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PERCHÉ ALCUNI COPIANO?

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

4
GEN
2018

Il plagio letterario, un fenomeno che interessa tutte le professioni intellettuali, sia tecniche che artistiche. Un malcostume che, al di là dell’eventuale malafede, presenta sempre delle motivazioni psicologiche.

Perché certi autori copiano gli scritti altrui? Quali motivazioni psicologiche spingono queste persone?
Peppe


La condotta di cui lei parla costituisce una violazione comunemente conosciuta col nome di plagio letterario. Essa, assai diffusa tra gli studenti (molti di loro intendono le ricerche come un esercizio di copia-incolla), dilaga, nonostante le contromisure, anche e purtroppo nel campo delle professioni intellettuali, sia tecniche che artistiche.
Fatto sta che la natura di questo malcostume risulta già chiara nell’etimologia stessa del termine atto a designarlo, che nell’antichità classica indicava, oltre alla riduzione in schiavitù di un uomo libero, anche un particolare tipo di furto: quello di schiavi. Ma l’accezione moderna risale al poeta latino Marziale, che, in un componimento, definì plagiario un poetucolo che era solito “rubare” i versi altrui. Tale significato, seppur nato in un contesto assai circoscritto, si è imposto nel tempo, tant’è che tutt’oggi con questo termine si definisce chi utilizza indebitamente l’opera altrui spacciandola per propria. A differenza dell’usurpazione, che possiamo ricondurre ad un vero e proprio furto di opera inedita, il plagio letterario consiste solitamente nella copia fedele di un’opera già pubblicata. Certo, vi dico che risulta senz’altro legittimo citare altri autori; Umberto Eco sosteneva che «i libri parlano di altri libri»; l’importante è che la citazione letteraria, possibilmente corredata di fonte, venga almeno resa riconoscibile da opportuni accorgimenti quali le virgolette citazionali, l’uso del corsivo, il paragrafo rientrato etc.
Fatto sta che il plagio, come lei ha ben intuito, sottende sempre delle motivazioni psicologiche più o meno evidenti. Vediamone alcune.
Esso nella migliore delle ipotesi può costituire la conseguenza veniale di un fenomeno psichico involontario detto criptomnesia. Ossia il plagiario riproduce senza accorgersene un’opera che ha inconsapevolmente memorizzato. Sebbene si stenti a crederlo, capita a molti artisti.
In secondo luogo abbiamo il plagio causato dall’inesperienza, ossia quello di chi, non padroneggiando un dato argomento, si sente “costretto” a utilizzare parole altrui, magari senza neppure considerare le eventuali conseguenze della propria condotta.
In altri casi il plagio letterario deriva, invece, da un vero e proprio calcolo intenzionale in cui vengono preventivamente soppesati pro e contro, vantaggi e rischi. Il plagio così viene ad assolvere una funzione strumentale, volta, se non allo sfruttamento economico, alla creazione di un’immagine fittizia del plagiario stesso, che attraverso questo comportamento dà a credere quel che di fatto non è. Il copiatore, specie quello seriale, tenta così di colmare il di­vario tra ciò che lui è e ciò che vorrebbe essere. A tal scopo si crea un’identità apparente, fondata, come nei mi­gliori drammi, sulla peggiore delle menzogne: quella a sé stessi!
Ad ogni modo, quando non dovuto alla leggerezza o al riaffiorare inconsapevole di memorie nascoste (criptomnesia), il plagio letterario, che sia motivato da ragioni intrinseche o estrinseche, viene sempre messo in atto da persone profondamente influenzate da un substrato valoriale piuttosto deviante, che non ha a loro consentito di interiorizzare le regole dell’onestà intellettuale.
Per rimediare a tutto ciò bisogna senz’altro puntare sull’educazione. Non su quella farisaica, sullo sterile perbenismo, in cui magari anche i nostri cari copioni sono maestri. Ma sull’educazione intesa come disciplina, dal latino «disco», apprendo. Chi apprende, chi studia per davvero, impara anche a disciplinarsi, a darsi una regola. Nel nostro caso impara a rielaborare con la propria testa quello che è stato fatto nel passato. Chi possiede una disciplina, intesa sia come materia di studio che come regola, non contempla affatto la possibilità di copiare, perché è naturalmente portato a creare di suo.



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