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IL BIANCO E IL NERO/ L´ORIGINE DEL NOBIL GIOCO E´ NEI CHICCHI DI GRANO (Ultima Parte)

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

26
GEN
2017

“Non senza ragione del gioco degli Scacchi non si conosce l'origine. Esso probabilmente preesisteva all'apparire dell'uomo sulla Terra e forse anche alla creazione del mondo. E se il mondo ripiomberà nel caos ed il caos si ridissolverà nel nulla, il gioco degli Scacchi rimarrà, fuori dello spazio e del tempo, partecipe dell'eternità delle idee. (Massimo Bontempelli, La donna del Nadir, 1924).”


(Continua dal numero 3 di ExtraMagazine del 20  Gennaio)
Concludo la rubrica a puntate che ha come tema principale la narrazione delle leggende sulle origini del Nobil Gioco.
Spesso nei miei scritti ho esaltato il valore educativo degli Scacchi che, attraverso le sue regole ferree, insegna e disciplina soprattutto i piccoli. Nell’operetta di un abate: “Il giuoco degli scacchi, trattatello tradotto dall’inglese” di Francesco Cancellieri, Sissa è nuovamente il protagonista. Questa volta ricopre il ruolo di un bramino alle prese con un principe che si comportava da tiranno. Attraverso le regole del Nobil Gioco, inventato per l’occasione, Sissa riuscì a far capire al piccolo despota quanto un re debba essere riconoscente ai suoi pezzi (Regina, Alfieri, Torri, Cavalli e Pedoni).
A questo punto della storia si ripete la leggenda della ricompensa, che egli intendeva riscuotere non in denaro ma in chicchi di grano.
Ebbene, al di là di quale sia la più accreditata a raccontare le vere origini del gioco, tutte queste leggende fanno arguire al lettore come i valori trasmessi attraverso gli Scacchi si perdano nella notte dei tempi e permeino le regole del gioco, giungendo intatti sino ai nostri giorni. In questo caso sono serviti ad educare all’umiltà un giovane con piglio dispotico.
Una leggenda, in particolare, ha avuto una vastissima diffusione, quella che mi accingo a narrarvi. “C'era una volta un ricchissimo Principe indiano. Le sue ricchezze erano tali che nulla gli mancava ed ogni suo desiderio poteva essere esaudito. Mancandogli però in tal modo proprio ciò che l'uomo comune spesso ha, ovvero la bramosia verso un desiderio inesaudibile, il Principe trascorreva le giornate nell'ozio e nella noia. Un giorno, stanco di tanta inerzia, annunciò a tutti che avrebbe donato qualunque cosa richiesta a colui che fosse riuscito a farlo divertire nuovamente.
A corte si presentò uno stuolo di personaggi d'ogni genere, eruditi saggi e stravaganti fachiri, improbabili maghi e spericolati saltimbanchi, sfarzosi nobili e zotici plebei, ma nessuno riuscì a rallegrare l'annoiato Principe. Finché si fece avanti un mercante, famoso per le sue invenzioni. Aprì una scatola, estrasse una tavola con disegnate alternatamente 64 caselle bianche e nere, vi appoggiò sopra 32 figure di legno variamente intagliate, e si rivolse al nobile reggente: "Vi porgo i miei omaggi, o potentissimo Signore, nonché questo gioco di mia modesta invenzione. L'ho chiamato il Gioco degli Scacchi".
Il Principe guardò perplesso il mercante e gli chiese spiegazioni sulle regole. Il mercante gliele mostrò, sconfiggendolo in una partita dimostrativa. Punto sull'orgoglio il Principe chiese la rivincita, perdendo nuovamente. Fu alla quarta sconfitta consecutiva che capì il genio del mercante, accorgendosi per giunta che non provava più noia ma un gran divertimento! Memore della sua promessa, chiese all'inventore di tale sublime gioco quale ricompensa desiderasse.

Il mercante, con aria dimessa, chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e via a raddoppiare fino all'ultima casella. Stupito da tanta modestia, il Principe diede ordine affinché la richiesta del mercante venisse subito esaudita. Gli scribi di corte si apprestarono a fare i conti, ma dopo qualche calcolo la meraviglia si stampò sui loro volti. Il risultato finale, infatti, era uguale alla quantità di grano ottenibile coltivando una superficie più grande della stessa Terra! Non potendo materialmente esaudire la richiesta dell'esoso mercante e non potendo neppure sottrarsi alla parola data, il Principe diede ordine di giustiziare immediatamente l'inventore degli scacchi.”
Questa leggenda era notissima soprattutto durante il Medioevo, con il nome di “Duplicatio Scacherii”, al punto che vi appare un accenno anche nella Divina Commedia di Dante Alighieri. Il sommo poeta la adopera per dare un'idea al lettore del numero degli Angeli presenti nei cieli: “E poi che le parole sue restaro, / non altrimenti ferro disfavilla / che bolle, come i cerchi sfavillaro. // L’incendio suo seguiva ogne scintilla; /ed eran tante, che ‘l numero loro / più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla.” (Par., XXVIII, 88-93).
Dalla parafrasi dei versi danteschi emerge un’immagine suggestiva e meravigliosa del Paradiso, che non necessita di ulteriori commenti e da sola è sufficiente a descrivere l’immensità del Nobil Gioco. Concludo, dunque, con la visione di Beatrice che ha appena finito di parlare quando, dai cerchi angelici, si sprigionano scintille sfavillanti come dal ferro infuocato. Ogni scintilla, nel suo movimento circolare, segue la fiamma da cui si è mossa, e le scintille sono così tante da affondare nelle migliaia più di quanto avvenga con la progressione numerica prodotta dal “raddoppiamento degli scacchi”.
 



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