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TORNARE A SCUOLA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

9
OTT
2015
La storia con Rita era finita quando le portai dei depliant per scegliere una località dove avremmo dovuto trascorrere qualche giorno assieme. Lei soppesò tra le mani quegli opuscoli, come a doverne valutarne il peso e la consistenza, e poi mi disse che non era sicura di volerla fare quella vacanza
 
Restammo a parlare per più di un’ora e mentre lei continuava a snocciolare tutti i dubbi, insicurezze e le perplessità, io la interruppi solo per chiederle di risparmiarmi almeno le solite frasi: “ Ho bisogno di capire; devo guardarmi dentro; devo prendermi un periodo di tempo… ” 
Ci salutammo con la promessa che ci saremmo sentiti dopo qualche giorno, ma tornato a casa non provai nessuna emozione, nessun interesse, come se avesse parlato della crisi di un’altra coppia e non di noi due. E nemmeno la curiosità di sapere se qualcuno si fosse intromesso tra di noi, mi turbò più di tanto. Forse aveva ragione lei quando mi disse che la nostra storia, già finita da tempo, si trascinava solo per pigrizia, per abitudine. Da quella sera lei non richiamò più e io feci altrettanto e così il nostro rapporto si concluse senza strappi e nel silenzio più assoluto. 
Finita l’estate potevo finalmente riprendere il mio lavoro in quel paesino in collina. Erano otto anni che insegnavo in quella scuola e anche il tragitto non mi pesava più di tanto. 
Prima del fatidico 14 settembre, quando il suono della campanella avrebbe portato in classe i ragazzi, tutto doveva essere predisposto e così, la mattina del 2 settembre, il corpo insegnante si era dato appuntamento nella sala riunioni per predisporre la programmazione annuale. 
Con i nostri taccuini sul tavolo, stavamo ancora parlando tra noi di vacanze, viaggi, quando sentimmo bussare alla porta e poi entrare una ragazza: «Scusate il ritardo, ma non ho trovato un pullman che partisse prima delle otto». «Non preoccuparti, stanno osservando ancora l’orario estivo, ma per l’inizio elle lezioni riprenderanno le corse regolari». Le rispose il preside, mentre si alzava. «Questa bella ragazza è la nostra nuova insegnate d’inglese che il provveditorato ci ha voluto graziosamente assegnare». Poi, rivolto a noi e alla nuova arrivata, aggiunse: «Lei è la professoressa Marziani e questi sono i tuoi nuovi colleghi». Dopo le presentazioni la riunione ebbe inizio e seduti in punta di sedia, come degli studenti insofferenti, quando sentimmo l’orologio del campanile scandire dodici colpi, come fosse stato un segnale convenuto, tutti raccogliemmo i nostri appunti e ci aggiornammo per il successivo giovedì. 
Quando arrivai in strada notai solo Anna, la nuova arrivata, che era seduta sotto la pensilina. Pensando che stesse aspettando l’bus, girai e mi andai a fermare proprio di fronte a lei: «Scusa, se stai aspettando il bus, posso darti un passaggio». 
Lei stette per un attimo a scrutarmi, come per realizzare chi fossi poi, raccogliendo la sua borsa, venne verso di me. «Grazie. Approfitto volentieri. Se non si stabilizzano gli orari dei bus, sarà un bel problema venire a lavorare». Le proposi di darle un passaggio anche nei giorni successivi ma lei declinò l’invito. Passarono mesi senza che ci scambiassimo qualcosa in più di un semplice saluto o qualche parola durante le riunioni didattiche, poi una sera mi chiese se poteva approfittare di un passaggio, in quanto il giorno dopo era previsto uno sciopero dei mezzi pubblici. Dopo esserci accordati per il mattino successivo, restammo a parlare ancora per una buona mezz’ora e rimasi stupito nel constatare, senza che io le avessi mai detto nulla, quante cose sapesse di me e sul mio conto. Mi disse che sapeva che ero single e che vivevo da solo. Le avevano detto che ero un tipo taciturno e a volte anche scontroso e che non ero mai riuscito a costruirmi una storia vera e stabile. Io, cercando di alleggerire la mia posizione buttai li qualche frase ironica, delle giustificazioni forse poco credibili, tanto che lei si fece delle belle risate prima di salutarci. Quando terminò la telefonata, per arrivare a capire chi le avesse potuto riferire tutto quello che sapeva su di me, mi feci mentalmente un giro delle amicizie e conoscenze, ma la ricerca restò vana. 
Dopo quel giorno capitò ancora di sentirci al telefono: si parlava di scuola, alunni e anche della sua difficoltà a rapportarsi con alcuni colleghi. Tutto rientrava nella normale dialettica tra un professore anziano e la nuova insegnate, nulla di più. Ma una volta riuscì a sorprendermi. Fu quando chiamò per chiedere se mi avrebbe fatto piacere accompagnarla all’inaugurazione di mostra organizzata da una sua amica. Io sorpreso stetti un attimo a riflettere su quella richiesta così esplicita e poi le risposi di si, che l’avrei accompagnata volentieri.
Era ormai da qualche tempo che stavo rimuginando sul suo comportamento. Lei aveva 29 anni e io 43, cosa mi poteva legare a lei? La differenza d’età era un ostacolo insormontabile da superare, almeno per me. Ma cosa andavo pensando? In definitiva mi aveva chiesto solo di accompagnarla all’inaugurazione di una mostra di pittura, non mi aveva mica chiesto di portarla all’altare. Ma comunque non potei fare a meno di chiedermi del perché lo aveva chiesto proprio a me e non a un altro? Quel sabato pomeriggio, vestito di tutto punto, andai all’appuntamento per accompagnarla alla mostra e quando mi vide arrivare Anna, sfoderando quel suo sorriso accattivante, che già da un pezzo mi aveva fatto perdere la testa, mi salutò:
«Ciao. Come sei elegante? Complimenti sembri un figurino». «Anche tu non sei niente male, senza la tua solita mise». Le feci eco io, per cercare di rompere il ghiaccio e per nascondere l’impaccio per quell’incontro fuori dall’attività lavorativa. L’avevo sempre vista in jeans, felpa e giacchino di pelle ed ora avevo di fronte a me un’Anna totalmente diversa, trasformata. Elegante nel suo tubino nero, con i tacchi alti e i capelli sciolti sulle spalle. 
Ci avviammo a piedi e lei, dopo essersi messa sotto braccio, mi chiese di rallentare perché a quei tacchi non era proprio abituata. Aveva acquistato quelle scarpe solo per quell’occasione e se ne era già pentita, aggiunse. Quando arrivammo in galleria trovammo tutti gli ospiti che si stavano accalcando intorno al solito buffet e allora capimmo di essere arrivati in ritardo e che la cerimonia d’inaugurazione era già terminata. «Vieni. Ti presento Dora, la mia amica pittrice». E dicendo così si avvicinò ad una signora biondissima che come la vide ci venne incontro. «Buona sera. Ci tenevo proprio che venissi. Grazie Anna. E questo scommetto che è Giorgio, vero?». Mentre io stavo riflettendo sul fatto che un altro tassello del mio mosaico si stava incastonando, Anna ci presentò: «Sì, questo e Giorgio. Giorgio ti presento Dora».
Alla mostra, solo per fare piacere alla sua amica, restammo in galleria sino alla chiusura e poi le proposi di andare a finire la serata in qualche locale. Lei disse di sì e chiamò la madre per avvisarla che sarebbe rientrata più tardi.
Strada facendo scartai subito la pizzeria perché così eleganti non mi sembrava il caso e poi era la prima volta, dopo mesi, che uscivo con una ragazza. Optammo per un ristorante che conoscevamo entrambi. Non ricordo il menù di quella cena, ma ricordo che fu una serata piacevolissima, e finalmente quella sera trovai anche il coraggio di chiederle come mai fosse a conoscenza di tante cose sul mio conto. Lei rispose che già da tempo sapeva molte cose di me. Sapeva della mia storia finita con Rita, della mia passione per la letteratura inglese e per i viaggi. Sapeva quasi tutto, se non tutto di me, mentre io non sapere ancora nulla di lei. Dopo cena l’accompagnai a casa e come avviene spesso in questi casi, restammo in macchina per un po’ a parlare di cose che in quel momento non interessavano a nessuno. Poi, non so come, venne fuori l’argomento età, della nostra differenza d’età: 14 anni di differenza. E da quel momento lasciammo cadere ogni muro e cominciammo a parlare di noi. Mi disse che l’età non doveva costituire un ostacolo. Lei aveva avuto tre storie, più o meno importanti: la prima, con un suo coetaneo, quando aveva ancora 18 anni, la seconda con uno che di anni ne aveva 3 più di lei e che lo lasciò proprio perché non si decideva a crescere. La sua terza e ultima storia, mi raccontò, non era nemmeno il caso di parlarne. Ora era sola e sino al giorno che le proposi quel primo passaggio in macchina, non ci aveva più pensato. Quando le chiesi cosa le avesse fatto cambiare idea e perché proprio io, lei rispose che in me aveva trovato una persona matura, rassicurante, un uomo su cui poter fare affidamento. La sua era stata praticamente una dichiarazione d’amore e, mentre io non riuscivo a trovavo il coraggio di dirle quello che da sempre avrei voluto dirle, lei si avvicinò e mi dette un bacio sulla guancia.
«Giorgio. Forse sono stata troppo invadente. Troppo precipitosa. Se è così dimmelo. Non voglio metterti in imbarazzo. Scusami. Ma se mi sono spinta sino a questo punto è perché sono sicura che nemmeno io ti sono indifferente». «No. Non hai proprio nulla da farti perdonare. E hai ragione: non mi sei mai stata indifferente». Le risposi, e poi aggiunsi: «Vedi… La differenza d’età è proprio questa. Tu riesci a dire le cose con naturalezza, con la semplicità della tua età e io, che queste cose te le avrei volute dire da quel giorno che ti ho vista entrare nella sala riunioni, non ci sono ancora riuscito. Quando sentivo la tua voce al telefono, capivo, credimi, capivo che quello che mi stavi dicendo o volevi sapere da me, non era la cosa che ti importava. Lo capivo, ma nonostante questo io non sono mai riuscito a fare quel passo in più, dirti quello che ora tu hai detto con tanta naturalezza». 
Dopo qualche istante di silenzio, che a me sembrò un eternità, forse per stemperare la tensione, Anna aggiunse: «Vuoi pensarci un po’ Giorgio? Non molto però. Ti lascio il tempo di tornare a casa e poi aspetto un tuo squillo, voglio sentirti dire quello che ancora non mi hai detto».
«Non c’è bisogno che torni a casa o che ci pensi, te lo posso dire subito: Sono innamorato di te dal quel 2 settembre quando ti ho vista per la prima volta e ora, dopo averti frequentata e conosciuta meglio, lo sono ancora di più. Ti amo, Anna».
 


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