre. Comunque, prenotai due stanze, mi misi in ferie e la domenica successiva ci mettemmo in macchina alla volta di Padova. Arrivammo al circolo la sera mentre stavano ancora completando il tabellone. “Inutile stare qui a cercare di capire chi siano gli avversari, non conosciamo nessuno. Domani sui campi vedremo cosa ci aspetta. Meglio andare a trovare un buon ristorante.” Il torneo non era di quelli tostissimi: gli avversari sfioravano più o meno tutti la nostra età e noi, giorno dopo giorno e partita dopo partita, riuscimmo ad arrivare ai quarti di finale, sia nel singolo che nel doppio. Poi una giornata di pioggia costrinse gli organizzatori posticipare le partite di 24 ore. Quel venerdì pomeriggio, mentre fuori continuava a piovere e io stavo facendo scorrere il tempo leggendo un libro, Gianni venne in camera mia a chiedermi se volevo andare con lui ed un’amica al casinò di Venezia. Io gli risposi di no e lui mi disse che lo sapeva già e che era venuto solo per avvisarmi. Lui ci sarebbe andato con una signora conosciuta al circolo “E’ una di non so dove che partecipa al torneo femminile e al doppio misto. Ci vediamo domani e buona lettura.” 
Il mattino successivo, mentre ero al bar dell’hotel che stavo sorseggiando il primo caffè della giornata, sentii dei rumori alle mie spalle. Era Gianni che stava cercando di entrare spingendo la porta di sicurezza che si apriva solo dall’interno. Mi avvicinai all’ingresso e gli aprii la doppia porta a vetri: “Accomodati. Ma che faccia. Nottataccia?” Lui guardò per un attimo la porta che non si voleva aprire, la mandò a quel paese con un calcio e poi venne verso di me. “Sì. O meglio no. Scegli tu. Comunque, nottataccia, è vero ”. Mi disse che con quella signora erano andati a Venezia e si erano fatti portare al Casinò. Avevano giocato alla roulette sino a mezzanotte e avevano anche vinto quasi 2000 euro. E così, con quella vincita, pensò di andare a passare il resto della notte in un hotel assieme all’amica. Saliti sul motoscafo, Gianni si avvicinò al tassista e gli chiese sottovoce se conosceva un posto elegante dove portare la signora. Il tassista capì quello che capì e, dicendogli che erano fortunati perché in quel periodo c’era la mostra del cinema e che al Lido avrebbero potuto incontrare attori e attrici famosi, mise in moto e uscì dal Canal grande per mettere la prua al vento. 
Effettivamente l’hotel dove si fermarono era pieno di vita, di luci, musica e di attrici, o forse no. Comunque lui non né riconobbe nemmeno una. In compenso una bottiglia mignon di champagne costava quanto la metà della vincita al casinò. Di bottiglie, tra tartine di caviale e gamberetti, ne consumarono tre e così, per tornare al piazzale Roma, dovettero attendere che i mezzi pubblici riprendessero a funzionare: “Perché non hai usato le carte di credito?” Gli chiesi. “Le carte di credito le lascio sempre quando vado in certi posti e con gente che non conosco. E meno male, se no sai che salassata.” 
Poi, mentre stava ritirando la chiave della sua camera, aggiunse: “Lo sai quando giochiamo? Se è questa mattina cerca di rinviare nel pomeriggio. Anzi no, è meglio proprio a questa sera.” “E se insistono per farci giocare per forza di mattina?” Aggiunsi io. E lui, bloccando le porte dell’ascensore: “ Mi hai mai visto fare qualcosa di mattina, tu? No. E allora datti da fare e rinvia. Se no che ci diano partita persa a tavolino. Ma comunque non venirmi a svegliare. Buona notte.” 
Effettivamente aveva ragione, non lo avevo mai visto fare nulla di mattina, o meglio, di mattina non lo avevo proprio mai visto in giro. Quando un giorno si presentò a pranzo ancora in pigiama e il padre, rientrato dal lavoro in quel momento, sbottò in una sicumera, lui decise di andare a vivere da solo. La madre cercò di farlo desistere, ma il marito le disse che un figlio a quarant’anni non solo poteva andare a vivere da solo, ma aveva il sacrosanto dovere di togliersi dai piedi.
Quando Gianni trovò un appartamento ammobiliato si accorse che gli servivano i soldi per pagare l’affitto e per vivere, perciò chiese degli anticipi al padre e di andare anche in banca con lui per mettere delle firme di garanzia. 
Trovare un lavoro che non lo impegnasse di mattina fu però più difficile, ma passando davanti ad una pizzeria che esponeva il cartello: < Pizza anche a mezzogiorno >, ebbe l’intuizione. Rilevò un ristorante pizzeria e lui lo apriva solo di sera. Inaspettatamente gli affari andavano bene, o forse andavano così proprio perché al ristorante lui ci andava poco. 
Non si era mai sposato. Aveva avuto solo qualche storia sporadica, di poco conto e di poca durata. Quando un giorno gli chiesi perché non si decidesse a mettere su famiglia e se non lo intristiva tornare a casa e non trovare nessuno ad aspettarlo, mi rispose che il bello era proprio quello, che quando tornava a casa trovava solo la gatta ad aspettarlo. “E la cosa Brutta?” Insistetti io. “ Trovare solo la gatta che mi viene in contro.” 
Le partite, causa pioggia e campi impraticabili, vennero ulteriormente rinviate e noi iniziammo il doppio verso le ventuno. “Tu mettiti dietro e io rimango sotto rete. Se riesco a intercettare qualche palla va bene, se no pensaci tu. Ma facciamo presto perché ho un appuntamento.” Mi disse entrando in campo e buttando l’occhio ad una signora che infreddolita si stava accomodando sugli spalti. Mi aveva detto che voleva portarla a ballare in discoteca e che venendo al circolo aveva visto una saracinesca abbassata con l’insegna Discount. “Guarda che discount significa sconto, supermercato economico. Non discoteca” “Ah si? Hai fatto bene ad avvisarmi, se no sai che figura.” Mi rispose candidamente. 
Vincemmo l’ultima partita e così anche il torneo di doppio. Il mattino prima di metterci in macchina per tornare a casa volle passare in un negozio di abbigliamento del centro per acquistare dei pantaloni che aveva visto in vetrina e che, disse, gli erano piaciuti. Lo accompagnai e quando la commessa gli chiese la taglia lui rispose: “52, signorina.” “Mi scusi, ma a me sembra più una 54, se non proprio una 56.” Gianni, che non ha mai sopportato di essere contradetto, a quel punto si irrigidì e pretese che la commessa la desse la taglia che aveva chiesto. “Non prova i calzoni signore? Il camerino e la, vede?” Lui le rispose che non c’era bisogno perché quella era la sua taglia e che gli sarebbero sicuramente andati alla perfezione.. La commessa incurvò le sopracciglie ma non disse nulla. Lui pagò ed uscimmo. Per strada gli chiesi perché non avesse voluti provarli e se era sicuro che quei pantaloni gli andassero bene. “Sono sicurissimo che non mi vanno: sono stretti, lo vedi anche tu. Ma perché avrei dovuto dare la soddisfazione a quella indisponente?“ Aggiunse. “E ora che te ne fai?” Gli chiesi salendo in macchina. “Li metto assieme a tutta la roba che non mi va più. Prima o dopo mi deciderò a fare quella dieta che i dottori mi consigliano da anni e allora troverò il guardaroba già pronto. Già rifatto.” 
Arrivammo a Martina Franca in serata e quando fermò la macchina sotto casa mia chiese: “Ma per te che sei sposato cos’è la cosa bella che trovi quando entri in casa?”. Io aprii lo sportello posteriore e presi il borsone e le racchette e gli dissi: “Sali e lo capirai da solo Gianni”. “Ma Giovanna l’ami così tanto, anche dopo tanti anni di matrimonio?”, mi chiese.
”Non mi sono mai chiesto se l’amo. Come non mi sono mai chiesto se amo le mie mani o la mia testa o le mie gambe. Ma sono certo che non saprei farne a meno, né di loro né di Giovanna.” 
Gli risposi, salutandolo.
 


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