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SAPERSI LIBERARE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

31
MAR
2016
Sergio era un ragazzo modello. Studioso di archeologia e filosofia, orfano di entrambi i genitori, con un patrimonio vastissimo da generazioni. Sposatosi a ventisei anni con una donna che conosceva appena e che non amava, tre anni dopo viveva ormai da solo in un’elegante casa di campagna dove trascorreva il suo tempo attendendo che i giorni si fondessero con la notte. La libertà che aveva cercato di conquistare, sfuggendo ai condizionamenti e alle regole che il matrimonio gli voleva imporre, gli aveva ridato sì un senso di liberazione ma non la serenità perduta.
All’inizio era sensazione, dolcezza, profumo così forte da stordirsi e quello che contava per lui era il presente, l’attimo, ogni attimo, perché desiderava viverlo in maniera assoluta e solo con Marcella: ”Con lei la gioia mi attende ogni giorno” soleva dire.
Ma il processo che in seguito aveva scatenato il desiderio di libertà era stato proprio il rapporto con Marcella, a cui lui si era da prima abbandonato completamente in una sorta di vertigine e con una inaspettata vitalità dei sensi, ma poi, col tempo, tutto si era affievolito, svanito. Per Marcella aveva abbandonato tutto, studi e ricerche comprese; poi la crisi, scoppiata quasi subito dopo il matrimonio e il loro trasferimento in campagna, dove progressivamente si era trasformata in un crescendo di litigi e mutismo e, infine, nell’indifferenza reciproca. E questo malessere durò sino al giorno in cui la moglie chiamò un taxi e se ne andò di casa, lasciandolo finalmente solo con la sua ritrovata libertà e solitudine.
Dopo la partenza di Marcella, Sergio ruppe tutti i ponti col passato e si calò con rinnovato slancio nella sua nuova realtà quotidiana, ma subito si accorse e disse che: “Il sapersi liberare è niente: il difficile è saper essere liberi”. E questo per lui era diventato un’angosciante problema che non riusciva a risolvere. Adesso si sentiva libero ma anche consapevole che la sua incapacità di prendere una decisione lo stava portando sull’orlo di un baratro e per questo si stava chiedendo che genere di libertà fosse mai quella, se la percepiva come un peso opprimente che gli stava togliendo ogni volontà e capacità di reagire.
Agli amici, accorsi al suo appello, confidò paure e inquietudini, nonché di aver raggiunto una libertà senza scopo, che gli stava togliendo ogni interesse e volontà: “Che libertà è dunque questa, se mi sento schiacciato dalla solitudine?”
Gli amici non lo abbandonarono, non lo lasciarono solo e lo confortarono a lungo e ne conseguì il suo l’impegno a voler cancellare in sé tutto ciò che era frutto del passato, nonché la disastrosa esperienza di quel matrimonio giovanile. Tuttavia la rottura con il passato, con i propri fantasmi, si fece attendere. Per debolezza, mancanza di volontà e fingendo coerenza, Sergio preferì adagiarsi su un compromesso di comodo, lasciandosi andare col vivere senza radici, senza regole, in uno stato di perenne precarietà psicologica che però gli impediva qualsiasi legame con chi gli stava vicino, continuando altresì ad adottare, come unico criterio di giudizio, il piacere momentaneo che riusciva a procurarsi. Adesso la sua attenzione si era spostata su cose prima impensabili per lui e la sua esistenza si era trasformata in una caccia esasperata dell’atto istintivo, al piacere momentaneo: una sorta di carpe diem di Orazio.
Infatti, come estrema conseguenza di questo suo atteggiamento, perse ogni concezione del tempo e dei valori: “Ognuno decide da solo e per sé quello che sono il bene e il male”, ripeteva a quanti cercavano di farlo desistere da quel comportamento fuori dalle regole.
Ma così facendo egli credeva di potersi liberare da quel torpore che lo stava opprimendo, da quella condizione di borghese insoddisfatto e marito deluso. E si era apparentemente convinto. Tuttavia l’immagine chedava di se era ben lungi da quella di uomo libero, e la spiegazione doveva essere ricercata nell’assenza di qualsiasi tentativo di razionalizzare il suo presente. Liberatosi dell’ambiente familiare, in cui il contatto quotidiano con la moglie lo aveva reso succubo, taciturno e introverso, ora aveva iniziato una nuova vita: semplicemente passando un colpo di spugna su quella precedente e preferendo vivere alla giornata, senza freni né pregiudizi. Ma tuttavia ciò non era bastato, perché si rese conto che per essere felice esistevano maniere diverse da vivere, più semplici e meno impegnative. Ma nonostante tutto non arrivò mai a sentirsi veramente coinvolto in quel turbinio di sensazioni incontrollate, né riuscì a sentirsi completamente felice, né tantomeno sereno e allora, ossessionato com’era da quel suo perpetuo malessere, spostò la sua attenzione, per spiarne con curiosità i comportamenti, sulle persone che lo circondavano, e quella caccia si trasformò in un moto istintivo, una ricerca spasmodica dell’equilibrio che lui aveva smarrito e che non riusciva più a ritrovare.
In quello stato di estrema afflizione e per cercare di riordinare le idee, Sergio ripercorse a ritroso le ultime tappe della sua vita, ma nonostante tutti gli sforzi che faceva per cercare di proiettarsi fuori di essa, ne conseguì una sofferenza ancora maggiore e allora, come ultima disperata alternativa, si disfece di buona parte di ciò che possedeva: terre, denaro, immobili e tutto ciò che lui pensava gli fosse d’ostacolo alla sua volontà di vivere come voleva. Comunque, non arrivò mai ad un atteggiamento di rivolta, a lottare contro un mondo che contrastava i suoi piani, ma preferì distaccarsene così come aveva fatto con sua moglie e lasciarsi andare ad atteggiamenti incoerenti. E questo spiega anche la sua sostanziale incapacità di stabilire rapporti duraturi con gli altri.
La realtà gli stava sfuggendo di mano proprio nel momento in cui credeva di averla afferrata. Chiuso nella propria individualità e non riuscendo più ad avere un rapporto sereno con l’ambiente umano con cui entrava in contatto, ma soprattutto impacciato dalla sua stessa volontà di abbracciare tutto, e di essere partecipe di tutto, finì per subire i contraccolpi che la società gli restituiva.
Deluso e irrequieto, soleva rammentare frammenti di paranoie che ormai gli stavanofalsando a tal punto la realtà da arrivare ad odiare la moglie Marcella e allo stesso tempo sentirne la mancanza: “Qualunque cosa che io dica o faccia, una parte di me resta sempre indietro a guardare l’altra che si compromette a osservarla e a ridere di lei, a fischiarla o applaudirla.”
Allo stremo si ridusse all’isolamento completo e allora cominciò a viaggiare per cercare, nei posti nuovi che visitava, il riassunto delle sue contraddizioni, le quali però non essendo né occasionali né incoscienti, ma reali, lo stavano trascinando inesorabilmente verso un punto di non ritorno. Almeno fino al giorno che Alessia gli si materializzò davanti una sera particolarmente fredda e ventosa, mentre stava attraversando la strada. Lei, assorta nei suoi pensieri andò a sbattergli contro con violenza, tanto che egli perse l’equilibrio e fece appena in tempo ad aggrapparsi a lei per non cadere. Quando si ricompose e la vide, quella presenza femminile gli provocò inaspettatamente uno strano turbamento. Dopo quell’incontro – scontro, ne seguirono altri, sempre fugaci, sempre improntati sulla reciproca diffidenza, ma che Sergio sollecitava per interrompere quella quotidianità che lui stesso aveva reso grigia e nebbiosa.
Dolce e volitiva, riservata e sensibile, trepidante e in attesa di un segno che le cambiasse il destino, anche Alessia era sola e angosciata. Passata attraverso esperienze negative, che però non l’avevano sconfitta né scoraggiata, cercava di reagire e approfittare di tutto ciò che poteva approfittare.
La prudenza, o solo la coerenza con se stesso, da prima impedirono a Sergio di lasciarsi andare, ma fu Alessia, inspiegabilmente per lui, a spingersi oltre e a coinvolgerlo, in una sorta di scelta comune, in un accordo non scritto di reciproco distacco dagli affanni. Ma lui, sempre in preda alle sue ansie e inibizioni, insisteva: “Io non sono nato per la felicità”. Tuttavia Alessia riuscì nell’intento, sino a trasmettergli il suo ottimismo e l’amore per la vita. Almeno così credeva lei.
Alessia amava profondamente, ma l’oggetto del suo amore era l’amore stesso, piuttosto che per Sergio. Infatti si sentiva condizionatadalla sua presenza, dai suoi comportamenti e soprattutto dalla sua perenne instabilità, tanto che a un certo punto le parti si rovesciarono e da quel momento fu Alessia a proiettare su Sergio un’immagine favorevole, ma falsata, di se stessa.
Tra Alessia e Sergio alla fine si stabilì una vera e propria gara di generosità, quasi una corsa al sacrificio, un’immolazione reciproca per la felicità dell’altro. Ognuno dei due amava, soffriva e soprattutto rinunciava a tendere la mano altrove per afferrare ciò che avrebbe potuto offrire loro l’avvenire.
Tutti e due erano ormai chiusi in se stessi, avvolti nelle proprie ansie, frutto di quel passato che non riuscivano a ricacciare nell’oblio o cercavano di camuffare con un sorriso, un gesto misurato, un complimento non richiesto e non riuscito.
Ma a un dato momento in Alessia si fece strada il bisogno di un’altra felicità, una felicità più naturale e soprattutto spontanea, sincera e che non provocasse pianto e disagio a nessuno. Sentiva il bisogno di una felicità che non conoscesse pause o limiti, che non lasciasse spazio a silenzi imbarazzanti, a comportamenti goffi, come quelli di lui. Perciò, per un semplice riscatto personale cercò di soggiogarlo alla sua volontà. Ma tutto fu inutile, Sergio era ormai troppo distante, sia da lei che da ciò che lei desiderava.
Avevano imparato in modo anomalo e con fatica ad amarsi, questo sì, ma i limiti imposti delle loro reciproche frustrazioni stavano incombendo come massi pericolanti sulla loro fatua felicità.
Essi avevano perso l’occasione, così come l’avevano trovata, nello spazio di un abbraccio e ora, sopraffatti dai loro conflitti, stavano perdendo, senza che se ne rendessero conto, l’unica occasione che permettesse loro di raggiungere la serenità.
Ormai si muovevano fuori ogni coerenza, senza che nessuna circostanza potesse intervenire a salvare il loro rapporto. Alla fine si persero e finirono per andare in direzioni opposte. Lei verso la scoperta di quel mondo nuovo che stava inseguendo, lui verso la rinuncia e la negazione del presente.
Sergio prese congedo, in una tiepida serata di primavera, non dando l’impressione di andarsene per sempre, ma di allontanarsi in punta di piedi da un mondo che riteneva ostile.
 


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