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MERITOCRAZIA E MERITORIETÀ

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

15
MAR
2017

Di uno di questi due termini se ne fa uso e troppo spesso abuso. Ma, purtroppo, se ne trascura, volutamente o meno, il vero significato. Una questione semantica, sociale, ma anche psicologica nella misura in cui coinvolge ogni singola esistenza impiegata nel sistema produttivo

Se provaste a chiedere all’uomo della strada la differenza che intercorre tra meritocrazia e meritorietà, questi probabilmente non vi darebbe subito una risposta, ma di certo comincerebbe ad intuire vagamente qualcosa. In fondo, non c’è mica bisogno di padroneggiare alla perfezione il greco classico per essere a conoscenza del fatto che il suffissoide -κρατία (-crazia) significa ‘potere’. E così abbiamo: democrazia, potere del popolo; aristocrazia, potere dei “migliori”; ed anche meritocrazia, potere del merito… Ma che significa? Semplicemente che il comando viene conferito a chi merita! Sistema auspicabile in teoria, ma di fatto tremendo, sempre che possa risultare davvero applicabile. Non è un caso che questo termine sia nato con una connotazione negativa: esso fece la sua prima comparsa in un saggio satirico del 1958 («The Rise of Meritocracy») in cui l’autore, il sociologo Michael Young, descrisse appunto una società distopica fondata sul potere dei meritevoli e dei capaci, selezionati attraverso apposite prove di intelligenza. Immagino che molti di voi stiano pensando che in tutto ciò non vi sia nulla di male. In realtà, il punto dolente consiste proprio nel fatto che tali criteri, nel sistema meritocratico, definiscono chi debba detenere il potere, ossia chi debba decidere quale indirizzo dare alla società nel suo complesso.
Pertanto, decisamente più auspicabile rispetto alla distopica organizzazione meritocratica, risulta quella fondata sulla (più ragionevole) meritorietà, ossia sul riconoscimento del merito individuale ai fini della selezione del personale e dell’avanzamento di carriera. Tale criterio del merito, se adeguatamente promosso su larga scala, favorirebbe lo sviluppo della cosiddetta “Cultura dell’Eccellenza”, che consiste, appunto, nel perseguimento di canoni qualitativi ottimali, nel lavoro e, più in generale, nella vita. Tale impostazione si rifletterebbe, quindi, in tutti gli ambiti, dal sistema scolastico a quello produttivo, il quale, oggigiorno più che mai, richiede lavoratori sempre più preparati e competitivi, specie sul fronte ricerca e sviluppo, da cui appunto dipende la capacità – indispensabile per la nostra tenuta economica – di creare prodotti innovativi che possano risultare appetibili al mercato globale. Inoltre, la stessa meritorietà dovrebbe improntare il settore pubblico, da cui dipende il buon funzionamento di quelle infrastrutture materiali e immateriali (istruzione, formazione, ricerca etc.) propedeutiche appunto allo sviluppo economico e sociale.
Quindi, sì alla meritorietà, principio portante di qualsiasi società sana e produttiva; no alla meritocrazia, poiché la “-crazia”, il potere, spetta solo al popolo, che dovrebbe gestirlo in conformità a quei valori in cui crede, possibilmente scevro dal condizionamento di eventuali illuminati, poco importa se meritevoli o meno.
Una questione semantica che non si limita alla sola forma, ma che coinvolge anche la sostanza. Perché come diceva qualcuno in una vecchia commedia nostrana: «chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!»




 



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