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LA CASSA INTEGRAZIONE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

3
MAR
2016
Licenziamenti, mobilità, cassa integrazione, ricollocazione del personale in esubero. Tutti i giorni in televisione non si sente parlare d’altro. Aziende che chiudono per mancanza di commesse o che danno il ben servito perché ritengono più economico dislocare all’estero. Cortei di protesta che ottengono il solo risultato di bloccare le vie cittadine; sit-in permanenti davanti ai cancelli di fabbriche che stanno per chiudere, ma che ottengono il solo risultato di essere citati nei TG e di angosciare quelli che si trovano nelle loro stesse condizioni. 
E la cosa opprime sempre di più anche me, perché anch’io mi trovo nella loro stessa condizione. Sono un impiegato di un’azienda produttrice di poltrone, divani e da più di due anni, a causa della sempre tirata in ballo crisi, mi trovo in cassa integrazione e, come ho detto, le prospettive per il futuro non sono rosee. 
Chi è potuto andare in pensione lo ha fatto; chi è riuscito a trovare un nuovo ora sta lavorando altrove. Ma io che per vent’anni ho fatto l’impiegato negli uffici di un’azienda, che posso fare? Fossi stato un operaio, forse sarei riuscito a trovare un nuovo lavoro, ma di un ragioniere di quasi cinquant’anni, che se ne fanno? Così ora mi trovo a dovermi barcamenare con quel poco che mi passa l’INPS e intanto non ho niente da fare.
E allora per ingannare il tempo vado nella palestra del mio amico Ugo e lo aiuto. Ma questo lo faccio per passare il tempo e per non impazzire di noia dentro le mura di casa. 
Francesca, mia moglie, fa la parrucchiera da sempre. Ma anche lei, dopo aver lavorato per tre anni in un negozio di acconciature femminili, è stata licenziata perché a sua insaputa era stata assunta come apprendista e il suo contratto non prevedeva nessuna deroghe oltre quei tre anni. Francesca però non si è persa d’animo. Lei ha una professione che le permette di potersi gestire da sola e si è creata una clientela che quando la chiamano va a servire a domicilio. Lavora molto e guadagna abbastanza e comunque più di me. Questo però ha anche il suo rovescio della medaglia: è sempre fuori di casa. Meno male che i ragazzi sono grandi e ormai si sanno gestire da soli e tutti i giorni vanno a mangiare a casa dei nonni e spesso si fermano anche a dormire da loro. Ci abbiamo fatto tutti l’abitudine ed è un tacito accordo, tra nonni, mamma e nipoti, per non farci pesare troppo la situazione che stiamo attraversando. Io lo capisco e non dico niente, ma ci rimango male quando sono costretto a dover sostenere lo sguardo dei miei suoceri, perché non capisco mai cosa stia passando loro per la testa quando mi vedono o parlano di me. 
E anche con Francesca le cose non stanno andando più come prima. E’ spesso nervosa e se le chiedo il motivo lei taglia corto e mi risponde che è solo stanca. Ma lo so, le cose non stanno così. Certo sarà anche stanchezza, ma sentirsi addosso tutto il peso e la responsabilità della famiglia e il dover tirare su, praticamente da sola, due figli, le crea preoccupazione e stress. Mai uno svago. Mai una volta al cinema. E non ricordo nemmeno da quanto tempo non usciamo assieme per fare una passeggiata o siamo andati a farci una pizza. Ormai da due anni le giornate si stanno susseguendo sempre uguali, e per me nella noia e nell’angoscia costanti. 
Francesca la mattina prepara la colazione, rassetta la casa e aspetta che i ragazzi escano per andare a scuola, dopo telefona alla prima cliente per sapere se sia confermato l’appuntamento e poi esce rivolgendomi il solito: < Ciao. Non so quando torno. > < E per il pranzo? > Le chiedo, mentre si sta tirando dietro la porta d’ingresso. Ma è già uscita e non mi ha risposto e allora eccomi qui da solo a guardarmi intorno. Non so che fare e mi affaccio al balcone e allora scorgo gente sui marciapiedi che si spintona per raggiungere la loro meta. File di macchine incolonnate che cercano di avanzare su quella via ormai intasata dal traffico e di pedoni: ma dove vanno tutti quanti? Possibile che tutti abbiano da fare e solo io sia condannato a dover sottostare a questa situazione di semi arresti domiciliari? Ma che ci sto a fare qui da solo? Troppo silenziosa e vuota questa casa. E allora, per non lasciarmi vincere dalla depressione, mi vesto ed esco  per andare in palestra. Quasi sempre arrivo assieme ad Ugo. Poi giungono i primi clienti: quasi sempre signore che si nascondono dietro enormi occhiali da sole; che alle dita portano anelli grossi come orologi e al collo penzolanti collane lunghe e grosse come finimenti per cavalli. Anche il loro abbigliamento non è da meno, perché si vede che indossano tute costosissime e certamente appropriate, ma che non hanno mai assorbito una sola goccia di sudore. Passandomi davanti mi salutano con noncurante indifferenza e io mi soffermo a guardarle mentre mi passano davanti e forse per questo pensano che le stia ammirando in tutto il loro splendore. Perché le vedo che si fanno una risatina e si scambiano degli sguardi compiaciuti prima di sparire dietro la porta scorrevole della palestra. 
Se Francesca mi telefona per dirmi di non aspettarla per il pranzo, spesso rimango in palestra e lascio andare Ugo a mangiare con la sua famiglia. C’è sempre qualcuno che a quell’ora arriva trafelato in palestra, con il suo borsone pieno di indumenti sgualciti e, approfittando della pausa mensa per allenarsi. Quando torna Ugo me ne vado. Non perché abbia qualcosa da fare, anzi. Solo per evitare i soliti discorsi di quelli che sono nelle mie stesse condizioni ma che, a differenza mia, hanno ancora la voglia di riunirsi e parlare sempre delle stesse cose: licenziamenti, mobilità, cassa integrazione e che frequentano la palestra solo per potersi guardare in faccia e criticare. Come si dice: “Mal comune, mezzo gaudio”. 
Di solito prima di andarmene chiamo i miei figli per sapere se hanno bisogno di qualcosa, se vogliono che vada a prenderli. Ma la risposta già la conosco, perché è scontata: cosa potrebbero volere da me? Nulla. La paghetta settimanale gliela passa la mamma e i supplementi per gli extra i nonni, e se hanno bisogno di altro o di andare da qualche parte, trovano subito chi si precipita ad accontentarli. Io sono solo quel padre ingombrante che loro, per evitare di dover dare troppe spiegazioni, quando sono costretti perché glielo chiedono, dicono semplicemente che sono un ragioniere. Misera consolazione. 
Penso che a quasi cinquant’anni uno avrebbe il diritto di pensare al futuro con una certa tranquillità. Cominciare a rilassarsi. Aver raggiunto una certa tranquilla economica. Essere più sereno. Invece eccomi qui a casa da solo a mangiare due uova al tegamino che non sanno di niente e che mangio senza fame. E ho anche paura di non riuscire più a reggere questa condizione di semi mantenuto. Quanti progetti, quanti sacrifici avevamo fatto per mettere da parte quella somma che doveva servire a ben altro e che invece è stata continuamente intaccata per far fronte a quelle esigenze impreviste.
Il Papa ebbe a dire che la mancanza di lavoro toglie la dignità all’uomo e io vorrei aggiungere che questo era già conclamato. Il fatto è che non toglie solo la dignità, ma toglie soprattutto la serenità, la stima di se stessi e anche l’affetto dei propri cari. Si, l’affetto di chi mi sta vicino non lo percepisco più, anche se fanno di tutto per non farmelo pesare, per farmi sembrare che tutto scorra nella normalità più assoluta. Non ne parlano, ma questa situazione aleggia su di me come una cappa fuligginosa. Ma quante umiliazioni dovrò ancora subire prima di uscire da questa situazione di limbo forzato: i ragazzi hanno un telefonino, una felpa, dei jeans nuovi? Glieli hanno regalati i nonni. Le ricariche dei cellulari? Provvede la madre. Ormai i miei figli non chiedono più niente a me. Per ottenere quello che desiderano si rivolgono direttamente alla madre o ai nonni, perché sanno di venire accontentati immediatamente. Io lo so e incasso. Lo farei anch’io se avessi la loro età. Ma quanta umiliazione provo. Passano i compleanni e gli onomastici e io posso permettermi, con un groppo alla gola, solo di fare loro gli auguri. Una volta non era così. Quando lavoravo c’era disponibilità e per questo più armonia. Si usciva nei fine settimana. Si faceva baldoria. Ora mi sembra che tutti si siano allontanati, anche gli amici più intimi. O forse sono stato io a defilarmi con delle scuse sempre più banali e sempre più difficili da trovare e tutto perché non sono più in grado di sostenere le spese per un fine settimana in qualche agriturismo o andare a fare una semplice pizza il sabato sera. E l’ho già detto, anche il rapporto con Francesca non è più lo stesso e siamo diventati quasi dei separati in casa. Comunichiamo più con messaggi che a parole: “non torno. Faccio tardi. Ho un impegno che non avevo previsto”. E io rispondo con il mio solito okay, va bene. Poi torno più solo di prima e senza avere nulla da fare per distrarmi.
Che età insulsa la mia: troppo giovane per andare in pensione e troppo vecchio per trovare un lavoro. Troppo giovane per passare le giornate ai giardinetti coi vecchi e troppo vecchio per stare con i giovani. Dovrei trovarmi un hobby, come mi ha consigliato qualcuno e ci ho anche pensato, ma poi ho desistito. Non mi sembra il caso di bighellonare mentre Francesca è al lavoro e sta lavorando anche per me. E allora eccomi qui ad aspettare che si faccia notte per andare a letto e poi attendere sveglio che si faccia di nuovo giorno. 
Ma ecco la novità: questa mattina nella cassetta delle lettere ho trovato della posta. Chi mi scrive è l’azienda per cui lavoravo: cosa vorranno ancora da me? Cosa mi devono comunicare? Non ho il coraggio di aprirla e pertanto la lascio chiusa sulla mensola dell’entrata. Ci penserà Francesca, quando rientra,. Aperta la busta Francesca comincia a leggere le prime righe e io percepisco le parole come un rumore di fondo, un disturbo fastidioso e confuso e poi scoppio in un pianto dirotto. Finalmente posso tornare a vivere, e anche lo sguardo di Francesca non mi sembrava più come quello di prima, perché abbracciandomi mi sorride. 
“ Egregio signor Romano Nardo, Le comunichiamo che, a seguito dell’avvenuta ristrutturazione e della successiva revisione dei quadri e del personale necessari al nuovo assetto dell’azienda, la S.V. è invitata a presentarsi, il prossimo primo del mese, per essere inquadrata e ricollocata, nella sua qualifica funzionale, presso l’ufficio contabilità ed economato dell’azienda.
Distinti saluti “.
 


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