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CURRICULUM VITAE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

7
GIU
2018

Il curriculum vitae nei suoi aspetti formali e contenutistici. Un documento autobiografico che può far trapelare molto più di quanto non vi sia espressamente scritto.

Col termine “curriculum vitae” intendiamo in tutta Europa un’autocertificazione riepilogativa del percorso professionale, formativo e umano di una data persona. Questo documento, benché redatto in termini tecnici e formali, rientra a tutti gli effetti nel genere autobiografico: chi scrive un curriculum parla di sé e ‒ aggiungo ‒ spesso finisce col dire più di quanto non intendesse.
Fattori testuali quali l’adeguatezza, l’impostazione logica e anche grafica, la correttezza sintattica nonché l’appropriatezza lessicale, ci forniscono già delle indicazioni presuntive sul candidato, sul suo livello culturale e sul suo grado di motivazione. Quindi eventuali scostamenti dalla norma del livello scolastico del candidato stesso possono benissimo sottendere un retroterra disfunzionale o addirittura patologico. Errori o imprecisioni formali, in un documento che richiede (più di altri) uno stile controllato, possono così costituire la conseguenza di una mancata pianificazione, presumibilmente riconducibile a fattori momentanei o anche a caratteristiche consolidate. D’altronde non escludo neppure che l’errore o l’imprecisione formale possano derivare da un atteggiamento controverso nei confronti del possibile impiego: se la presentazione del curriculum sottende la volontà di occupare un dato posto, l’errore può benissimo incarnare una forma di resistenza al cambiamento, un auto-sabotaggio più o meno consapevole.
Vediamo che la forma è senz’altro importante, «la forma è il contenuto» diceva Benedetto Croce. Ma questo non toglie che si debba anche considerare il contenuto in sé, ossia le esperienze e le competenze riportate nel curriculum, la cui dichiarazione, per ovvie ragioni di natura legale, dovrebbe rispondere a un criterio più o meno stringente di veridicità. Certo ‒ mi direte ‒ la verità non è cosa di questo mondo, e anche il curriculum cosi come ogni ricostruzione dei fatti mai coincide perfettamente coi fatti stessi. Nei casi di buona fede c’è chi per eccesso di stima in sé tende a valorizzare esperienze e competenze asserite; così come c’è anche chi per bassa stima di sé non evidenzia opportunamente o addirittura omette ciò che ha fatto o ciò che sa fare. Poi ‒ inutile nasconderlo ‒ c’è anche chi dichiara il falso. In tal caso risulta evidentissima l’intenzione più o meno consapevole di costruire un’identità fittizia che possa colmare il divario tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. Tentativo alquanto ingenuo: posto che si riesca a mentire su un’esperienza che non si è vissuta, risulta di certo assai difficile simulare una competenza che non si possiede.
In ogni caso spetta al valutatore stimare, sulla base delle evidenze a sua disposizione, l’eventuale scarto tra quanto asserito e quanto effettivamente posseduto. Compito apparentemente semplice, che, però, richiede conoscenze specifiche sulle dinamiche e sulle terminologie del mercato del lavoro e dei percorsi formativi, galassie entrambe, per loro stessa natura, complesse e variegate.
Ma, al di là di tutto ciò, il buon valutatore sa bene quanto la verità non sia sempre certa e la menzogna non sempre infondata. Ed è per questo che nelle sedi valutative più professionali si sospende la tradizionale dicotomia vero/falso per giungere a un ap­proccio più articolato, dove, grazie al rigore del metodo scientifico, risulta perfino possibile scoprire nella “verità” delle menzo­gne e nelle “menzogne” delle verità.



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