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Gita a Taranto

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

7
APR
2016
Quando tornai a chiedere a Edoardo se voleva venire a trascorrere qualche giorno in Puglia eravamo seduti su una panchina del vialetto dell’università e stavamo guardando le ragazze che passavano. A fine anno ero stato ospite della sua famiglia sul Terminillo e pertanto volevo contraccambiare invitandolo a trascorrere qualche giorno, ad aprile, a Taranto: fargli visitare la città e visto che le tradizionali processioni dell’Addolorata e dei Misteri che si snodano in un tripudio di fedeli e curiosi (più curiosi che fedeli), tra le vie della città vecchia e nuova, si era già svolta a marzo, portarlo a visitare Martina e la Valle D’Itria.
< Allora Edoardo, hai deciso se venire o meno a trascorrere qualche giorno a Taranto? >
< Sì, Cataldo. Te l’ho detto che mi farebbe piacere vedere il mare, conoscere la tua città e trascorrere qualche giorno con te, che spero vorrai farmi da cicerone. > < Allora deciso. Non è che poi non vieni? Non per niente, ma per avvisare casa. > < Ti ho detto di sì. Ho chiamato anche i miei per avvisarli che non sarei tornato a Rieti. > < Allora vieni? > < Senti, ti ho detto di sì, ma se non vuoi, dillo chiaro e tondo. Se è così, non vengo e amici come prima. > < Ma no. Che dici? Non vedo l’ora di ricambiare l’ospitalità di quest’inverno. > < Sarà. Ma a me sembra tutto il contrario, come se mi volessi dire qualcosa, ma non sai come iniziare. > < Non devo dirti niente Edoardo. Ho solo da chiederti un favore, questo sì. > < Di che si tratta? > < Non è per te, anzi. Tu sei un bravo ragazzo. Un amico serio, educato… > < Che centra questo? Dove vuoi andare a parare Cataldo? Sputa il rospo e vieni al sodo. > < Senti io te lo dico ma tu non ci rimanere   male. > < Male di cosa? > < Senti, io ho una sorella che si chiama Immacolata…> < E allora? > < E ho anche un padre, che si chiama Rosario…>  < E ridaje. Anch’io ho un padre e una sorella. Allora? > < Allora, allora. Sto cercando di dirti che ho una sorella e un padre.> < Questo l’ho capito. Sei per caso preoccupato, da perfetto meridionale, che possa fare qualche avances a tua sorella? > < Ecco. Bravo. Questo è il punto. Ma non sono preoccupato per te, anzi. Sono preoccupato della reazione che potrebbe avere mio padre. Perché è gelosissimo della figlia. > < Tuo padre è geloso della figlia? Scherzi? Semmai il geloso dovrebbe esserlo il suo ragazzo. Non trovi? > < Non ha un ragazzo. Ha vent’anni, ma non ha il ragazzo. Ma mio padre si è intestardito di farla sposare col figlio di un vedovo, ricco da fare schifo. > < E io che c’entro? Auguri e figli maschi. > < Aspetta. Non è questo il punto. Mio padre, appena un ragazzo posa lo sguardo su mia sorella perde le staffe. Ha paura che si invaghisca e così possa mandare a monte il suo progetto. > < Ma dai. Solo nell’ottocento si sentivano queste cose. Anzi, è proprio roba da Medio Evo. > < Ti dico che è così. Sembra assurdo ma è così. Mentalità, che vuoi? > < E a tua sorella questo ragazzo piace? > < Ma quando mai. Non lo può vedere. E’ sgraziato e ha la testa vuota come una noce di cocco. > < E allora perché tuo padre insiste per farla accasare con questo tipo? > < Perché è di famiglia ricchissima. Scemo si, ma figlio unico e unico erede. > < Okay. Ma cosa centro io in questo melodramma tolstoiano? > < Non centri niente ma... > < Ma? > < Ma non parliamone più. Ti chiedo solo, quando sarà presente mio padre, di ignorarla. Anzi, dovresti proprio evitarla. > < Ho capito. Cortese con tutti, tranne che con tua sorella. Giusto? > < Si Edoardo, fallo per me. O meglio, solo per mio padre. Te lo chiedo per favore. > < Okay. Stai tranquillo. Non serve aggiungere altro. >
Mentre parlavamo gli avevo messo una mano sulla spalla e l’altra sulla gamba, e due ragazze che passavano in quel momento si fermarono e ci guardarono, poi corsero via ridendo.
< E togli queste mani. Non vedi che figura stiamo facendo? Chissà cosa avranno pensato? >
A Taranto mi stavano aspettando tutti e quando detti conferma che sarei arrivato con un amico, mia madre mise sottosopra la casa per le pulizie primaverili ma tutti capirono che la primavera non centrava niente e che lo faceva solo per far bella figura con l’ospite. In quanto a mio padre, quando seppe che avrei portato un amico, cominciò a tempestarla di domande: chi è? Come si chiama? Quanti anni ha? Quanto si ferma? Che ci viene a fare? Ma poco o niente le rispose lei: solo che era un mio amico d’università e che lo avevo invitato per contraccambiare la cortesia del Terminillo.
Appena arrivammo, mia madre mi buttò le braccia al collo e mia sorella probabilmente si soffermò forse troppo a lungo con Edoardo perché mentre il nonno mi salutava con un cenno della mano, continuando come suo solito a giocare da solo a dama, sentii mio padre mormorare qualcosa di irripetibile.
A tavola i miei ci subissarono di domande, ma era Edoardo al centro delle attenzioni, sia di mia madre che voleva compiacerlo, sia di mio padre che lo stava scrutando sino al midollo. Ed anche di mia sorella che non smetteva di togliergli gli occhi di dosso. Le preoccupazioni di mio padre iniziarono subito e si acuirono ancora di più la sera, all’ora di cena, quando a tavola non si presentarono né Edoardo né mia sorella. Erano usciti nel pomeriggio e ancora non stavano tornando.
< Scusate il ritardo. Siamo stati al faro. Edoardo non ne aveva mai visto uno. > Disse Immacolata appena arrivarono, lasciandogli la mano e sedendosi accanto.
Dopo cena uscimmo tutti e tre assieme e mio padre non perse l’occasione di trasformare casa in una polveriera. Mia madre, facendo spalluccia, gli ribadì di togliersi dalla testa quel Fausto perché, lo sapeva, Immacolata quello scemo proprio non lo sopportava. Non lo voleva proprio vedere Ma  mio padre di questo argomento non ne voleva proprio sentire parlare.
Per dormire a Edoardo venne data la camera di mio nonno e mio nonno finì sul divano, in salotto. Mio padre avrebbe voluto far dormire la figlia con la madre e lui trasferirsi in camera di Immacolata, ma un’occhiata fulminante della moglie lo fece ammutolire, ma non smettere di brontolare: < Ma dove siamo? Tra gente civile o ancora nelle caverne? > Gli rispose lei, stanca di sentire il suo perpetuo brontolio.
Il mattino successivo ci alzammo tardi e quando chiamai Edoardo per farlo venire a tavola lui rispose in tono scherzoso: < Vengo or ora. > < Che ha detto? > Chiese mio padre perplesso, mentre si stava aggiustando nervosamente sulla sedia. < Che viene tra un ora. > Gli rispose il nonno che si stava divertendo un mondo nel vedere il genero così preoccupato.
La sera del giovedì andammo nella città vecchia per farci una pizza e li incontrai degli amici che non vedevo da tempo e così persi di vista sia Edoardo che Immacolata, ma loro nemmeno se ne accorsero. Li ritrovai dopo due ore nella città nuova che si stavano baciando. Il venerdì uscimmo di nuovo e verso l’una mia sorella mi informò che loro volevano trattenersi da soli in città perché volevano visitare il duomo e pertanto avrei dovuto avvisare casa che loro non sarebbero tornati per il pranzo. Così chiamai mia madre per avvisarla che non saremmo rientrati e che sarei rimasto anch’io con loro. Meglio evitare di far salire troppo la pressione a mio padre.
Nel pomeriggio, mentre stavamo in un bar per uno spuntino, Edoardo mi disse che era entusiasta di quello che aveva visto ed anche la città gli era piaciuta moltissimo. Aggiunse che in mattinata ne aveva parlato alla sorella e che questa lo stava raggiungendo con un’amica per visitare con noi Alberobello.
< Sei ore di macchina ed eccoci qui. Io sono Valentina e questa è Giuliana. Piacere. >
Quando avvisai casa dell’arrivo delle nuove ospiti, mio padre stava per chiamare un albergo, ma mia madre lo fulminò con un’altra occhiataccia delle sue e poi si mise a rivoluzionare casa: le due ragazze, più mia sorella, sarebbero andate a dormire in camera dei miei genitori, io e Edoardo, con l’aggiunta di un materasso, in camera di Immacolata, mio padre sul divano al posto del nonno, e il nonno nella stanzetta piccola su un materassino da spiaggia. Mia madre si sarebbe arrangiata in cucina.
Durante il pranzo del sabato, Valentina buttò lì: < Ho detto a papà e mamma di raggiungerci. Sono soli e avevano piacere di trascorrere la domenica con noi. Chiedo scusa, ma mi sono proprio dimenticata di avvisarti Edoardo. Ero così assonnata. Pero bisognerebbe trovargli una sistemazione… >
Aggiunse, tenendosi la testa ciondolante, sbadigliando e portandosi alla bocca le orecchiette al sugo. Edoardo si strinse nelle spalle, ma prima che potesse dire qualcosa intervenne mia madre.      < Gli ospiti sono sacri. Trovo io la sistemazione. >
Ma il nonno replicò: < Dove devo finire adesso? Vuoi lasciare la macchina per strada e farmi dormire nel box? > E anche mio padre tentò di dire la sua, ma mia madre troncò la diatriba sul nascere e rispose che si doveva solo aprire la villa. E per questo, padre e marito, furono spediti a Martina Franca per far arieggiare le stanze.
In serata si presentò a casa il figlio del possidente: Fausto. Voleva invitare Immacolata a pranzo la domenica e mio padre lo accolse con un sorriso da circo equestre. In compenso da mia madre ricevette solo uno slavato saluto e poi si sentì dire che purtroppo Immacolata non sarebbe potuta andare da loro. Le dispiaceva tanto, ma proprio tanto, ma non poteva proprio perché doveva andare in ospedale ad assistere una sua amica.
Andato via Fausto, mio padre, dando ormai segni di squilibrio, chiese: < Che è questa storia? Perché Immacolata deve andare in ospedale domani? > < Non deve andare da nessuna parte. Ma siccome di quello scemo non ne vuole nemmeno sentir parlare e lo sai, ti devi rassegnare. Il tuo scimunito, anche se pieno di soldi, non lo vuole. Nemmeno in cartolina lo vuole vedere. Figurati se va a casa sua a rovinarsi la domenica. > E anche il nonno, mentre stava perdendo l’ennesima partita giocata contro se stesso, ci mise del suo: < Se non quagliano, non quagliano, Rosario. Tua figlia, adesso, ha altri per la testa. >  < Fatti i fatti tuoi. > Gli rispose mio padre, mentre il citofono stava squillando: i genitori di Edoardo e Valentina erano arrivati. < Sei ore di viaggio ed eccoci qui. Buona sera. >
Dopo le presentazioni, visto che si stava facendo tardi, accompagnammo gli ospiti a Martina Franca e per non lasciarli soli decisi di rimanere anch’io con loro. E anche mia sorella, che non se la sentiva di tornare da sola in città, volle rimanere con noi, o meglio, con Edoardo.
Pranzo domenicale, compresi nonno e genitori, a Martina Franca. Tra il pranzo lungo sino a cena e una cena lunga oltre la mezzanotte, il tutto annaffiato da un primitivo forse troppo primitivo che ci stordì, preferimmo rimanere per la notte tutti accampati alla meglio in villa.
Il martedì riposammo e il mercoledì eravamo tutti in partenza. I genitori di Edoardo dovevano raggiungere casa. Valentina e l’amica, dovevano fermarsi a Roma. Io ed Edoardo lo stesso, però portandoci dietro tutto quello che mia madre aveva preparato in nottata. E anche mia sorella Immacolata, all’insaputa di tutti, aveva deciso di partire con noi e, preparata all’insaputa di tutti la sua valigia, esordì: < Sapete che c’è? Vengo anch’io a passare qualche giorno con voi a Roma. Tanto le macchine ci sono e possiamo sistemarci così: tu Cataldo vai in quella di Valentina e Giuliana. Edoardo invece viene in macchina con me. Che ne dite, va bene così no?>
Stavamo per uscire di casa quando sentimmo il telefono squillare e mio padre, ormai consapevole che la frittata era stata fatta, andò a rispondere: Pronto… Ciao Faustino, come stai? No non disturbi, dimmi pure. Ah volevi sapere di Immacolatatina? Sì sì, è tornata dall’ospedale ma sta peggio di prima e sta per andare a Roma. A fare cosa? A farsi monaca. >
 


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