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LA MAMMA È SEMPRE PRESENTE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

29
SET
2016
Questa mattina mi sono alzato presto, prima del solito. Fuori è ancora buio ma io, anche se questa notte ho dormito poco e male, non riesco più a stare a letto. Mi guardo allo specchio e vedo due occhiaie terribili. Mi spiace per Ilaria, ma non ho proprio un bell’aspetto e sento che mi sta crescendo anche l’ansia, e la malinconia.
No, basta, oggi è il mio compleanno ed è anche il giorno in cui devo fare il bravo papà. Più facile a dirsi che a farsi, però. 
Vado in cucina, cercando di fare meno rumore possibile, e mi preparo il caffè.
Ilaria ieri sera ha tirato tardi con le amiche e sicuramente ora starà ancora dormendo. 
La caffettiera borbotta e l’aroma si espande per tutta la cucina e allora me ne verso una tazza e poi vado, come d’abitudine, alla finestra a gustarmi il primo caffè della giornata. Guardo fuori, e rivolgo lo sguardo sulla città, su questo nuovo giorno che sta nascendo, ma che ha ancora l’aspetto lieve e rilassato della notte.
Finito di sorseggiare il caffè vado nel mio studio, accendo il pc, controllo la posta elettronica e poi do un’occhiata alla rassegna stampa. Ma oggi è una giornata davvero importante e io devo ricoprire un ruolo altrettanto importante: quello del papà della sposa, e al solo pensiero sento un brivido attraversarmi la schiena e gli occhi inumidirsi. Spengo il pc, ma resto seduto alla scrivania e penso.
Ilaria, mia figlia, ha ventisei anni, il suo futuro marito trenta e lavorano tutti e due nel mio studio di architetto ed io non potrei essere più felice e contento per loro. Però sono anche triste, perché i ricordi di una vita si stanno affollando nella mente e mi travolgono…
Conobbi Daria, la mamma di Ilaria, all’università, dove entrambi frequentavamo la facoltà di architettura. Parlando scoprimmo di avere molte affinità, tanti interessi comuni e con la scusa di preparare gli esami assieme, cominciammo a frequentarci sempre più spesso. Ci fidanzammo quasi subito e così la nostra storia ebbe inizio. Ci sposammo il giorno del suo venticinquesimo compleanno. Eravamo giovani, innamoratissimi, incredibilmente felici e pieni di aspettative per il futuro. Con i nostri risparmi e i primi guadagni decidemmo di aprire uno studio tutto nostro. Erano altri tempi, e per fortuna il lavoro ingranò subito e con l’andare degli anni continuò a crescere. 
Gli amici ci invidiavano, dicevano che non era normale essere così affiatati dopo anni che stavamo assieme e ci chiedevano quale fosse l’alchimia, il mistero di tanta affinità. Cosa potevamo rispondere? Per noi era del tutto normale amarci, essere affiatati e stare ventiquattrore su ventiquattro sempre assieme, sia sul lavoro che a casa.
Una sera, due anni dopo il nostro matrimonio, mi stavo sedendo a tavola per la cena quando, a fianco al mio piatto, notai un pacchetto.
«Cos’è? È per me?»
Chiesi, incuriosito a Daria, mentre lei mi guardava sorridendo. 
«Sì sì, è per te.»
Rispose, con gli occhi che le brillavano. Aprii il pacchetto e per la prima volta capii il senso delle parole “impazzire di gioia”. Nella scatola c’erano un paio di calzini minuscoli e una camicina piccola piccola. Non riuscivo a crederci, né a distogliere lo sguardo da quegli indumenti piccolissimi. Non riuscivo nemmeno a pronunciare parola, ero troppo emozionato. E quando sentii le braccia di Daria che da dietro le spalle mi stavano stringendo, mi alzai e le detti un bacio. Restammo così, abbracciati e muti, per un tempo che ancora oggi non saprei quantificare. 
«Buon giorno papà e tanti auguri, come sei mattiniero. Non dirmi che sei agitato.»
Mi dice Ilaria affacciandosi sulla porta, senza che io l’avessi sentita arrivare.
«Nervoso io? Ma figurati. Perché dovrei esserlo? Solo perché la mia unica figlia si sposa oggi o perché ho un anno di più?»
Ribatto, alzandomi e tornando in cucina per mettere sul fuoco il pentolino con il latte per lei e versando il resto della caffettiera in due tazze. E sento una fitta al cuore quando penso che da domani non ci sarà più bisogno di tenere il latte in frigo, io non ne bevo e lei da domani vivrà in un’altra casa.
Mentre verso il latte nella sua tazza che sin da bambina ha sempre usato per la prima colazione, penso: “chissà se se la porterà via”, e riesco a farle solo un lieve sorriso malinconico.
Poi mi siedo accanto a lei, le prendo le mani tra le mie e le dico:
«Hai ragione, sono nervoso. Ho qualcosa dentro che non so definire, ma, credimi, sono felice per te e, mi devi credere, voglio bene anche a Sandro, perché è un bravissimo ragazzo e si vede che ti vuole un mondo di bene. Però mi mancherai, questo non posso negarlo. Ma so che è così che deve andare, anche se tu rimarrai sempre la mia bambina. E questo non dimenticarlo mai…»
Ilaria è commossa e si rifugia tra le mie braccia e io la stringo forte, come facevo quando era bambina. La sento singhiozzare piano e mi do mille volte dello stupido per averle causato questa triste emozione proprio nel giorno più bello della sua vita. Ecco, ho sbagliato ancora, lo sapevo… “Dio, come vorrei averti qui vicino a me Daria”.
«Perdonami Ilaria, non volevo turbarti.»
«Non ho proprio nulla da doverti perdonare papà. So bene quello che provi in questo momento. Ti manca molto, e manca anche a me la mamma, non puoi immaginare quanto.»
Mi risponde, mentre io continuo ad accarezzarle i capelli e mentre un raggio di luce entra prepotente dalla finestra, annunciando una meravigliosa giornata di sole. 
La guardo e penso quanto assomigli alla sua mamma. “Daria, quanto vorrei averti accanto in questo momento. Lo so, non me ne sono dimenticato, me lo avevi chiesto e ora lo sto per fare”.
Torno nello studio e apro il cassetto della scrivania per prendere la scatola dei ricordi. È arrivato il momento di dare a Ilaria la lettera. 
Eccola, la busta rosa che stavo cercando. Dentro c’è una lettera preziosa, ci sono scritte le parole di una madre per la propria figlia che lei dovrà leggere il giorno del suo matrimonio. Stringo questa busta tra le mani e torno in cucina, sapendo che per Ilaria sarà un dolore leggerla, ma è stato l’ultimo desiderio di sua madre e devo farlo.
Tutto cominciò, come si dice in questi casi, mentre Daria stava facendo la doccia. Si sfiorò un seno e sentì un piccolo nodulo. Me lo disse subito e non sembrava per nulla preoccupata; lei era fatta così, non pensava mai al peggio. Quel giorno, dunque, liquidò la cosa come fosse stato un raffreddore, un taglietto a un dito. Fui io a preoccuparmi e a insistere perché andasse a fare un controllo approfondito.
Una settimana dopo uscivamo dallo studio del nostro medico con una lunga trafila di esami da fare, e dopo qualche giorno eravamo seduti nello studio di un oncologo che ci disse che bisognava operare subito, con urgenza: avevano trovato altri noduli, anche nell’altro seno e andava fatta una mastectomia totale. Forse per la prima volta, da quando la conoscevo, vidi Daria veramente preoccupata e impaurita. Aveva appena compiuto quarant’anni e Ilaria ne aveva solo undici, e questo fece aumentare le sue preoccupazioni e da quel momento il suo pensiero fu solo per la figlia e non fece altro che farmi mille raccomandazioni: Ilaria non doveva soffrire, Ilaria doveva continuare a studiare; dovevo portarla periodicamente dal dentista, Ilaria doveva… Doveva… E io dovevo seguirla in tutto e per tutto. 
La mattina dell’intervento rimasi sotto la doccia per non so quanto tempo e mi lasciai andare ad un pianto dirotto. Ero preoccupato, nervoso e il peggio era che mi sentivo impotente.
L’operazione sembrò andare bene, e negli anni che seguirono cercammo di dare alla nostra esistenza una parvenza di normalità. Ma era come vivere sulle montagne russe, tra alti e bassi, tra dolore e speranze. E proprio quando credevamo di avercela fatta…
Daria se ne andò per sempre in una fredda sera di gennaio. Io le stringevo la mano e Ilaria, ormai quindicenne, aveva la testa poggiata sul suo petto. – Papà non respira più – mi disse con la voce rotta dal pianto e il terrore negli occhi. Restammo a guardarla ammutoliti e impotenti, mentre le lacrime ci rigavano il viso. Daria se ne era volata via così, in silenzio, delicata e leggera come una farfalla.
I mesi successivi furono terribili. Ogni mattina aprivo gli occhi, allungavo una mano e al suo posto trovavo solo un cuscino freddo e vuoto. Il dolore che provavo era incontenibile e mi sentivo scoppiare il cuore, ma dovevo reagire. Ilaria stava crescendo e aveva tutto il diritto di vivere la sua vita il più serenamente possibile.
E siamo arrivati ad oggi, e credo che Daria sarà contenta di sapere come siamo stati capaci di affrontare il futuro senza di lei, di rimetterci in cammino, io e nostra figlia. 
Più tardi la nostra casa sarà invasa da orde di fotografi, parrucchieri, estetiste, più i parenti e le amiche di mia figlia, e allora non posso più perdere altro tempo, è arrivato il momento di consegnarle la lettera. Busso alla sua porta, la chiamo e lei si volta e mi sorride.
«Ilaria siediti un attimo» 
Le chiedo. E sedendomi accanto a lei cerco di trovare le parole giuste, e le dico: 
«Oggi è la giornata più bella della tua vita e questo lo sappiamo. Così come sappiamo bene che c’è un’assenza che pesa nel cuore di tutti e due, ne abbiamo parlato anche qualche giorno fa ricordi? Però… Però ho una cosa da darti… da parte della mamma. Ecco questa è per te. Te la manda lei.»
Le porgo la lettera, mi alzo e sto per uscire, perché ritengo che il momento sia solo per loro. Mi trema la voce, sono emozionato. Ho conservato la lettera per tanti anni, in attesa di questo giorno, e ora che ho assolto al mio dovere mi sento finalmente in pace con me stesso. Ilaria mi guarda stupita, le accarezzo il viso ed esco.
Ho nitido nella mente quel giorno, circa un mese prima che Daria se ne andasse per sempre. Eravamo in camera nostra, non aveva più voluto restare in ospedale e aveva detto basta anche a quell’accanimento terapeutico che, lo sapevamo bene tutti e due, non sarebbe servito più a nulla. Le stavo tenendo la mano quando mi disse: - Devo fare una cosa, Paolo. Dovresti darmi un foglio e una busta. Se riesci a trovarla rosa, sarebbe bellissimo. Io la guardai perplesso e lei mi spiegò che voleva lasciare una lettera per nostra figlia e che io avrei dovevo dargliela il giorno del suo matrimonio. E fu così che il giorno dopo, mentre Ilaria era a scuola, mi dette la busta chiusa, pregandomi ancora una volta di darla a Ilaria il giorno del suo matrimonio.
Mentre sono seduto alla mia scrivania, e non so cosa fare, come comportarmi, dalla camera di Ilaria non sento giungere nessun rumore, nemmeno un brusio, e allora capisco che sta leggendo la lettera che la sua mamma ha scritto per lei.
***
“Cara Ilaria, bambina mia, scommetto che sei diventata una donna bellissima! Oggi ti sposi, e sarai incantevole. Tu lo sai, vero, che la tua mamma avrebbe voluto essere accanto a te in questo giorno, per aiutarti a sistemare il velo, il trucco, i capelli ribelli, l’abito. Sarei stata la più classica delle mamme della sposa, sarei stata nervosa, emozionata, commossa, e in chiesa avrei pianto come una fontana.
Adesso tutte queste cose, sono certa che le starà provando tuo padre. Lui fa tanto il duro, ma sappiamo bene quanto è sensibile! Vedrai che oggi, quando lo scoprirai con gli occhi lucidi, ti dirà, facendo l’indifferente, che non è niente, è solo un pulviscolo che gli è entrato negli occhi. 
Ci tengo che tu sappia una cosa Ilaria mia: io ci sono e ci sarò sempre, sarò sempre con te. Sarò sempre vicino a te e quando avrai bisogno di me non dovrai fare altro che alzare gli occhi al cielo e chiamarmi e io mi farò sentire nel tuo cuore, perché da li non andrò mai via, sarò sempre con te e dentro di te. Sarò sempre la tua mamma premurosa e ansiosa, e anche la cara nonna dei tuoi bambini, e sono certa che i miei nipotini saranno meravigliosi come lo era la loro mamma alla loro età. E sono anche certa che l’uomo che hai scelto come marito sarà la persone e il padre più buono di questo mondo, e tuo padre ne sarà felice. Ti auguro di cuore di dargli e ricevere da lui un amore infinito, un amore come quello che ha unito me e tuo padre, per tanti anni.
Vivi la tua vita, figlia mia amatissima, e se qualche volta ti capiterà di pensare a me, non devi farlo con tristezza, perché io sarà sempre li accanto a te, come sempre.
Ora ti lascio perché so che hai mille cose da fare: devi prepararti e devi essere bellissima. E non voglio che tu debba tardare per colpa mia. Perciò ti faccio tanti auguri e ti ricordo che in chiesa, a fianco a tuo padre, ci sarò anch’io, credimi. 
Ti abbraccio forte forte, ora e per sempre, e scusami la pessima calligrafia, ma potrai capire il mio stato d’animo e la situazione.
La tua mamma”.
 
Ilaria torna da me e ha gli occhi arrossati e io l’aiuto a chiudere la busta e poi torno a riporla nella scatola dei ricordi. Aveva ragione Daria a scrivere che succederà anche a me in questa giornata. E al diavolo se mi vedranno piangere. Lo sto già facendo.
«Grazie papà! E’ il più bel regalo che potessi ricevere oggi. Papà, ma… ma stai piangendo anche tu?»
Mi chiede, asciugandosi con il palmo della mano una lacrima.
«Ma che dici? Mi sarà entrato un pulviscolo negli occhi…»
Le rispondo. Lei mi guarda e poi mi abbraccia e io la stringo forte come facevo quando era bambina. Poi qualcosa attira la nostra attenzione: le tendine alla finestra della cucina si muovono leggermente, come fossero sospinte da un’invisibile e leggero alito di vento, delicate come due petali di rosa. Poi si accostano di nuovo ai vetri e restano immobili. Eppure le finestre sono tutte chiuse… 
Sarà solo la suggestione del momento. Ma intanto Ilaria mi guarda e capisco che stiamo pensando la stessa cosa. Non diciamo nulla, non c’è bisogno di parlare in questo momento.
 


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