MENU

LO SPETTACOLO DELLA PREPOTENZA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

1
MAR
2018

La prepotenza nelle arti e nel cinema. La rappresentazione del crimine. Al di là delle eventuali intenzioni pedagogiche da parte degli autori, alcuni spunti sui possibili effetti di tali produzioni.

C’è chi sostiene che un certo realismo letterario e cinematografico incline alla rappresentazione della prepotenza possa educare. C’è chi sostiene che il male debba essere mostrato, perché, come recita un vecchio adagio, “solo chi lo conosce lo evita”. Di fatto molti di questi novelli realisti peccano di poco realismo nella misura in cui indugiano sin troppo negli aspetti più deleteri, facendo passare in secondo piano quel che di buono e costruttivo alberga nel cuore della nostra specie. Ma, sorvolando sulle svariate cause di questo loro atteggiamento, soffermiamoci sui possibili effetti.
È largamente noto che l’esposizione protratta a contenuti violenti sortisce degli effetti sulla psiche. Lo spettacolo della violenza eccita i sensi, esacerba gli animi, specie quelli meno pronti a elaborarla. Un bambino, un ragazzo, ma anche un adulto non particolarmente maturo, incontrano notevoli difficoltà nell’interpretare appropriatamente una scena cruenta. Innanzitutto nel distinguere la realtà dalla finzione. Ma anche nell’inquadrare la psicologia dei personaggi, le loro motivazioni, i loro valori o disvalori di riferimento. Tutto ciò può benissimo generare un’enorme confusione nella testa di chi non ha le idee chiare. Così si corre il rischio che alcune persone particolarmente predisposte arrivino, di esposizione in esposizione, a pensare che la devianza sia la normalità e che la prepotenza, spesso descritta in termini maledettamente trionfalistici, possa costituire la strada maestra per l’affermazione personale. D’altronde non nego che la rappresentazione del male in tutta la sua forza distruttiva possa anche attirare il ribellismo giovanile, a maggior ragione quando questo viene sospinto emotivamente dal grande potere evocativo del linguaggio artistico.
Ecco che, al di là delle eventuali benevoli intenzioni degli autori, si giunge alla possibile mitizzazione del male, magari assente nelle opere, ma di fatto potenzialmente presente nell’interpretazione personale dei destinatari. Perché un’opera quando viene pubblicata cessa di appartenere esclusivamente al suo autore e diviene di pubblico dominio; i suoi significati originari si diffrangono nell’interpretazione collettiva tanto da generare un numero di opere pari a quello dei destinatari. Ognuno capirà a modo suo, a seconda del proprio retrotterra.
Quindi quale sarebbe la soluzione? Io sostengo, così come per fortuna già molti autori, che la soluzione consista nella chiarezza espositiva e nell’approccio scientifico. Il male va studiato più che spettacolarizzato. Ne vanno approfondite le cause: psicologiche, sociali, subculturali. La grande letteratura, passata e presente, offre senz’altro degli spunti. Ma spetta sempre all’insegnante e al genitore il dovere morale di integrare la lettura con delle lezioni che possano indirizzare il giovane verso una corretta interpretazione dei fatti raccontati. Quindi un’educazione al contempo letteraria e sociale che, lungi dal risolversi in una questione meramente tecnica, possa veicolare dei valori idonei al sano funzionamento dell’individuo e della società.



Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor