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METODO DI STUDIO

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

31
AGO
2017

A settembre – si sa! – riprende l’attività scolastica. Questa settimana alle prese con un tema cruciale, assai discusso, ma raramente trattato a dovere: il metodo di studio. Perché, purtroppo, un cattivo metodo non influenza solo il rendimento scolastico!

Il rendimento scolastico, così come quello accademico, costituisce l’esito di un processo in cui concorrono molteplici componenti.

In primo luogo abbiamo fattori di natura neurocognitiva: tutti sanno che un problema in quest’ambito, qualsiasi sia la sua entità, necessita di interventi didattici speciali, che possano venire incontro alle specifiche esigenze dell’allievo, vedasi il caso della dislessia (difficoltà nella lettura), della discalculia (difficoltà nel calcolo) o degli altri disturbi dell’apprendimento.

In secondo luogo abbiamo fattori di natura motivazionale. Lo studio, come tutti i comportamenti, viene messo in atto sulla base di una motivazione, estrinseca o intrinseca: «studio perché voglio ottenere un buon voto o perché voglio fare l’avvocato» (motivazione estrinseca); «studio perché mi piace» (motivazione intrinseca). Sta alla bravura dell’insegnante saper coinvolgere quanti più studenti possibile, attivando in loro quella vivace curiosità che solitamente caratterizza gli appartenenti alla nostra specie.

Ultimo ma non ultimo, il rendimento scolastico dipende anche e soprattutto da una componente assai nominata nel parlare quotidiano, ma raramente approfondita come si dovrebbe: il metodo di studio. Se fate mente locale, tutti ne parlano, si dice perfino che nelle migliori scuole si impari questo piuttosto che le singole materie… Di fatto, però, pochi, dopo tutto questo sfoggio di erudizione pedagogica, vi sapranno dire in cosa esso consista esattamente. Tale vaghezza, tale mancanza di indicazioni precise, perfino a scuola, fa sì che ogni studente tenda a svilupparne uno proprio in autonomia. Quindi, ciascuno presenta un proprio modo personale di organizzare il carico di lavoro, memorizzare le nozioni, collegarle tra loro, farne sintesi ed applicarle alla vita quotidiana. Ma, tale metodo personale, in mancanza di un’opportuna attività di monitoraggio e di indirizzo da parte di un terzo, non sempre si sviluppa come competenza pienamente efficiente. Quindi, abbiamo studenti con metodi totalmente disfunzionali; altri che ne sviluppano alcuni che, sebbene in parte funzionanti, andrebbero comunque perfezionati, per ottenere, a parità d’impegno, un migliore rendimento.

Quindi, il metodo sviluppato da ciascuno andrebbe analizzato nel dettaglio, scomposto nelle sue singole prassi, al fine di rilevare in esso eventuali passaggi mal funzionanti, i quali, non vi nascondo, costituiscono assai spesso l’esito di piccoli problemi a suo tempo non opportunamente trattati. Per esempio, indugiare troppo nella lettura o nella ripetizione potrebbe essere riconducibile a problemi di natura ossessiva; l’evitamento e la procrastinazione di alcune tipologie di compiti potrebbero, invece, sottendere problemi di natura ansiosa etc. Poi, più banalmente, insorgono anche delle piccole storture spontanee, scaturite dal ripetersi nel tempo di comportamenti non particolarmente proficui che, in mancanza di un adeguato controllo, hanno avuto modo di consolidarsi in vere e proprie prassi.

Quindi, un metodo non particolarmente efficace si traduce inevitabilmente in risultati non soddisfacenti, che lo studente può finire coll’imputare ad una propria presunta inadeguatezza: l’inefficacia del metodo può essere così scambiata per mancanza di valore personale. La situazione in tal modo si complica ulteriormente e la soluzione non consiste in retorica spicciola del tipo «credi in te stesso». Il metodo è semplicemente un fatto tecnico, un insieme strutturato di tanti piccoli accorgimenti. A chi non sa come procedere (nello studio) gli si indica una via percorribile. Cosa sarebbe il metodo, infatti, se non appunto “una via”, come ci insegna la stessa etimologia greca del termine?
 



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