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IL GT ROSSO

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

10
MAR
2016
< Non è un danno da poco. Ci vorrà almeno una settimana per rimetterla a posto. Bisogna tirare giù il motore, rifare la testata e le valvole, cambiare le cinghie e poi testare tutto il resto. >
Così mi disse il capo officina, quando tentò di mettere in moto la macchina che gli avevo portato al traino di un carroattrezzi. Il danno era serio e lo avevo capito subito, ma la macchina mi serviva per lavorare e allora cercai di far anticipare i tempi della consegna, ma non ci fu verso. Era un lavoraccio e non potevano accontentarmi. Potevano però mettermi a disposizione un auto sostitutiva. Ce n’era una che avevano ritirato due giorni prima come permuta ed era un GT marca straniera: sportivo, due portiere, cerchioni in lega e colore rosso fiammante. 
< E me la dareste sino a quando non è pronta la mia? >
Chiesi perplesso, continuando però a guardare quel bolide che senza dubbio doveva essere stato di qualcuno che se lo poteva permettere. Ma in fin dei conti, per una settimana avrei potuto provare anch’io l’ebrezza di sentirmi un riccone.
Dopo le solite formalità e aver appiccicata la targa prova su quella originale mi consegnarono il GT, avvertendomi però che era necessario che andassi subito a fare rifornimento: 
< E’ un otto cilindri e beve un po’.>
Concluse chi mi stava consegnato le chiavi.
Gran bella macchina: sedili avvolgenti e in pelle, cruscotto sportivo, cambio automatico e che ripresa: altro che da zero a cento coperti in dieci minuti dalla mia macchina. Qui se non ci si aggrappa al volante, quando si pigia l’acceleratore si viene schiacciati contro lo schienale del sedile. E’ una gran bella macchina e già al distributore ho avuto modo di notare come la stessero osservando gli altri automobilisti. 
Sì, per una settimana sarei andato in giro con questo bolide e avrei fatto anche crepare d’invidia qualcuno, magari qualche collega o Lorenzo, quel mio amico sempre sopra le righe che crede di sapere tutto di tutti e di tutto.
Questo abbigliamento con giacca e cravatta però non si addice proprio al mezzo, meglio tornare a casa e cambiarsi. Perciò, lasciata la macchina in doppia fila, salgo per indossare qualcosa di sportivo: camicia aperta, sciarpetta al collo, giubbotto di renna, jeans e scarpe leggere. Non ci ho messo più di cinque minuti ma quando torno in strada ecco la multa appiccicata sotto il tergicristallo per sosta in doppia fila. Mi guardo intorno ma non c’è l’ombra del vigile. In compenso sento una voce che dice: 
< Ma che ti importa? Se hai una macchina così i soldi non ti mancano di certo. >
Ma si, chi se ne frega. Prendo la multa e me la infilo in tasca e anche il lavoro lo riprenderò domani, oggi voglio divertirmi, e allora via con il vento tra i capelli. Prima però devo fare un salto a ritirare le camicie pulite e così, quando arrivo davanti alla lavanderia, vedo la commessa che allunga il collo per vedere chi stesse seduto in quella macchina. Con noncuranza scendo, entro, saluto e presento la ricevuta.
< Ah, è lei signor Giorgio. Chissà chi mi credevo… >
Non rispondo. Pago, ritiro il pacco, saluto ed esco. Ma dove lo metto? Il bagagliaio è così piccolo che quasi non ci entra niente e allora lo devo pigiare tra il campionario e la borsa.
La seconda passata voglio farla davanti al bar di Lorenzo e poi magari fermarmi davanti alla sartoria della mamma di Eleonora per chiederle se sono pronti i pantaloni che mi doveva orlare. Quando arrivo la signora aggrotta la fronte e, guardandomi attraverso i suoi spessi occhialini, mi dice di no, che i pantaloni non sono ancora pronti, io le rispondo che non ha importanza e intanto sbircio nel retro per vedere se c’è Eleonora.
< Eleonora è uscita per delle commissioni e i pantaloni puoi venirli a ritirare in serata. >
Che antenne questa impicciona. Esco e salgo in macchina mentre la signora mi sta squadrando perplessa da dietro la vetrina. Alzo la cappotte perché sta rinfrescando, poi metto in moto e via. Mi piace sentire il rombo del motore e allora al semaforo, mentre aspetto, affondo l’acceleratore. Scattato il verde riparto e passo lentamente davanti alle vetrine del centro perché mi piace vedermi riflesso in questo bolide, e anche il sentirmi osservato mi provoca una certa emozione. Giro sino a notte fonda e poi vado a dormire. Al mattino apro il pacco delle camicie pulite ma le trovo tutte sgualcite: il bagagliaio del GT in effetti è troppo piccolo, ma che m’importa? Rimetto quella di ieri ed esco.
Mentre sto facendo benzina mi squilla il cellulare: è il mio capo area che mi sta cercando. Vuole incontrarmi perché ha delle cose urgenti da comunicarmi e allora ci diamo appuntamento in un bar del centro. Quando lo vedo do un colpo di clacson e lui si gira, scuote la testa e si avvicina; ci salutiamo e poi viene subito al dunque: c’è bisogno di aumentare le vendite. Bisogna darsi da fare per raggiungere gli obbiettivi prefissati. Dalla sede centrale gli hanno comunicato che rispetto ad altri settori noi siamo arretrati e ci sono dei prodotti che non stanno raggiungendo le quote previste. Siccome bisogna darsi da fare, aggiunge di voler vedere i cataloghi perché mi vuole indicare i prodotti che dovrò stimolare all’acquisto. Io apro il bagagliaio, ma mi accorgo di averli lasciati nella mia auto: troppo ingombranti, non ci stavano nel GT. Ritorno dal capo e mentendo gli dico di averli lasciati da un cliente per farglieli visionare e allora lui, che ha capito tutto, sbotta:
< Hai scelto proprio il momento giusto per cambiare la macchina. Che te ne fai di una sportiva così potente? Ti servirebbe piuttosto un furgone spazioso per contenere tutti i cataloghi e il campionario completo. >
Io cerco di spiegargli che non ho cambiato la macchina e che questa l’ho avuta solo in attesa che riparino la mia, ma lui non mi sente perché è già sparito a bordo del suo scooter, lasciando dietro di se una scia puzzolente. Okay. Mi darò da fare, da domani però. Oggi ho ancora voglia di divertirmi. 
Peccato che la giornata sia fredda e nuvolosa e che non possa aprire il tettuccio. Arrivata l’ora di pranzo vado a mangiare, ma non è il caso che con questa macchina mi faccia vedere al solito fast-food, meglio un bon ristorante, magari elegante e con annesso parcheggio custodito. Percorro il viale ghiaioso e il custode del parcheggio ha già sentito il rombo del motore e subito si sbraccia per indicarmi il luogo dove lasciare la macchina: 
< Dottore da questa parte. Si accomodi, venga avanti. Ancora un po’ dottore. Ecco, va bene così. >
Con questa macchina sono diventato anche dottore e allora, assumendo una dignitosa noncuranza e, parcheggiato tra le altre vetture, tutte più o meno dello stesso tenore del GT, do la mancia al custode. Intanto sono arrivati altri clienti e altri ne stanno arrivando e allora, per vedere l’effetto che fa su di loro il mio bolide, facendo finta di cercare qualcosa all’interno dell’abitacolo, mi soffermo un attimo, ma nessuno sembra accorgersi di nulla. Deluso lascio il parcheggio e mi avvio verso il ristorante e ne esco, dopo un’oretta, stordito e con il portafoglio alquanto alleggerito.
Riprendo il mio GT e mentre faccio manovra scorgo che la spia del carburante continua a lampeggiare. I 20 euro che ho messo al mattino non sono bastati nemmeno per fare una decina di chilometri. Meglio andare a rifare carburante e questa volta mettercene magari 50, di euro. Ma quanto ho speso di benzina in due giorni?
Nel pomeriggio mi viene voglia di provare le prestazioni di questo mostro su quattro ruote e allora mi avvio sulla superstrada, ma a causa degli ingorghi e di qualche incidente percorro 4 chilometri in un’ora. Pazienza, sarà per un’altra volta, ora devo andare assolutamente da un acquirente che mi sta aspettando, è un vecchio volpone, ma anche un ottimo cliente. 
Quando mi vede varcare il cancello, mi squadra e subito andiamo nel suo ufficio ma, mentre sto per iniziare a scrivere lui mi ferma la mano e inizia la sua solita sicumera. Ma questa volta, con maggiore irruenza, mi dice che la sua clientela continua a diminuire; le maestranze costano sempre di più e che pertanto, per evitare di dover licenziare qualche dipendente o, peggio, andare a finire lui stesso sul lastrico, si deve muovere con i piedi di piombo. Ed ecco che siamo arrivati al dunque: comincia a lamentandosi dei prezzi troppo alti dei nostri prodotti e soprattutto della scarsa attenzione che la mia ditta, a suo dire, dimostra nei suoi confronti.
< La sua azienda, invece di mandare in giro i suoi collaboratori con macchine da passerella hollywoodiana, dovrebbe avere più rispetto dei vecchi clienti come me. Lo sa che io vado in giro ancora con la mia vecchia berlina e che non la cambio perché non me lo posso permettere? Glielo dica a chi di dovere, se no mi prenderò io questo onere e le assicuro che mi farò sentire. >
Per chiudere il contratto e soprattutto per non perdere il cliente, ho sorbito per due ore il racconto della sua vita e anche quella della sua azienda e alla fine ho dovuto fargli anche uno sconto extra, che è andato a gravare tutto sulla mia percentuale di guadagno. In poche parole ci ho rimesso.
Di nuovo in macchina torno dalla sarta e così, con la scusa di ritirare i miei pantaloni, spero di incontrare Eleonora. Arrivato davanti alla sartoria mi fermo e scendo. Dietro il bancone c’è proprio lei, Eleonora, che mi vede ma rimane seduta. Io la saluto e lei di rimando chiede:
< Che vuoi Giorgio? >
Le rispondo che dovrei ritirare i pantaloni e poi cerco di stemperare la sua alterigia con l’ironia:
< Ti porterò a ballare. Ti farò sognare. Tra le nuvole ti farò volare. >
< Ma che dici? Ce l’hai proprio con me? >
Mi chiede alzandosi. Io le rispondo di si e, indicandole con la mano la fuoriserie che ho parcheggiato proprio davanti alla sartoria, le chiedo se vuole a fare un giro con me. 
Lei mi osserva, guarda fuori e poi torna a posare lo sguardo su di me e dice:
< Il nuovo che si mischia con il vecchio, come un rammendo di un calzino. >
Non capendo chi sia il nuovo e chi il calzino, piccato la saluto ed esco, ma mentre sto aprendo lo sportello Eleonora mi raggiunge e mi dice che per uscire con lei non c’era bisogno di tante pagliacciate o arrivare con la macchina dei cartoni animati. Bastava glielo avessi chiesto con un sorriso, o magari porgendole un fiore. 
< Torna domani col tuo vecchio catorcio e forse ti dirò di si. Ciao sbruffone, a domani. >
Appena ripartito mi squilla il cellulare e io, sperando sia Eleonora, rispondo, ma non è lei. E’ il mio capo che mi informa che per l’indomani è stata indetta una riunione del gruppo e che dovrò presenziare anch’io e categorico aggiunge:
< E che non ti venga in mente di farti vedere in ditta con quel pugno nell’occhio che è la tua macchina. >
Chiudo la comunicazione nel momento in cui si accende la solita spia del carburante. Ma questa volta non vado a fare benzina, lentamente mi allungo sino all’officina per lasciare il GT e, se proprio non fosse ancora pronta la mia, chiamerò mio padre per farmi prestare la sua vecchia fiat.
 
 


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