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ILARIA, L´AMICA D´INFANZIA.

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

17
MAR
2016
Quella mattina, non so dopo quanto tempo, per la prima volta,l’ho rivista.
Per difendersi dal freddo mattutino si stava stringendoil cappotto sul petto e una volta trovato posto tirò fuori dal sacchettinouncornetto e lodivorò in un attimo. Si aggiustò anche i capelli che le stavano cadendo sulla fronte e infine, tenendo strette in mano due buste,si girò per guardare fuori dal finestrinoma senza vedere niente perchésembrava assorta nei suoi pensieri. 
Siamo cresciuti assieme in quel condominio di periferia. Abbiamo frequentato le elementari e le medie insieme, giocato nel cortile con gli altri bambini ed eravamo ragazzi quando le nostre famiglie cambiarono casa. Rimanemmo comunque,ancora per qualche tempo, in contatto,incontrandociin casa di comuni amicio in occasione di feste di compleanno ma poi ci perdemmo di vista edanche le telefonate si ridussero a qualche chiamata sporadica, alla fine anche quelle cessarono del tutto.Edora era li, a duepassi,che continuava a guardare fuori dal finestrino appannato. 
Avrei voluto avvicinarmi per farle una sorpresama l’autobus era così affollato che non riuscii a muovere un passo e allora, quando la vidi scendere laraggiunsied appena messo piede sul selciato, la chiamai:
« Ilaria. »
Lei girò la testa sopra la spalla sinistra, si voltò e sgranando gli occhi indietreggiò di un passo.Stavo rimanendo male al pensiero che non mi stesse riconoscendoma poi si aprì in un sorriso commovente e venne a gettarmile braccia al collo:
«Daniele che piacere. Come stai? »
Mi sembrava di essere sceso in quel momento da una barca perché sentivo il terreno traballare sotto i piedi. La sollevai in alto e la feci girare piano piano prima di posarla di nuovo a terra e poi restammo così, per un momento a guardarci,come se non sapessimo da dove cominciare. Alla fine riuscimmo a ritrovare la naturalezza di un tempo e ci lasciammo andare a chiederci l’un l’altro, di noi.
Faceva la commessa e quella mattina aveva fatto tardi, perciò aveva fretta di raggiungere il posto di lavoro e voleva affrettarsi perché doveva prima affrancare e spedire le due buste che tenevain mano. Prima di salutarci ci scambiammo i nostri numeri di cellulare e le strappai anche la promessa di vederci in serata, dopo la chiusura dei negozi.
« Guarda che esco alle venti passate. Sicuro di avere la pazienza di aspettarmi? »
Sorridendo le garantii di si e poi, visto che dimostrava di avere proprio fretta, mi offrii di affrancare e spedire io le due letterema lei, soppesandole tra le mani, mi disse che alla fine non erano né importanti né urgenti:
« Sono due delle tante domande di assunzione che sto spedendo a destra e a sinistra. Non preoccuparti. Ciao eda stasera, allora. Guarda che io ci sarò. Mi raccomando niente bidoni. Ci rimarrei male. »
Arrivò nel vecchio negozio di tessuti con solo cinque minuti di ritardo, ma bastarono per attirarsi la disapprovazione della proprietaria, una corpulenta e imbellettata signora. Ilaria sapeva di essere vista di buon occhio perché era brava nel suo lavoro, meglio delle altre commesse che costituivano il resto del personale, ma la matrona, per dimostrare alle sue colleghe che anche lei era come tutte le altre, le rifilò comunque un bel rimbrotto. 
Per questo,sentendosi mortificata dai frequenti richiami della titolare e dopo sei anni di quel lavoro che fra l’altro la impegnava l’intera giornata e da un po’ di tempo in qua anche nei giorni festivi, cominciò a sentirsi inquieta e quelle due buste che doveva spedire ne erano laconferma.
Alle venti e quaranta entrò nel bar e con gli occhi cominciò a cercarmi. Io mi alzai, le andai incontro e l’invitai a sedersi.
« No, ti prego Daniele. Usciamo. Sono stanca di stare chiusa tra quattro mura. Ho voglia di camminare. Ti dispiace se facciamo due passi? »
Era cambiata e non era più la ragazzina di un tempo. Ora era una bella donna che vestiva con eleganzae sembrava veramente contenta di avermi incontrato dopo tanto tempo. 
Facendo un giro in centro, tenendoci sottobraccio,le chiesi della sua famiglia e così seppi che il padre da due anni entrava ed usciva dagli ospedali a causa di un’infezione polmonare. A sua volta mi chiese della mia e le risposi cheil mio invece era morto da poco.Poi, forse per evitare di lasciarci trascinare in una spirale di ricordi tristi, Ilaria cambiò discorso.
« Sai, in negozio la padrona ci vuole vedere così, eleganti e possibilmente in gonna, perciò siamo state costrette a mettere al bando jeans e felpe colorate. Ma tu, cosa stai facendo di bello e perché porti giacca ecravatta sotto questo loden blu scuro che ti fa sembrare un accademico d’altri tempi? »
Le risposi che lavoravo in banca e che anche lì c’era la regola di mantenere una certa sobrietà nel vestire, poi, quando mi chiese della mia vita sentimentale, scuotendo la testa, le risposi con due semplici parole: 
« Un disastro. »
Si stava facendo tardi e quando mi accorsi che sbirciava l’orologio le chiesi se doveva tornare a casa o se c’era qualcuno che la stava aspettando.
« Sono solo stanca Daniele. E’ da questa mattina che sono fuori di casa,con un semplice panino,mangiato durante la pausa. Adesso si sono inventati anche l’orario continuato e domani si ricomincia. »
Siccome anch’io ero fuori dal mattino e avevo un certo languorino, l’invitai a mangiare una pizza con mema rispose di no. Era stanca e preferiva tornare a casa. Promise peròche ci saremmo rivisti presto. 
« Ora abbiamo i nostri numeri di cellulare e sarà più semplice contattarci e trovarci. » 
L’accompagnai alla fermata e mentre stava salendo sull’autobus le buttai li:
« E della tua vita sentimentale cosa mi dici? »
« Due sole parole: un disastro. »
Durante la settimana era quasi impossibilevederci e siccome avevauna sola domenica su tredi riposo, per poterci incontrare dovevamo fare i salti mortali. Ci sentivamo spesso, questo si, soprattutto sul tardi, quando per ore, chiusi nelle nostre stanze, ci raccontavamo di noi e si progettava di trascorrereun’intera domenicaassieme: risveglio tranquillo, passeggiata mattutina in collina, pranzo in trattoria e poi via, all’avventura sino a tirare tardi. E così, appena arrivata la sua domenica libera l’andai ad aspettare alla fermata dell’autobus e poi, visto che il risveglio era stato oltremodo più che tranquillo, ci avviammo direttamente verso la trattoria,sperando di trovare ancoraun angolo libero.
Mentre stavamo mangiandomi accorsi che continuava a guardami. Distoglieva lo sguardoe poi tornava a fissarmi e quando si rese conto che stava suscitando la mia curiosità, disse:
«Hai gli occhi più belli che abbia mai visto in un uomo. Non me li ricordavo così chiari. »
Detto questo deviò lo sguardo sul piatto e rimase così, con le ciglia socchiuse, a fissarlo. Io le presi la manoe lei si sporse sul tavolo per darmi un bacio. Tornata a sedereabbassò la voce e ridacchiando,forse per l’audacia che stava dimostrando, aggiunse: 
« Senti ho delle ferie arretrate, ma in questo periodo è impossibile, c’è molto lavoro. Ma tra una ventina di giorni, quando sarà passato questo periodo, se la padronami lascia libera tre giornie se non me li concede le pianterò un casino, perché non ce ne andiamo da qualche parte? Non molto lontano. Magari in un posticino sul mare. Cosa ne dici Daniele? »
Io abbandonai le posate sul tavolo, spalancai gli occhi e incredulo chiesi:
« Noi due da soli? Lontani da tutti per tre giorni?
« Caspita. Non ti facevo così intelligente. »
Aggiunse ridendo.
« Sarebbe meraviglioso. »
Le risposi e lei, dandomi dei colpetti sotto il tavolocon la punta delle scarpe:
« Proprio così. Sarebbe bello riallacciare la nostra amicizia e magari conoscerci meglio. Che ne pensi? »
« Ma cosa diranno tuo padre e tua madre? Che scusa ti dovrai inventare? »
Le chiesi, preoccupato che il progetto potesse andare a monte. Ma lei mi rassicurò con una risatina sorniona. 
Il piano incontrò ovviamente qualche ostacolo. La titolare le disse che era impossibile concederle tre giorni consecutivi e anche i genitori cominciarono a farle mille domande, ma alla fine, riuscita nel suo intento, trovammo un posticino carino in riva al mare epartimmo.
Senza dirglielo avevo acquistato un anellino d’oro, roba da poco che non voleva significare nulla, se non diventare il simbolo di quei tre giorni che volevamo trascorrere assieme. Volevo darglielo appena arrivati, ma guardandolamentre stava disfacendo le valige, ricacciai in tasca l’anello e avvicinandomi la presi tra le braccia e la baciai.
« Era ora. »
Esclamò, lasciando cadere ciò che teneva in mano e stringendosi a me.
Trascorremmo quei tre giorni facendo passeggiate sulla spiaggia, mangiando panini e andando nei locali del postoper poi, a notte fonda,buttarci esausti sul letto, uno nelle braccia dell’altra, per coronarequel breve ma intensosoggiorno.
Il terzo giorno, dopo aver rimesso le nostre cose nelle valigie, salutammo la padrona della pensione eci mettemmo in viaggio. Assorto nei miei pensieriguidavo in silenzio, ormaicerto che qualcosa di importante, di molto importantestava nascendo dentro di me e altrettanto sicuro che quei tre giorni non erano stati solo un’avventura, ma molto di più. Volevo dirglielo, farglielo sapere e cosìle proposi una sosta. Lei fece cenno di si e quando sulla strada trovammo un chiosco con i tavolini all’aperto ci fermammo.
Guardando lontano ma senza distinguere nulla,bevemmo in silenzio il nostro caffè e poi Ilaria, senza guardarmi, chiese:
« Hai un fazzoletto, per favore? »
Mettendo le mani in tasca trovail’astuccio che conteneva l’anello e allora glielo allungaiassieme al fazzoletto.
« E’ per te. Niente di importante. Però vorrei che tu lo tenessi a ricordo di questi tre giorni. »
Lei lo prese, ne estrasse l’anello e mentre alla luce del sole la piccola pietra brillava in modo abbagliante, come fosse stato un vero diamante, asciugandosi una lacrimarispose:
« Per me invece è importante. Molto importante. E vorrei che lo fosse anche per te,perché mi dispiacerebbe se questi tre giornirimanessero nella tua mente come una semplice avventura passeggiera... »
Stavo per risponderle di no, che per me non era stata un’avventura e stavo anche per aggiungere cheora sentivo d’amarla e chenon potevo più rinunciare a lei ma con le ciglia umide e con un leggero sorriso,mi mise una mano sulle labbra e proseguì:
« Ho solo il rammarico di essere stata io a proporti questa evasione e ora mi sta tormentando il dubbio che tu possa giudicarmi male. Come forse starai già facendo. Ma avevo voglia di stare con te, ma non da ora, da sempre. Da quando frequentavamo le mediee tucontinuavi a correredietro a un pallone, senza degnarmi di uno sguardo. »
Mi alzai e la trassi dolcemente a me. Ci guardammo l’un l’altra per un tempo forse breve forse lungo, un tempo sospeso fuori dal tempo,poi le infilai l’anello al dito e latrassi a me per baciarla, mentre le sue lacrime di gioia mi stavano inumidendo le guance.
 


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