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ACCORGERSI DI QUANTO POTREBBE MANCARMI

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

18
FEB
2016
Era sabato e le prospettive per trascorrere una giornata tranquilla c’erano tutte: il bambino non doveva andare a scuolae nemmeno noi al lavoro e allora eccoci qui a poltrire nel letto. Ma siccome l’orologio biologico aveva comunque suonato la svegliae Damiana si stava muovendo nel letto, le chiesi:
< Cos’hai? >
<Niente. Penso. >
< A cosa pensi? >
< A quello che devo fare oggi. >
< E cosa devi fare oggi? >
< Ci sto pensando. >
Ormai non ci facevo nemmeno più caso. Appena sveglia le sue risposte erano sempre così: vaghe e incomplete. Ma quella mattina Damiana era preoccupata: aveva un appuntamento con il dottore perché da qualche settimana, facendosi la doccia, si era accorta che sotto l’ascella destra le era spuntato uno strano nodulo e, conoscendomi,aveva preferito aspettare sino all’ultimo momentoprima dimettermi al corrente. Tra qualche ora sarebbe dovuta andare in clinica per sottoporsi ad una visita specialisticae, non potendomelo più tacere, questo la preoccupava tanto quando il nodulo che aveva sotto l’ascella.
Sarà colpa del mio carattere, ma sentir parlare di malattie, medici, visite specialistiche, ambulatori e ospedali, mi crea sempre uno stress insopportabile. Avevo cinque anni quando per la prima voltacominciai a sentir parlare di questi argomenti: mio padre era stato coinvolto in un brutto incidente stradale e in ospedale ci era arrivato in fin di vita. Dopo una lunga degenza si era ripreso, ma non era più la stessa persona. Nell’incidente aveva perso l’udito dall’orecchio destro e ricordo ancora che quando tornò a casa,con una gamba ingessata, aveva anche il viso ricoperto di cicatrici perchéilparabrezza dell’auto (all’epoca quando si rompevano andavano in mille pezzi), nel frantumarsi, a causa dell’urto,lo aveva investitoe gli aveva provocato una miriade di ferite alla testa. E non passarono molti anni che sempre mio padre dovette ricorrere ad altre cure, affrontare altri ricoveri ed altre operazioni chirurgiche. Poi arrivò mia madre con i suoi malanni: calcoli al fegato, anemia mediterranea, ulcera duodenale e in vecchiaia anche l’artrosi deformante. E così, ancora adesso,quando sento parlare di malattie, visite specialistiche e dottori, o sento il tipico odore delle corsie d’ospedale e degli ambulatorio, peggio,vedo dei camici bianchi, provosempre un forte malessere, un senso di ansia che mi fa montareanche un grannervoso.
Le chiesi se prima di andare dal medico non sarebbe stato meglio prenotare dei raggi, una mammografia e lei, scostando le lenzuola e alzandosi, mi rispose:
< L’ecografia l’ho già fatta la settimana scorsa e ha dato esito positivo: sotto l’ascella ho un nodulo e non è nemmeno tanto piccolo. Alle undici ho appuntamento col medico e lui mi saprà dire di che natura sia e il successivo da farsi. >
Sentendola dire queste cose la fronte cominciò ad imperlarsi di sudore e l’ansia a prendere il sopravvento sul mio stato d’animo che ormai non riuscivo piùa dominare. Damianalo capì e, infilatasi la vestaglia, mi venne vicino e disse:
< Lo sapevo. Avrei preferito non dirti niente. O meglio dirti tutto dopo, a cose fatte, ma il medico mi ha fissato l’appuntamento proprio per oggi che sei a casa anche tu. Ti prego solo di stare tranquillo. Sono già abbastanzapreoccupata per conto mio. Non ti ci mettere anche tu, per favore. In fondo non è detto che debba andare tutto storto. Aspettiamo l’esito della visita. >
Mi alzai dal letto senza risponderle e muto cominciai a fissare l’orologio per calcolare quanto mancasse alle undici. Ma non era detto che già a quell’ora avrei saputo l’esito della visita e allora ecco l’accumularsi di altra ansia e altro stress.
< Chi ti accompagna? >
Le chiesi.
< Sarei potuta andare anche da sola, ma ho preferitofarmi accompagnare ad Lori. Tu è meglio che rimani qui con Paolo.Appena so qualcosa ti chiamo. >
Io annuii, sicuro che se avesse detto tu, avrei dovuto trovare una scusa, perché proprio non me la sentivo di attendere l’esito degli esamiin una sala d’aspetto della clinica o,peggio,dietro una porta chiusa.
Il tempo che trascorse da quando c’eravamo alzati a quando sarebbe dovuta uscireDamianalo impiegò e si comportò normalmente, come sempre: preparò il caffè, aprì le finestre per fare arieggiare le stanze, rifece il letto, questa volta forsecon maggiore lentezza e cura, poi sparì nel bagno e sentii lo scroscio della doccia e poco dopo, finalmente,cominciò a prepararsi.
Io da quando mi ero alzato dal letto ero rimasto sedutosu una sedia in cucina: curvo in avanti, la fronte sempre più sudata, le braccia conserte e le mani infilate sotto le ascelle.
< Se vuoi, Luca,vieni tu. Invece di farmi accompagnare da Lorila chiamo e le dico di venire qui a tenersi Paolo. Ma sei sicuro di volerci venire tu dal dottore con me? >
Scuotendo la testa ed infilando ancora più le mani sotto le ascelle, le risposi di no.
< No. Scusami tanto, ma non ce la faccio. Quando si tratta di queste cose divento unanullità. Non riesco a reagire. Lo sai. Proprio non ci riesco. Scusami. >
Lei passandomi davanti e allungando una mano mi accarezzò i capelli e sorridendo replicò:
< Stai calmo. Invece di essere tu a darmicoraggio, devo essere io a darlo a te. Aspettiamo di sapere di cosa si tratta prima di preoccuparci. Come diceva tuo padre: non fasciamoci la testa prima che si sia rotta. >
Senza riuscire a rispondere alzai la testa e guardandolaprovai un senso di invidia per la forza d’animo e la sua capacità che aveva di non far trapelare nulladi ciòche in realtà doveva provare in quel momento.
Verso le dieci e un quarto squillò il suo cellulare e la sentii parlare con la sua amica:
<Lori… Ok. Scendo tra cinque minuti. Fai uno squillo se arrivi prima tu. Ah sei già qui sottoche aspetti? Allora scendo subito. Ciao.>
L’accompagnai alla porta e mentre stava attendendo l’ascensore le raccomandai di ricordarsi di farmi sapere subito l’esito del controllo, magari con un semplice sms, ma prima di tornare a casa. 
Rimasto solo con il bambino,l’ansia continuò ad aumentare e allora cercai di distrarmi, di non pensarci. Ma come si fa a distrarsi e a non pensarci? Le lancette dell’orologio stavano girando con una lentezza biblica, epassarono le undici e suonarono anche le dodici, ma senza che io ricevessi nessuna chiamata. E allora cercai di immaginare e di trovare tutte le scuse possibili: il dottore era arrivato in ritardo; c’erano state delle urgenze; prima di lei c’erano altre visite; il controllo era stato più approfondito e accurato del previsto; dopo la visita doveva attendere l’esito di qualche esame specifico e per questo non mi aveva ancora chiamato. Ma almeno uno squillo, una telefonata, per informarmi di cosa stesse succedendo e del perché di tanto ritardo, avrebbe potuto pur farmela.
Non riuscivo più a stare fermo e allora, cercando di non trasmettere l’ansia a Paolo che, intanto, ignaro di tutto, si era messo davanti alla televisione e guardava i cartoni animati, cominciai, come scosso dalla tarantola ein attesa di questa benedetta telefonata, a passare da una stanza all’altra senza motivo. Sentivo solo il bisogno di muovermi, camminare.
Mentre l’orologio, con una lentezza esasperante,continuava acentellinare i minutie la mia ansia era ormai arrivata alle stelle, dentro di me stava crescendo, sempre più prepotentemente, anche il timore di scenari sempre più foschi. Ma quanto ci voleva per una visita al seno? Cosa le avevano detto di così serioche Damiana non se la sentiva di comunicarmelo? Per distrarmi andai in cucina e accesi il televisore: stavano passando le immagini di un TG delle tredici. Era l’una passata e ancora non avevo ricevuto sue notizie. Due ore per una visita? Impossibile. Stavo per chiamarla quando sentii squillare il cellulare che avevo tra le mani.
< Finitoadesso la visita, Luca. E’ una cisti. Niente di grave. Il medico mi ha dato … Luca ma ci sei? >
C’ero. Certo che c’ero. L’ascoltavo, ma non mi riusciva dirisponderle,difar uscire la voce. Avevo la bocca impastata e la gola seccae alla fine, con un liberatorio sospiro di sollievo,finalmente riuscii a risponderle che si, che la stavo ascoltando.
< E’ una cisti e il medico mi ha prescritto una pomata che dovrò spalmarci sopra tre volte al giorno e sino a venerdì prossimo, quando dovrò tornare per farmela togliere. >
< Allora tutto bene? Possiamo stare tranquilli? >
Le chiesi sedendomi,perché mi sentivo come un sacco vuoto che non riesce a reggersi in piedi.Svuotato.
< Si, stai tranquillo. Tra poco torno a casa e ti spiego meglio. Ora devo chiudere. Ciao.>
Ma qualcosa di quella telefonata mi aveva lasciato perplesso, dubbioso, e quando Damiana rientrò seppi anche il motivo. Le era stata fatta una visita approfondita ed era stata anche sottoposta ad una nuova mammografia, la qualeaveva confermatoquello che già si sapeva: la presenza di un nodulo. Ma di quale natura non si poteva ancora stabilire.
<…Senza dubbio deve trattarsi di una semplice cisti, dice il dottore, ma che comunque è preferibile intervenire chirurgicamente. No,non si può escludere ancora nulla. La certezza che si tratti proprio di unacistisi potrà averesolo dopo la sua asportazionee soprattutto dopo gli esami istologici e citologici, fattisui tessuti esportati.>
Mi rispose a fatica Damiana.E allora, con l’agitazione e la preoccupazione che ricominciavano a rifarsi strada dentro di me, perplesso insistetti:
< Allora non abbiamo risolto nulla? Niente. Dobbiamo aspettare venerdì per saperne qualcosa di più. >
< Intanto il dottore mi ha già detto che secondo lui si tratta di una semplice cisti. Ci siamo già accordati e ho preso appuntamento per il prossimo venerdì per toglierla. Poi si dovrà aspettare una ventina di giorni per conoscere l’esito degli esami istologici. Ci vuole un po’ di pazienza, questo si. >
Di nuovo il buio totale e depressione alle stelle. Dalle stelle alle stalleun’altra volta e allora mi lasciai andare, forse con troppa veemenza, perché Damiana replicò,quasi sgarbata e diversamente dal solito:
< L’educazione si succhia con il latte materno. E tu evidentemente sei stato svezzato solo con il biberon e il latte artificiale. >
Feci spalluccia ma,dovevo convenirne, aveva ragione. La mia preoccupazione si stava sommando alla sua e questo la stava deprimendo, anche se, più brava di me, riusciva a non far trasparire la sua ansia. Cercai di calmarmi... Di rasserenarmi no, perché mi sarebbe stato impossibile. Ci ho provato, non ci sono riuscito.
Quei sei giorni d’attesa li trascorremmo in una atmosfera surreale,in una specie di limbo; anche se per non farle pesare troppo la mia preoccupazione cercavodi comportarmi nel modo più normale possibile. Ma forse non ci ero riuscito perché era sempre lei a rassicurarmi, a cercare di farmi stare tranquillo. 
Io ero preoccupato per lei e lei era preoccupata per la preoccupazione che avevo io per lei. Un giro vizioso, fatto di ansia, apprensione, pensieri bui e tormentati che solo in parte, il venerdì successivo, alle diciannove e trenta,si dissolsero. 
Era stata una operazione ambulatoriale, con anestesia locale e la massa, ormai non più dura e compatta grazie alla pomata che l’aveva ammorbidita, estirpata. Adesso restava solo da attendere i venti giorni canonici per conoscere l’esito dell’ultimo e più importante esame, quello istologico.
Damiana a metà settimana doveva andare alla visita di controllo e a cambiare la fasciatura alla ferita e allora le suggerii di chiedere se poteva far anticipare l’esito degli esami che stavamo aspettando.
< Glielo ho già chiesto quando sono stata operata, ma il medico mi ha risposto che è la procedura che richiede tanto tempo. Ma mi ha anche detto di stare tranquilla che sicuramente è una cisti. E stai tranquillo anche tu, per favore. >
Continuando a fare le nostre cose normalmente e cercando di parlare il meno possibile di quella maledetta cisti, quei venti giorni trascorsero in una serenità forzata, sino a che, verso la fine del mese Damianaricevette la telefonata che l’invitava ad andare in clinica a ritirare l’esito degli esami. No. Chi l’aveva chiamata era una semplice infermiera del reparto e non era autorizzata a rilasciare diagnosi. Altra attesa e prolungata preoccupazione sino a quando, finalmente, potemmo leggereil referto: neoformazione di sotto cute di cisti sebacea…
Esito negativo. Di quell’interventochirurgicoora rimaneva solo una piccola ferita di due centimetri che si stava rimarginando. Una piccola cicatrice,sotto l’ascella destra, a ricordo di un mese trascorso tra ansia, nervosismo e preoccupazione. 
Il giorno successivo alla lettura dei risultati degli esami, mentre stavamo pranzando, le chiesi se si fosse finalmente rasserenata anche lei. E lei, guardandomi con compassione, almeno così lo percepii io, rispose di si, e poi volle aggiungere che quello che l’aveva preoccupata e fatta innervosire di più era stato il mio stato d’animo, non il suo, perché lei era sempre stata fiduciosa.
<Solo l’aver dovuto sostenere tutte quelle spese per gli esami, visite e il successivo intervento chirurgico, mi stanno dispiacendo. >
Aggiunse.
Io potei finalmente tirare un lungo e, questa volta, liberatorio sospiro di sollievo perché se ora pensava e si dispiaceva per le spese sostenute, voleva dire che il problema era stato veramente e definitivamente risolto.
Poi, quasi scusandosi, proseguì:
< Non me la sono sentita di affrontare quellelunghe liste d’attesa. Mi sono informata, ma con il pensiero di quel nodulo e con la mano sinistra sempre a sfiorarmi l’ascella, sarebbe stata un’attesa impossibile da sopportare.>
Io la guardai incredulo e stupito, come se a parlare fosse stato un fantasma e poi le risposi: 
< Hai fatto bene a fare così. Delle spese non me ne può importare di meno. Quello che conta adesso è cercare di ritrovare la serenità che per più di un mese quel maledetto nodulo ci ha fatto perdere. >
<Si. Hai ragione…>
E poi aggiunse:
< Ma sai, avendola vissuta da vicino, ora mi viene da pensare a quelle donne che non potendosi permettere tali spese sono costrette ad attendere la grazia di una chiamata. Una voce buona che le avverta che è arrivato il loro turno. Sapessi quante ne ho viste. Io non ce l’avrei mai fatta. >
Io le presi la mano e accarezzandole il visonotai che le erano spuntatedue piccole rughe verticali, che prima non c’erano, tra le sopracciglia. Colpa dell’imminente vecchiaia o causa dello stress accumulato? Questo non lo potevamo sapere, ma era ancora troppo giovane per preoccuparsi della vecchiaia.
Paolo che nel frattempo, non visto, si era versato del vino nel bicchiere e se lo stava per bere venne bloccato da Damiana che glielo strappò dalle mani.
< Paolo. Metti giù questo bicchiere. Sei impazzito? >
<Per questa volta lasciamolo fare. E’ giusto brindare e facciamolo tutti tre assieme. >
E dicendo così le versai il vino anche nel suo bicchiere e poi alzai il mio. Ma subito lo riabbassai perché mi resi conto che non c’era nulla su cui brindare.
Eravamo stati, a differenza di tante altre famiglie, solo tremendamente fortunati e quell’episodio, oltre che avvicinarci ancora di piùuno all’altra, ce lo aveva fattocomprendere. Ma quanta paura accorgersi di quanto potrebbe mancarmi Damiana.
 


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