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MASCHIETTO E FEMMINUCCIA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

23
NOV
2017

Un genitore, incuriosito dal sensazionalismo dei giornali nostrani, mi chiede maggiori informazioni sulla disforia di genere e su alcune particolari prassi mediche che si dice siano invalse soprattutto oltremanica.

È vero che in Inghilterra bloccano con delle medicine la pubertà dei bambini quando non sanno ancora se si sentono più maschi o più femmine? Chiedo suo parere.
Paolo


La notizia che lei, seppur in maniera vaga e alquanto imprecisa, ci riporta è stata di recente diffusa da molte testate nostrane. Non le nego, però, che in merito si tende a fare ancora molta confusione, vuoi perché l’argomento è ai più totalmente sconosciuto, vuoi perché esistono tutt’oggi tanti pregiudizi che ostacolano la comprensione di questi fenomeni da parte della popolazione generale. Quindi facciamo un po’ di chiarezza.
Ognuno di noi presenta alla nascita un sesso biologico: maschio o femmina. Poi, in rarissimi casi, delle condizioni strettamente organiche (genetiche, anatomiche, endocrine etc.) possono rendere il sesso biologico meno definito: abbiamo così casi di intersessualità, per intenderci, esseri umani il cui sesso non risulta ben chiaro sotto il profilo fisico.
E, oltre al sesso biologico e alle sue eventuali incertezze, abbiamo poi il genere psicologico. Ognuno di noi, dopo un lungo processo di presa di consapevolezza che inizia a palesarsi con sempre maggiore evidenza sin dal secondo anno di vita, si definisce maschio o femmina. Alcune persone, invece, presentano un’identità di genere non pienamente conforme al proprio sesso biologico. Ad esempio, una persona fisicamente femmina può identificarsi psicologicamente nel sesso maschile, ossia ritenersi a tutti gli effetti un uomo. Questa condizione, molto più profonda di quanto si possa immaginare, non va confusa con l’eventuale aspetto o atteggiamento mascolino della femmina o effeminato del maschio, né tanto meno va confusa con l’orientamento (inteso quale attrazione nei confronti di persone del proprio e/o dell’altrui sesso), tutte faccende che nella stragrande maggioranza dei casi non attengono all’identità di genere in senso stretto. Infatti la questione di nostro interesse, a prescindere da questi aspetti, sorge solo quando la persona vive con disagio l’eventuale non congruenza tra il proprio sesso biologico e il proprio genere psicologico. A tal proposito l’ultima versione del DSM non parla più di «disturbo dell’identità di genere», bensì di «disforia di genere», poiché si è finalmente capito che il problema non risiede affatto nella questione dell’identità (di genere) quanto nell’eventuale disagio che, per cause varie, ne potrebbe derivare. Disagio che va appunto ridotto quanto più possibile attraverso una serie di buone prassi. E ora arriviamo alla nostra questione.
Nel Sistema Sanitario del Regno Unito risulta attivo un servizio, il GIDS, appositamente dedicato alle questioni di identità di genere in età evolutiva, che ivi vengono trattate secondo un protocollo che prevede la collaborazione sinergica di molteplici specialisti (psicologi, psichiatri, endocrinologi etc.) particolarmente esperti in questioni pediatriche. Lo scopo è proprio quello di accompagnare lo sviluppo di questi bambini e adolescenti fino al compimento della maggiore età, momento dal quale potranno cominciare a programmare, sempre col supporto professionale, un’eventuale riassegnazione chirurgica del sesso.
Il trattamento di cui lei parla, ossia la “soppressione farmacologica della pubertà”, atto a sospendere la comparsa dei caratteri sessuali secondari, sembra che venga ivi somministrato, sempre sotto stretto controllo multispecialistico, esclusivamente in casi di stabile e conclamata – ribadisco: stabile e conclamata – incongruenza tra sesso e genere, al fine di ridurre il disagio che altrimenti scaturirebbe dallo sviluppo di attributi fisici che si è accertato essere incongruenti col genere psicologico effettivamente vissuto dal paziente. Il medico, posta l’esistenza di alcune precondizioni (supporto familiare, assenza di complicazioni etc.), può così venire incontro al paziente, al suo inviolabile diritto di vivere in un corpo nel quale possa riconoscersi in pieno.
 



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