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LA TRUFFA (SECONDA PARTE)

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

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LUG
2016
Breve riassunto della puntata precedente: Senise è una ragazza che a causa della morte del padre si è trovata a dover affrontare problemi più grandi di lei e si è trovata in un mare di debiti. Per strada ha incontrato dopo molto tempo Fausto, un amico d’infanzia e la loro amicizia si rinsalda sino al giorno che Fausto la mette al corrente di voler organizzare una truffa online.
 
 
Passato luglio e trascorso qualche giorno d’agosto, si rifece vivo. Mi sembrava preoccupato, pensieroso. Era serio, sudava. « Cosa porti lì dentro», gli chiesi, indicandogli la borsa che teneva tra le mani, stretta al petto. Lui la depose su una sedia, l’aprì, e cominciò ad estrarne mazzette su mazzette di banconote da 50 euro. «Sono 85mila euro in contanti. Non me la sento più di lasciarli ancora nella cassetta di sicurezza. Troppi occhi indiscreti. Ogni giorno arrivano dalle venti alle trenta richieste, con allegati i comprovanti anticipi. Ho pensato che se dovessimo levare le tende in fretta e furia, è meglio avere il denaro pronto e a portata di mano». Mentre lui continuava a parlare e a estrarre mazzette di banconote dalla borsa, io rimasi a guardare sbigottita quel denaro. Era, anche se diviso in due, una montagna di soldi. «Perché non tagliamo la corda ora Fulvio? Sono già un sacco di soldi, questi». «No Denise. Facciamo come avevamo programmato. Aspettiamo il 25 agosto, racimoliamo tutto quello che arrivasino a quella data e poi ce ne andiamo».
***
Dopo quell’incontro i giorni cominciarono a trascorrere lenti come lumache. Fulvio ogni sera veniva a casa mia a lasciarmi altre mazzette di denaro che nascondevamo in una intercapedine che aveva creato, togliendo delle mattonelle, nel pavimento della camera da letto.
Trascorso ferragosto, non vedevo l’ora che passassero anche quei dieci giorni che ancora mancavano alla partenza. Intanto avevo provveduto al rinnovo del mio passaporto; avevo prelevato da sotto il pavimento il denaro necessario per fare delle spese, l’acquisto di scarpe e di abiti, ed anche delle valige. Intanto Fulvio aveva da tempo prenotato una crociera per due persone sul mare Egeo e di Marmara, sino a Istanbul, dove avevamo deciso di far perdere le nostre tracce.
Mancavano ancora cinque giorni alla partenza e stavo tornando a casa con i bustoni pieni di cose nuove, quando lo sguardo mi cadde su una locandina esposta in edicola: “Possibile ennesima truffa online. Indaga la polizia postale”. Mi sentii salire il sangue alla testa e tremando come una foglia cercai gli spiccioli per acquistare il giornale. Arrivata a casa non avevo il coraggio di aprirlo. Ero impaurita, mi sentivo persa. Poi mi feci coraggio e voltai le pagine. Le notizie erano scarne. Il giornale parlava di diverse denunce pervenute alla polizia, la quale, a sua volta, stava indagando su una presunta truffa perpetrata online a danno di ignari acquirenti. Avrei voluto informare subito Fulvio, ma avevo paura di essere intercettata, scoperta e allora, per dirglielo, attesi la sera, quando venne a casa mai. «Hai visto? Siamo stati scoperti. E ora che facciamo?» gli chiesi, appena lo vidi entrare con la sua borsa e sventolandogli il giornale sotto il naso. «Non hanno scoperto proprio niente. Balle. Brancolano nel buio, se no sarebbero già venuti a prenderci. E ormai non possiamo più tirarci indietro. E poi mancano solo cinque giorni alla partenza. Questi qui sono gli ultimi che sono andato a ritirare dalla cassetta di sicurezza. Non ci vado più in banca, troppo pericoloso. Comunque, con questi e quelli che abbiamo sotto il letto, arriviamo a 280 mila euro in contanti. Attendiamo con calma il giorno della partenza. Lasciamo casa e ci trasferiamo a Venezia. Aspettiamo lì la partenza della nave, poi sabato l’imbarco e via».
***
I giorni che mancavano alla partenza della nave erano diventati i più lunghi della mia vita e intanto i giornali continuavano a diffondere nuove notizie sulla truffa. Ora non parlavano più di presunta, ma di accertata truffa, e le notizie erano sempre più precise e dettagliate. Truffa milionaria, titolavano alcune testate. Decidemmo di anticipare la partenza e quella notte Fulvio dormì da me e al mattino, di buon ora, prendemmo l’autobus e andammo alla stazione. Di lì, con i nostri bagagli e la valigia piena di soldi, salimmo sul treno per Venezia, dove arrivammo nel pomeriggio inoltrato e dove mi sembrava che nessuno facesse caso a noi due. Sui giornali di quella città le notizie sulla truffa erano più sfumate, meno precise, ed erano state relegate in quinta pagina e non sembravano destare molto interesse, e questo ci rasserenò un pochino.
L’imbarco era previsto per le ore venti, ma noi ci facemmo portare al molo già nel pomeriggio. Non riuscivamo più a restare chiusi in quella stanza d’albergo, e di andare a spasso non era proprio il caso. Quando vedemmo degli autobus che scaricavano dei croceristi davanti all’ingresso del porto ci avviammo anche noi e ci mettemmo in fila. Il panico ci tornò quando dovemmo attraversare il posto di controllo alla dogana, ma andò tutto bene. Gli agenti dettero appena un’occhiata ai documenti e ai fogli d’imbarco e poi ci invitarono a proseguire. Erano tutti molto gentili e sorridenti. Sembrava che ci volessero fare le feste mentre ci invitavano a salire a bordo.
Verso le ventidue la nave cominciò a mollare gli ormeggi e si staccò dal molo. Aiutata da due rimorchiatori uscì dal Canal Grande e fece rotta verso la prima tappa della crociera: Dubrovnik. Noi durante la navigazione, nei porti dove la nave faceva scalo, non scendevamo mai a terra, facevamo di tutto per sembrare due sposini innamoratissimi, in viaggio di nozze. A volte andavamo sul ponte per prendere una boccata d’aria, per abbronzarci un po’, ma spesso restavamo chiusi in cabina per seguire le notizie dei vari telegiornali, che peraltro di quella notizia non ne parlavano mai.
Giunti a Istanbul, Fulvio disse al personale di bordo che avevamo ricevuto una brutta notizia, un lutto gravissimo, e che pertanto dovevamo rientrare subito in Italia. Noi facemmo la faccia di circostanza e tutti si misero a nostra disposizione: ci aiutarono a portare a terra i bagagli, ci chiamarono un taxi e ci salutarono con riverente dispiacere.
***
La città era enorme. Una metropoli estesa tra l’Europa e l’Asia e noi ci facemmo accompagnare all’aeroporto, poi, andato via il taxi, attendemmo qualche minuto e ne prendemmoun altro e ci facemmo portare di nuovo in città e da lì, con una macchina presa chissà dove da Fulvio, ci spostammo all’interno, in una città sulle rive del mar Nero, nel cuore della Turchia asiatica. Trovammo un hotel di poche pretese, con personale abituato a vedere arrivare sposini in viaggio di nozze e a fare poche domanda. E quell’hotel divenne la nostra base di partenza.
Fulvio al mattino usciva presto per conoscere e ambientarsi in quella città sconosciuta, per andare a cercare una casa dove ci saremmo dovuti sistemare e anche per trovare il modo di cambiare i nostri documenti. Al ritorno era sempre sereno e gioviale e diceva che in Turchia la vita era economica, che l’euro era molto apprezzato e che, con un po’ di iniziativa, si potevano fare molte cose. Un piccolo problema si rivelò la cucina, il doverci abituare a quella turca, quasi tutta a base di carne e verdure varie. Meno male che il pane lo conoscono in tutto il mondo ed anche in Turchia ne sfornavano in mille modi ed era buonissimo. Riuscimmo a trovare anche dei ristorantini che servivano piatti all’europea, ma poiché Fulvio non voleva dare nell’occhio, per non essere scambiati per turisti o europei di passaggio, finimmo per mangiare solo piatti del luogo e pagandoli con la lira turca, che Fulvio si era preventivamente procurato attraverso cambia valute abusivi, di pochi scrupoli e di poche parole. Una sera, rincasando sorridente, mi allungò il mio passaporto nuovo di zecca.
«Ora non sei più Denise Perdelli, ma la signora Saamantah Boken di Filadelfia - USA. Vedova di un uomo d’affari arabo, tale Aslan Arslan», mi disse, mentre sfogliava il suo passaporto falso quanto il mio, e poi aggiunse: «In questo campo sono dei maestri, qui. Nessuna sbavatura, nessuna sovrapposizione o correzione. Guarda, come sono perfetti».
***
La casa che qualche giorno dopo mi portò a vedere, la trovai perfetta per due persone. Era disposta su due piani, circondata dal verde, con un piccolo giardino econ le finestre che davano sul mare, ma un po’ fuori mano. Fulvio mi ricordò allora che ora ero la vedova di un gentiluomo arabo e che pertanto era preferibile, per la vedova, risiedere in un luogo appartato.
«Pertanto cosa? Se io sono la vedova di questo vattelapesca che dici tu, come ti vieni a collocare nella stessa casa?» gli chiesi, spazientita per le cose che giorno dopo giorno andavano complicandosi.
«Io non mi colloco affatto cara signora Saamantah Boken. Ho altre intenzioni. Appena ti sistemi io riparto. L’Asia, l’Africa, sono grandi territorida esplorare, deciderò in seguito dove fermarmi e poi ti farò sapere».
«E perché io dovrei restare qui ad aspettarti? E poi tutta questa messa in scena:  nasconderci, documenti falsi, casa, non è meglio che venga via con te?», gli chiesi, questa volta del tutto fuori di me. Cosa ci dovevo fare io, da sola, in un paese così immenso, sconosciuto e dove parlavano una lingua che io non sarei mai riuscita ad imparare, nemmeno se ci fossi nata e cresciuta. Lui mi prese sottobraccio e risalendo in macchina mi disse che almeno per il momento sarebbe stato opportuno dividerci. «Per far perdere le nostre tracce» e poi aggiunse: «Bisogna sparire, non farsi più trovare da nessuno. Se ci stanno cercando, cercano una coppia, due persone. Non una vedova sola, o un distinto uomo d’affari che è in viaggio per seguire i propri interessi».
***
Fulvio partì in una mattinata di sole, disse che lo stavano aspettando per andare al porto. Ma sarebbe potuto andare da qualsiasi altra parte, verso l’interno del paese, imbarcarsi e andare a Sebastopoli o chissà dove. Sta di fatto che di lui non ne seppi più nulla, sino a quando, dopo sei anni di quella vita isolata e man mano sempre più grama, trascorsa in solitudine e senza quasi più un soldo, decisi, consapevole e pronta a doverne pagare le conseguenze, di ritornare in Italia.
***
Tornata a casa mi stupì il fatto che nessuno mi avesse cercata, che nessuno si fosse accorto della mia assenza. Ebbi un po’ di timore quando mi recai negli uffici pubblici per chiedere il rinnovo dei miei veri documenti, quelli di Denise Perdelli, che nel frattempo erano tutti scaduti e che io dissi, fin troppo frettolosamente, di averli smarriti. 《Per il rinnovo dei documenti, serve prima la denuncia di smarrimento, signora» mi rispose l’impiegata allo sportello. Io cominciai a sudare freddo, ma ormai ero decisa a continuare su quella strada e ci andai. Spiegai al brigadiere di turno che ero stata all’ipermercato e che a un dato momento nella borsa non avevo più trovato il borsellino, con i soldi e i documenti. «Allora si tratta di furto, signora» replicò, rianimandosi il brigadiere. Io gli risposi di non poterlo confermare, forse lo avevo solo dimenticato sul bancone di qualche negozio o forse mi era caduto dalla borsa. «Non so. Non saprei dirglielo» conclusi e lui, con gli occhi fissi sul monitor del computer e riprendendo a scrivere: «Si tratta sicuramente di furto, ma va bene così, come dice lei. Scriviamo smarrimento. Ma stia attenta la prossima volta, sapesse quanta gente disonesta gira per strada di questi tempi, e in certi luoghi soprattutto».
Firmata dal brigadiere e controfirmata da me, ritirai la mia denuncia di smarrimento e mi avviai in punta di piedi verso l'uscita. Camminavo lentamente, quasi aspettando di essere richiamata, fermata e interrogata in merito a quella truffa online perpetrata sei anni prima, ma nessuno mi fermò, né richiamò, ed io mi ritrovai in strada madida di sudore, ma libera e sollevata.
***
Da quel giorno erano passati un paio d’anni e stavo lavorando come cameriera in un bar-self service del centro, quando guardando fuori dalla vetrata, sul marciapiede opposto, vidi un signore, in giacca e cravatta, che fermo sul marciapiede, si stava pulendo ogni scarpa sul polpaccio opposto e poi allungava le gambe per controllarne il risultato. Sorridendo uscii dal locale e attraversai di corsa la strada.
«Fulvio. Cosa ci fai qui, quando sei tornato?». Lui allungò le mani lungo i fianchi, piegò le ginocchia, come a chiedersi cosa ci facessi io lì, e poi mi spiegò che era rientrato in Italia quasi subito dopo la nostra separazione, perché, aggiunse, non riusciva ad ambientarsi in quei paesi così diversi dal nostro. Si era costituito e aveva subito un processo, era stato condannato ed ora era di nuovo libero.
«E di me cosa hanno detto? Mi stanno cercando?» gli chiesi preoccupata.
«Non sanno nemmeno che esisti. Al processo ho detto di aver fatto tutto da solo. L'ho detto e confermato anche in appello» mi rispose, con quel suo eterno sorriso angelico.
«E come hai fatto? Come sei riuscito a non coinvolgermi? Perché non mi hai cercata?» gli chiesi, sempre più stupita e preoccupata.
«Ho detto la verità. In definitiva tu cosa hai fatto? Nulla. Ho detto quello che sai anche tu, che ho messo su la truffa, che ho depositato i contanti in una cassetta di sicurezza e che quando è cominciata a circolare la notizia ho ritirato tutto e sono scappato. Ho restituito i soldi che non ero riuscito a ritirare dalla cassetta di sicurezza e ora eccomi qui. Sono venuto anche a cercarti, ma poi ho lasciato perdere perché ti facevo ancora in Turchia».
《Grazie. Sei un vero amico» gli risposi, abbassando lo sguardo e abbracciandolo.
«Per te io sarò anche un amico. Ma io di te sono sempre stato innamorato, sin da quando da ragazzo venivo a casa tua».
Io alzai gli occhi verso di lui e gli chiesi come mai avesse atteso tanto tempo per dirmelo e lui mi rispose che da ragazzo era troppo timido, poi era diventato troppo povero, che quando partimmo era troppo preoccupato e che solo ora, che aveva un po' di soldi da parte, aveva trovato il coraggio per dirmelo.
«Sei riuscito a salvare il denaro?» gli chiesi, stupita. Lui rispose che prima di rientrare in Italia aveva depositato tutto il denaro che aveva con sè in una banca estera e che ora gli stava fruttando anche un discreto guadagno. E stava attendendo che gli restituissero il passaporto per andarlo a riprendere.
Io lo riabbracciai, gli sfiorai le labbra con un bacio, gli aggiustai il nodo della cravatta e poi lo invitai a seguirmi nel locale. Il mio turno stava per finire e noi avevamo molte cose da raccontarci, da confidarci.
Era un bel ragazzo. Magari sempre timido e con quell’aria da eterno stralunato, ma era proprio un bel ragazzo, e io mi accorsi in quel momento di esserne innamorata, o forse lo ero già da tempo.
 


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