MENU

FaviddÉ™ pu crÉ™stiènÉ™ ca tÉ™ ‘ntÄ›nnÉ™

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

18
GEN
2018

Lingue locali, dialetti e vernacoli. In occasione della «Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali», alcune riflessioni storiche, sociolinguistiche e neurocognitive.

Parafrasando il linguista Max Weinreich possiamo definire il dialetto come «una lingua senza esercito e senza marina». Stando a questa asserzione una parlata può chiamarsi lingua solo quando viene adottata come strumento delle comunicazioni ufficiali in un dato territorio. Le leggi, le lezioni scolastiche, la vita istituzionale e amministrativa etc., tutto ciò da noi si svolge in lingua italiana, con l’eccezione di quei territori in cui vivono minoranze linguistiche tutelate. Quindi la lingua, a differenza del dialetto, viene usata dallo Stato. Le lingue europee contemporanee si sono diffuse e sviluppate proprio durante la creazione degli odierni Stati nazionali. Esse, usate per scopi amministrativi, vennero così man mano imposte ai sudditi e ai popoli conquistati. Alcune vennero adottate e diffuse per via del loro prestigio letterario (italiano); altre, pur nascendo da parlate popolari, presero forma soprattutto nelle Corti (inglese, francese, spagnolo) e nelle Cancellerie (tedesco): nei luoghi del potere. Ecco perché il già citato Weinreich definisce la lingua «come un dialetto con un esercito e una marina», un dialetto che può contare appunto sul potere. E ancor oggi il prestigio di una data lingua viene conferito sulla base della forza (economica, militare, culturale) dello Stato in cui essa è parlata. Non è un caso che la lingua delle relazioni internazionali sia l’inglese: il Regno Unito è stato fino ad un secolo fa il più grande impero coloniale e oggi gli USA costituiscono la maggiore potenza del pianeta.

Il dialetto, a differenza della lingua, non è (di solito) praticato nei luoghi del potere, bensì, come ci indica l’etimo stesso del termine (dal greco διαλεγομαι, conversare), esso serve soprattutto alla comunicazione interpersonale: è la parlata di molte relazioni umane (un tempo di tutte), è la parlata attraverso cui vengono raccontate le storie del territorio ed espressi i concetti, a volte intraducibili, della cultura locale. È per questo che il dialetto si connota di una forte valenza emotiva e identitaria.

E non nego che, al netto di tali questioni, l’apprendimento di esso possa comportare anche dei benefici, connessi al miglioramento della competenza linguistica e, più in generale, delle abilità cognitive. Infatti il bambino bilingue (il cervello non fa tanta differenza tra lingua e dialetto!), nonostante alcune iniziali difficoltà rispetto ai suoi coetanei, sviluppa col tempo una maggiore consapevolezza metalinguistica, ossia una maggiore capacità di riflettere sulle componenti fonetiche, semantiche e sintattiche. E la gestione di due differenti sistemi linguistici induce a sua volta un potenziamento dell’attenzione esecutiva, ossia di quella funzione che ci permette di mantenere uno scopo ignorando eventuali fattori distrattivi.

Quindi il dialetto come palestra della mente, ma anche come valido ausilio nella didattica delle lingue. Infatti il dialetto, proprio per la familiarità più o meno significativa che molti cittadini hanno con esso, ben si presterebbe come spunto per cominciare a riflettere sui suoni (il nostro vernacolo conta più vocali dell’italiano), sui significati (spesso differenti dalla lingua nazionale) e sulle strutture della lingua (le famose “forme dialettali”). Tutto ciò, naturalmente, sarebbe funzionale al potenziamento della succitata consapevolezza metalinguistica, propedeutica a un apprendimento e a un uso più efficace del linguaggio, qualsiasi esso sia. Perché se, come diceva il buon Wittgenstein, «i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo», è importante non limitarsi alla propria lingua, ma apprenderne pure delle altre. Quindi l’attenzione al locale, possibilmente scevra dalla trappola dello stereotipo, deve costituire un punto di partenza, utile all’apertura verso l’altro. Perché «la lingua divide e la lingua unisce». E solo la comprensione della lingua ci permette di capire la cultura di un popolo, di ampliare la nostra conoscenza del mondo, quindi la nostra capacità di relazionarci con gli altri. Come si dice dalle nostre parti: «faviddÉ™ pu crÉ™stiènÉ™ ca tÉ™ ‘ntÄ›nnÉ™, sÉ™mÉ™nîscÉ™ a chÄ›dda tÄ›rrÉ™ ca tÉ™ rÄ›nnÉ™», tr. «parla con persona che ti intende, semina in quella terra che ti rende».



Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor