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TERAPIE (PER ORA) FANTAPSICHIATRICHE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

24
MAG
2018

In questi giorni parte della comunità scientifica ragiona, tra le tante cose, sulla possibilità di poter curare il più diffuso dei problemi, l’ansia, con una nuova, avveniristica, terapia.

I topi ‒ si sa ‒ vivono più tranquilli negli spazi angusti, nei cunicoli, negli anfratti. E quando si imbattono in uno spazio aperto, specie se tutt’a un tratto, si agitano, perché sentono di essere più esposti alle insidie dei loro predatori. Questa agitazione, però, per quanto magari un po’ sgradevole, non viene tutta per nuocere: essa permette al topo di mantenere in quei frangenti quella giusta tensione psicosomatica atta a rispondere prontamente ad un eventuale pericolo. Questa agitazione, noi umani, la chiamiamo ansia: buona quando ci permette di affrontare un problema; cattiva quando ce lo rende ancora più difficile.
Fatto sta che di recente, proprio nei topi, è stato scoperto un interruttore cerebrale dell’ansia. Si è visto, infatti, che il topo, di fronte ad uno spazio aperto, non risponde in maniera ansiosa quando gli vengono stimolati determinati neuroni posti in una parte dell’ippocampo denominata vCA1. Anzi pare che l’animale così stimolato metta addirittura in atto dei comportamenti di tipo esplorativo. Tale intervento, per ora sperimentale, si avvale di una metodica assai sofisticata che risponde al nome di optogenetica. In pratica, i neuroni bersaglio, per mezzo dell’ingegneria genetica, vengono dotati di minuscoli interruttori, ossia proteine attivabili con delle particolari stimolazioni fisiche appositamente indotte dall’esterno.
Quindi in tal modo si potrebbe, anche nell’uomo, inibire preventivamente la risposta ansiosa, ossia evitare a priori che l’ippocampo dirami all’ipotalamo l’ordine di indurla nel corpo, generando così quelle spiacevoli sensazioni che un po’ tutti conoscono.
Ma questa presunta panacea, per quanto in apparenza perfetta, presenta delle problematiche abbastanza evidenti all’occhio esperto. In primo luogo, inibire preventivamente l’ansia, per quanto magari utile nei momenti di crisi acuta, non giova affatto nel lungo periodo, perché, come potete ben immaginare, evita l’insorgenza di una risposta anche quando servirebbe. Pertanto una persona resa imperturbabile da tale futuristico trattamento sarebbe più esposta a pericoli di vario tipo: posta di fronte ad un problema che richiede un minimo di sana tensione non avrebbe nemmeno l’energia e la spinta per affrontarlo in maniera opportuna. In secondo luogo, bisogna pure aggiungere che questo tipo di intervento agisce sull’effetto ma non sulla causa dell’ansia; agisce sull’espressione somatica a valle ma non sull’elaborazione cognitiva a monte. Per intenderci, è come sostenere di aver risolto un caso di scurrilità senza intervenire sulla mente, bensì imbavagliando chi ne è affetto! E l’origine dell’ansia ‒ lo sappiamo ‒ di solito non risiede nel corpo, bensì nella mente. Mi spiego.
L’ansia cattiva è sempre quella inappropriata o quella eccessiva. Inappropriata perché scaturita dall’erronea interpretazione di qualcosa che in realtà non costituisce un problema. Eccessiva perché scaturita da un problema che si suppone essere peggiore di quel che non sia in realtà. In un caso o nell’altro la risposta ansiosa deriva comunque dall’erronea interpretazione di un evento, di un pensiero o di una sensazione. Ne consegue che per poter prevenire l’ansia, inappropriata o eccessiva, basta imparare modalità di interpretazione più adeguate.
Per quale motivo, quindi, intervenire con l’optogenetica domani se già oggi è possibile trattare questo problema con la psicoterapia? Per quale motivo ‒ passatemi il paragone ‒ imbavagliare lo scurrile incallito se è possibile educarlo? Non escludo che queste ricerche, senz’altro preziose sul versante meramente conoscitivo, potrebbero anche tradursi in possibili applicazioni terapeutiche; ma, inutile a dirsi, ricordo che bisogna essere sempre molto cauti quando si tratta di persone e di salute. Ne consegue che queste metodiche, o altre (che spero) molto meno invasive, possano pure combinarsi, nel futuro, con la psicoterapia; a patto, però, che il riduzionismo biologico non sfoci nella dannosa deriva del semplicismo. I nuovi percorsi, per far fronte alla complessità del fenomeno psichico, dovranno necessariamente emergere dalla virtuosa convergenza di più saperi. E di certo gli slanci di alcuni ferventi futuristi possono già da oggi essere contenuti dalla cauta saggezza della psicoterapia, che, occupandosi da sempre di persone umane, può senz’altro dire qualcosa su come impostare un trattamento a loro destinato.
 



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