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E´ NATA BENEDETTA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

15
GEN
2016

Mi scuso con il Direttore, la Redazione e soprattutto con i Lettori di Extra Magazine per non essere riuscito questa settimana ad inviare il consueto racconto settimanale, ma in questi giorni sono stato un tantino impegnato e sinceramente anche con la testa altrove:

Oggi sono diventato nonno. 

Mia figlia Paola si è sposata nel dicembre 2014 e oggi, 12 gennaio 2016, è arrivato finalmente il giorno del grande evento: alle ore 13,20 è nata Benedetta Blanda, la sua prima figlia.

E’ da quel giorno di fine aprile dell’anno scorso, quando venne a casa, accompagnata dal marito Rosario, nostra figlia Paola a farci vedere le analisi che confermavano la sua gravidanza che è iniziato tutto un susseguirsi di emozioni, preoccupazioni e soprattutto una lunga e snervante attesa.

Quando si parla di donne incinte, siamo abituati a sentir parlare della futura mamme in dolce attesa e del marito che non vede l’ora di diventare papà. Mai nessuno parla dello stress che questa lunga attesa provoca anche ai genitori della coppia, i futuri nonni. Perché nessuno ne parla mai?

Quando, a 39 anni è toccato a me diventare padre non ricordo di aver provato tanta ansia quanta ne ho provata in questi mesi per mia figlia Paola. 

Durante la gravidanza di mia moglie e la successiva nascita di nostra figlia, ricordo di aver vissuto quei giorni con trepidazione sì, ma anche con serenità. Mi bastava sapere che tutto stava andando per il verso giusto e che il decorso e i valori erano tutti nella norma per stare bene. 

Per mia figlia non è stato così. Sin dall’inizio per me e mia moglie è stato uno stress continuo, perché periodicamente nostra figlia si è dovuta sottoporre a delle visite mediche che ha poi ripetuto con cadenza quasi fissa ogni settimana: analisi, ecografie, visite ginecologiche e cardiologiche; amniocentesi. Suggerimenti del nutrizionista e del dietologo. Misurazione della lunghezza e del peso della nascitura, e non parliamo poi dei prelievi del sangue che sino a ieri si sono succeduti a dismisura, e di questi ne ho perso anche il conto.

«Non è più come una volta, quando ero incinta io. Ora tutto è cambiato e gli esami a cui viene sottoposta Paola sono di routine, nulla di allarmante o preoccupante, è solo un modo per tenere monitorato l’andamento della gravidanza. Stai tranquillo», mi ripeteva mia moglie quando ogni lunedì, alle 6,30 del mattina, l’accompagnavo in ospedale per aspettare e poi fare compagnia a nostra figlia che doveva sottoporsi ai suddetti esami di routine. 

«Ma perché vai così presto in ospedale se i dottori arrivano alle 8 e le visite iniziano verso le 8.30?», chiedevo timidamente a Giovanna, mia moglie, mentre ancora al buio attraversavamo la città per raggiungere l’ospedale. E la risposta era sempre la stessa: «Vado prima per sbrigarci prima. Appena arrivo io prendo il posto e così lei, quando arriva, è una delle prime. Finisce prima, si stanca di meno e la riaccompagno a casa».

Avrei voluto anche chiederle cosa significasse per lei quel verbo, per me anomalo: “monitorare”, poiché credevo che venissero monitorati un’area, l’ambiente, l’aria, un fiume, un vulcano; in tecnica degli apparecchi elettronici e in politica la tendenza degli elettori, ma stetti zitto perché sapevo già cosa, scuotendo la testa, mi avrebbe risposto.

Ma prima di mezzogiorno, mezzogiorno e mezzo o l’una, io non sono mai riuscito ad avere loro notizie. E quando mia moglie, dopo aver accompagnato nostra figlia, tornava a casa, mi raccontava ogni volta che avevano fatto tardi perché in ospedale c’era stata un’emergenza: parti prematuri, parti cesari, visite urgenti; donne africane in gravidanza, sbarcate da qualche nave militare nel porto di Taranto, che erano state inviate in ospedale perché necessitavano di urgenti e attente visite specialistiche. 

Poi il conteggio delle settimane e dei giorni che rimanevano al fatidico giorno, si fece ancora più serrato e le consuete uscite domenicali si erano diradate al punto che al massimo duravano il tempo di un pranzo fuori porta, ma si intende, a non più di una mezz’ora di strada da casa.

Ed ecco finalmente ieri il ricovero e le ultime analisi che hanno confermato che tutto stava procedendo bene. 

Primo superamento della porta della sala parto, da parte di mia figlia, ieri notte verso le ventidue: nulla di fatto. Rientro in stanza e ritorno in sala parto verso mezzanotte: ancora nulla di fatto. Uscita dalla sala parto verso le 6,30 per potersi rinfrescare e sgranchire le gambe, ma ancora nulla di fatto. Ore 7,00 rientro in sala parto. Ore 8,00 mia moglie vede arrivare il dottore che ha seguito nostra figlia in tutti questi mesi e gli chiede notizie. Il medico le risponde che tutto risulta sotto controllo e aggiunge che è inutile insistere e stressare ulteriormente ancora la madre e la nascitura (e aggiungo io, anche noi futuri nonni) e pertanto la informa che procederà con il taglio cesareo.

Lunga attesa. Lunghissima attesa, sino alle ore 13,20, quando un’infermiera apre una porta a vetri e finalmente chiama:

«Familiari di Paola Nardelli…».

Tutti noi ci avviciniamo alla porta a vetri e allora l’infermiera, prima di eclissarsi un’altra volta dietro un paravento, ci dice che la bambina è nata e che madre e figlia stanno bene.

Tutto finito? No, manco per idea. Altra lunga attesa di due ore prima di poter vedere la piccola e passano altre due ore prima di vedere nostra figlia, assieme alla piccola. Baci abbracci, commozione, occhi rossi, fazzoletti bagnati e foto e ancora scatti e subito dopo una lunga maratona di Whats App, per far rimbalzare la notizia.

Ore 17,30, dopo aver ricevuto e scambiato baci, abbracci ed auguri con i consuoceri, genero, parenti, amiche e amici di mia figlia e del marito, stressato, stanco morto e affamato,  saluto tutti e ora mi fiondo a casa per buttare giù questa breve, intima e probabilmente poco interessante, per chi legge, cronistoria della nascita della mia prima nipotina, che le è stato attribuito già da tempo il nome di Benedetta, che pesa 3 chili e trecento grammi.

Colgo anche l’occasione per ringraziare quanti hanno avuto la premura di farmi pervenire i loro graditi auguri e complimenti. 

Ancora grazie a tutti, Oscar Nardelli.

 

 

Grazie a Lei, Oscar, per averci reso partecipe delle Sue emozioni. Da parte di tutta la redazione di Extra, le nostre più care felicitazioni.

R.C.

 



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